Guido Reni nacque nel 1575 a Bologna e qui morì nel 1642, egli fa parte del classicismo del ‘600, allievo dei Carracci si discosta dal loro naturalismo giungendo ad una nuova sintesi che accoglie la grazia di Raffaello, il colorismo dei Carracci e il tratto longilineo del Parmigianino. Reni, inizialmente studiò musica, la gentilezza e l’armonia è così presente nelle sue opere.
La critica è stata con lui altalenante, disprezzato da Ruskin e dai Romantici, considerato a volte lezioso a volte geniale è un grande artista malinconico, che si esprime con magistrale eleganza sia nelle tele religiose che in quelle mitologiche. Reni, nel dipinto della chiesa di Santa Maria Immacolata a Roma, un olio dipinto su seta per ottenere ancora più brillantezza, raffigura l’Arcangelo Michele nello splendore della sua “dolce” bellezza combattente, con in mano una spada sguainata che sta brandendo con veemenza e nell’altra delle grosse catene, per uccidere e incatenare Satana; è avvolto da un panneggiato mantello rosato, l’armatura è azzurra, gli scolpisce i muscoli, gli vela il ventre evidenziando il movimento scomposto del gonnellino, ha eleganti calzari ai piedi e il vento pare scompigliare i capelli biondi lasciando libero un volto delicato e femmineo ma deciso, alla sua leggiadria, l’oscurità di Satana con la testa sotto al suo piede pare assai animalesca.
Guido Reni- L’arcangelo Michele schiaccia Satana- Guido Reni- 1636- Roma
L’arcangelo Michele, fin dai tempi antichissimi, è il “capitano” degli angeli che stanno dalla parte di Dio, combatte e vince Lucifero e gli angeli ribelli, rappresenta la ragione che tiene a bada gli istinti primordiali. Michele rappresenta l’anelito alla bellezza (intesa come giusto, vero e bello). Un singolare aneddoto esiste su questa tela, siamo nella prima metà del 1600 e il cardinale Antonio Barberini commissionò il quadro a Guido Reni. Il celebre pittore si dedicò con entusiasmo all’opera, manifestando comunque al cardinale le difficoltà tecniche di imprimere nel volto dell’Arcangelo quella bellezza eterea e sovrumana che (parole sue) “al cielo né in terra potrò mai trovare”. Era noto in quegli anni che un altro cardinale, Giovanni Battista Pamphili, qualche tempo prima, ebbe modo di parlare in modo sprezzante di Guido Reni, e l’artista, molto risentito, evidentemente maturò con il quadro dell’Arcangelo il modo di vendicarsi dell’affronto subito. Quando infatti la tela fu terminata, i contemporanei si meravigliarono assai, non solo perché l’autore era riuscito ad imprimere la divina bellezza dell’Arcangelo, ma soprattutto perché era riuscito, altrettanto bene, a rappresentare la bruttezza nel viso del diavolo. Ma il diavolo, a guardarlo bene, aveva un viso conosciuto… e sì, era proprio la faccia del cardinale Pamphili. È ovvio che questo aneddoto ha un retroscena, infatti è noto che Guido Reni e prima di lui i Carracci erano sotto la protezione dei Barberini, anche il Guercino, più tardi, emulo della bellezza ideale del Reni tentò di ereditarne la committenza, ma in seguito alla guerra di Castro fu costretto a ritornare a Bologna.
Il cardinal Pamphili, divenne papa Innocenzo X e fu tristemente famoso per essere succube di una donna, precisamente la cognata. Donna Olimpia, detta la Pimpaccia, divenne la dominatrice indiscussa della corte papale e di tutta Roma. Diventò, infatti, il consigliere più ascoltato dal Papa, quasi la sua ombra. Il Papa si fidava praticamente solo di lei, e proprio per questo, nel giro di pochi anni, divenne la donna più temuta e più odiata di Roma. Il popolo romano la chiamava “la papessa”. Il soprannome di Pimpaccia deriva da una pasquinata, cioè uno scritto satirico lasciato sulla più celebre “statua parlante” di Roma, Pasquino.
Alessandro Algardi- busto di Olimpia Pamphili- Galleria Doria Pamphilj- Roma
Tra le pasquinate rimaste celebri sul suo conto: “Chi dice donna, dice danno, chi dice femmina, dice malanno, chi dice Olimpia, dice donna, danno e rovina”. Olimpia era talmente avida, che alla morte del Papa corse a derubarlo di tutti gli averi e quando le chiesero il denaro per la sepoltura di Innocenzo X, rifiutò, dichiarandosi povera. Per l’avarizia dei parenti, la salma del pontefice rimase per un giorno in una stanzaccia e furono i domestici, il canonico e il maggiordomo che spesero cinque scudi per una cassa di legno, Innocenzo fu poi inumato nella basilica del Vaticano.
Donna Olimpia era preda di un’ossessiva avidità di denaro e di potere e per ottenerlo non aveva pietà di alcuno. Architettò assieme a un Barberini il matrimonio di sua nipote che come lei si chiamava Olimpia col principe Maffeo Barberini, matrimonio che riconciliò le famiglie Barberini e Pamphili, tuttavia cercò di organizzare questo matrimonio per ipocrisia, infatti Donna Olimpia si era accorta che la sua personale influenza su papa Innocenzo X andava esaurendosi e anche se la nipote a nessun costo voleva maritarsi, alla fine accettò, ma non voleva consumare le nozze, intervenne bruscamente la nonna che la spinse in una carrozza e la inviò dal marito e pensare che decenni prima la nonna, che era stata destinata dal padre al convento, rifiutò di prendere i voti e accusò di tentata violenza il padre confessore del convento e la ebbe vinta.
Tuttavia il successore di Innocenzo X non fu un Barberini, fu Fabio Chigi che, preso il nome di Alessandro VII, tra i suoi primi atti la esiliò in perpetuo da Roma. Olimpia se ne andò da Roma coi suoi tesori, che non volle restituire, morì pochi anni dopo, di peste, nel 1657, e nonostante il suo amore per i denari, l’eredità di due milioni di scudi le toccò lasciarla che non le fu possibile portarla con sé. Si narra che il fantasma di Olimpia Pamphili, nelle notti tempestose, vaghi per Piazza Navona su una carrozza con tutto l’oro ammassato in vita, trainata da quattro cavalli neri e dopo aver attraversato Ponte Sisto scompaia nel Tevere acchiappata dai diavoli. Fino al 1914 esisteva, fuori Porta San Pancrazio nei pressi di villa Pamphili, una via Tiradiavoli, così denominata perché si diceva (secondo un’altra versione della stessa leggenda) che qui si era aperta una voragine che aveva inghiottito Donna Olimpia con tutto il suo oro per portarla all’inferno.
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INNOCENZO X (I^)
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