L’attualità’ dei giorni scorsi e di quelli che verranno ha i riflettori puntati sul dramma siriano e sui due diversi modi di risolverlo, ovvero la punizione di Assad per le stragi delle quali è imputato o il pacifismo invocato e promosso da Papa Francesco che ha toccato il culmine con una giornata di preghiera e digiuno. Tra la visione pacifista e quasi utopica del Papa e quella del Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, insignito nel 2009 del Premio Nobel della Pace, il quale sogna un’altrettanta pacificazione del Medio Oriente attraverso, però, un necessario intervento militare, si dibatte, col fiato in gola, l’intera comunità internazionale. Martellanti gli interrogativi che si impongono e che rimangono senza risposta, legittimi i dubbi. Serve forse alla pace, alla libertà, ai diritti umani entrare a far parte del conflitto? Serve al progresso una violenza che chiama violenza, una guerra che chiama la guerra? Esiste davvero una distinzione morale tra l’uccidere con bombe o fucili e l’utilizzare i gas, tra uccidere sganciando una bomba atomica e ammazzare migliaia di persone con bombe e mitra in una sola notte? Forse che gli ammazzati a colpi di proiettili e bombe sono meno morti? Certo, passare dallo scandalo della manipolazione sull’esistenza di armi di distruzione di massa, alla dichiarazione della loro irrilevanza, non è possibile; certo è anche che, le armi chimiche, con l’aggravante di colpire i civili, sono cosa diversa e più grave delle armi convenzionali. Tuttavia, il problema è rappresentato dall’immoralità del massacro, dall’immoralità della guerra come rimedio risolutivo, della guerra per la guerra, non solo e non tanto dai mezzi usati per attuarlo.
Ma, allora, come contrastare l’uso delle armi chimiche? Come reagire davanti alla slealtà estrema diretta verso innocenti, bersagli indiscriminati? Come fermare il massacro che si perpetra in Siria da oltre due anni e che ha trovato il suo osceno compimento nello scorso mercoledì 21 agosto messo a punto dalle truppe di Bashar al Assad? Più di due anni fa Assad aveva avvertito il mondo: se intervenite in Siria farò della regione un inferno. Ne è stato capace, dato il suo cinismo e la sua ferocia. Mentre americani ed europei si chiedono se intervenire o meno, Assad non ha perso tempo con problemi etici. Uccide e lo fa indiscriminatamente. Impossibile non inorridire, impossibile non intervenire dinanzi a tanta oscena violenza. Impossibile, anche se solo con l’immaginazione, non opporre alla violenza altrettanta violenza. Come negarlo? Tuttavia, se sono vere le conclusioni riportate nella carta di Siviglia, il documento che riporta gli studi più recenti su biologia e antropologia umana, allora l’uomo, la natura umana è più incline al bene che al male, alla pace, alla solidarietà e all’ aiuto reciproco, piuttosto che alla guerra e alla violenza. Dunque, la guerra è un atto contro natura. Tra l’altro, non è affatto certo che un intervento militare possa in qualche modo diminuire il rischio che il conflitto si estenda. E’ anzi più probabile che accada il contrario. Chi conosce la storia sa che le più lunghe mediazioni sono più corte di qualsiasi guerra. Parlare di una guerra lampo e risolutiva per riportare la pace e’ un’illusione fuorviante. Che la posizione pacifista di Papa Francesco non sia poi tanto velleitaria? Che le voci numerosissime contro l’ intervento militare in Siria comincino ad urlare cosi forte da poter diventare l’ occasione per riaffermare il principio della pace, per fermare gli orrori di una inutile guerra nella guerra? Forse. E’ notizia riportata in questi ultimi giorni quella della possibile decisione di Obama di aprirsi alla proposta russa che chiede a Damasco di mettere il suo arsenale chimico sotto tutela internazionale. Possiamo azzardare ad una possibile svolta? A quella svolta, intendo, che apre alla tanto auspicata conciliazione? Alla tanto desiderata pace? Per ora non ci sono risposte. Per ora non resta che osservare gli eventi e aspettare col fiato sospeso quello che tra un giorno, una settimana, un mese, un anno accadrà.