È accaduto in Iran ma sarebbe potuto succedere in un qualunque altro angolo di mondo. Reyhaneh Jabbari ha 19 anni, è una decoratrice. Un uomo, con la scusa di un’ offerta di lavoro, convince la giovane a seguirlo nel suo ufficio e tenta di stuprarla. Nel tentativo di difendersi, Reyhaneh afferra un pugnale e lo colpisce mortalmente. Legittima difesa penserete voi. Omicidio premeditato sentenzia il tribunale. Da quel momento trascorrono 7 lunghi anni passati tra isolamento, mortificazioni fisiche e morali, processi e vane proteste dell’ opinione pubblica internazionale.
Il 25 ottobre del 2014 la ventiseienne Reyhaneh Jabbari viene “giustiziata”per impiccagione. In base alla legge iraniana, dopo essere stata giudicata colpevole -nonostante la richiesta che le fosse riconosciuta la legittima difesa- solo la famiglia della vittima avrebbe potuto bloccare l’esecuzione. Invece è stata proprio la moglie dello stupratore a togliere lo sgabello che sosteneva il corpo di Reyhaneh.
Una donna che si rende complice di suo marito in nome dell’ onore da difendere, della reputazione da salvare, dell’ amore. Forse. Quella di Reyhaneh sembra una storia che viene da una terra lontana e quindi avrebbe potuto riguardarci poco. Ma non credete sia riduttivo archiviare questa tragedia umana nel cassetto dei diritti violati di un paese arretrato? Non è l’Iran ad essere retrogrado bensì il mondo intero!
Quanto accaduto a Reyhaneh accade ogni giorno nei tribunali del mondo e negli occhi delle persone piene di pregiudizi. Accade a tutte quelle donne che vengono stuprate e poi, piene di fiducia nella giustizia, si ritrovano nei tribunali a dire che no, non indossavano abiti succinti e non avevano il viso troppo truccato. Le vediamo tutte lì, adulte o bambine, al banco dei testimoni a raccontare che hanno cercato di gridare e che no, non erano consenzienti.
La sola differenza tra il tribunale iraniano e quello di un paese “civile” è quella che le donne non vengono impiccate. Almeno non con una corda. Ci impiccano, frustano, schiaffeggiano e seviziano con gli sguardi, con le frasi dette a labbra strette costringendoci ancora una volta a difenderci dalla legge e dalla sua ipocrisia, dall’uomo e dalla sua pochezza. Dall’ignoranza di chi sussurra che “ce la siamo cercata”. Reyhaneh è, suo malgrado, l’icona che testimonia quanta strada ci sia ancora da percorrere per fare in modo che una donna venga -almeno- riconosciuta come essere umano pensante.
Le parole di questa bella ragazza alla quale hanno portato via tutto, prima della sua stessa vita, sono un testamento che ha lasciato ad ognuno di noi e che devono, tassativamente e senza attenuanti, far riflettere:
“Cara Shole, mi hai insegnato che veniamo al mondo per fare esperienza e per imparare una lezione, e che ogni nascita porta con sé una responsabilità. Ho imparato che a volte bisogna combattere…sei stata tu a insegnarmi che bisogna perseverare, anche fino alla morte, per i valori.
“Ti ricordi quanto hai influenzato il modo in cui ci comportiamo? La tua esperienza però è sbagliata. Quando l’incidente è avvenuto le cose che ho imparato non mi sono servite. Quando sono apparsa in corte, agli occhi della gente sembravo un’assassina a sangue freddo e una criminale senza scrupoli. Non ho versato lacrime, non ho supplicato nessuno. Non ho cercato di piangere fino a perdere la testa, perché confidavo nella legge. Ma sono stata incriminata per indifferenza di fronte ad un crimine.
“Quanto ero ottimista ad aspettarmi giustizia dai giudici! Il giudice non ha mai nemmeno menzionato che le mie mani non sono dure come quelle di un atleta o di un pugile. E questo paese che tu mi hai insegnato ad amare non mi ha mai voluta, e nessuno mi ha appoggiata anche sotto i colpi dell’uomo che mi interrogava e piangevo e sentivo le parole piu volgari. Quando ho rimosso da me stessa l’ultimo segno di bellezza, rasandomi i capelli, sono stata premiata con 11 giorni d’isolamento!
“Cara Shole, cara madre, non piangere per quello che senti. Il primo giorno che nell’ ufficio della polizia un agente anziano e non sposato mi ha colpita per via delle mie unghie, ho capito che la bellezza non è fatta per questi tempi. La bellezza dell’ aspetto, la bellezza dei pensieri e dei desideri, la bella calligrafia, la bellezza degli occhi e di una visione, e persino la bellezza di una voce piacevole.
“Mia buona madre, cara Shole, più cara a me della mia stessa vita, il mondo non ci ama. Non voleva il mio destino. E adesso sto cedendo e sto abbracciando la morte. Perché nel tribunale di Dio incriminerò gli ispettori, il giudice, i giudici della Corte suprema che mi hanno colpita quando ero sveglia e non hanno smesso di abusare di me. Nel tribunale del Creatore accuserò tutti coloro che per ignoranza o menzogna mi hanno tradita e hanno calpestato i miei diritti.
“Cara Shole dal cuore d’oro, nell’altro mondo siamo io e te gli accusatori e loro sono gli imputati. Vediamo quel che vuole Dio. Io avrei voluto abbracciarti fino alla morte. Ti voglio bene”
Reyhaneh era figlia del mondo e dell’ Iran, era nostra figlia, nostra sorella e nostra madre. Avremmo potuto essere tu ed io. Ecco, io sono Reyhaneh Jabbari e il mondo intero mi ha uccisa perché figlio dell’ ignoranza