Vi presento «Io e Giove» del pittore Antonio Allegri, detto il Correggio, opera risalente al 1531-32 conservata nel Kunsthistorischemuseum di Vienna. L’opera fa parte di un gruppo realizzato per il duca di Mantova Federico II Gonzaga che ha per tema gli amori di Giove.
Per realizzare quest’opera, una delle più virtuosistiche dell’intero Cinquecento, il nostro artista intinge il suo pennello nella storia mitica e in particolare nelle Metamorfosi dello scrittore dell’antica Roma Ovidio. Il capo degli dei, Giove, si invaghisce perdutamente della ninfa Io e pur di possederla si trasforma in una nuvola, stratagemma usato per eludere la sorveglianza della moglie Giunone, descritta come donna gelosa e vendicativa.
In maniera originale, Correggio rappresenta il capo degli dei dell’Olimpo come una nuvola vaporosa e scura che assume una certa consistenza solo nell’accenno del volto che si avvicina ad Io per baciarla. Si riconosce anche la grande mano impalpabile che cinge quasi completamente il corpo della bella ninfa per possederla. La giovane ninfa si lascia sedurre da Giove e si abbandona completamente in un erotico abbraccio.
A differenza del mito raccontato da Ovidio, che descrive la fuga e la paura di Io, Correggio si sofferma sul piacere contraccambiato e in qualche maniera anche esibito. Al movimento discendente del dio corrisponde quello ascendente della creatura, espresso dal pittore attraverso la flessuosità serpentinata del corpo di Io. Per la posa arcuata della ninfa, rappresentata di schiena, il Correggio si ispirò a prototipi antichi.
In basso a destra si intravvede un cervo mentre beve a una piccola pozza d’acqua, accanto a una grande brocca, antico simbolo per indicare la sorgente di un fiume. Il cervo si riconosce a fatica perché è realizzato dal pittore con lo stesso impasto cromatico dell’ambiente circostante e quindi appare perfettamente mimetizzato con il contesto naturale. Dato che l’animale non è presente nel testo ovidiano e quindi rappresenta un’ulteriore licenza del nostro artista, è possibile che il riferimento vada cercato nel Salmo 42, che paragona l’anima dell’uomo proprio all’animale e alla sua ricerca mattutina dell’acqua: «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio. L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio».
L’episodio rappresentato da Correggio potrebbe allora riferirsi non solo al mito classico ma anche all’eterno dualismo tra corpo e anima, al bisogno di trovare un equilibrio tra opposte dimensioni. Questo equilibrio richiama la condizione originaria che in seguito al peccato dell’uomo è stata infranta e che richiede adesso un continuo sforzo e impegno per essere in parte recuperata. Il mito in questo caso, come era prassi nelle corti rinascimentali, viene visto come una lezione moraleggiante, uno spunto da cui trarre stimoli per la vita quotidiana e per le scelte che era necessario fare. Il peccato della lussuria, che negli amori di Giove trovava la sua più esplicita rappresentazione, rischia di far smarrire l’uomo nel piacere carnale, fine a sé stesso e con la spiacevole sensazione di un profondo vuoto interiore. Questo senso di vuoto costringe a un continuo “alzare l’asticella” nell’illusione di poter arrivare a una condizione soddisfacente. L’esito drammatico può essere una ricerca in cui la persona si sente smarrita e intrappolata e, quello che è ancora più triste, sola e impotente con enormi sensi di colpa e di vergogna. La lotta contro questa mancanza di senso è impossibile senza il sostegno e la protezione di un Potere Superiore, a cui ci si può affidare con completo abbandono: Dio sa fare per noi ciò che noi, da soli, non riusciamo a fare.