Dopo l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani da parte degli Stati Uniti avevo temuto quello che puntualmente è accaduto; il popolo iraniano ha messo da parte le contestazioni contro il governo e il Presidente iraniano Hassan Rouhani accusati di corruzione e di far sprofondare il paese in un isolamento internazionale non più sostenibile per scendere in piazza e manifestare in modo compatto contro il suo storico nemico: gli Stati Uniti. Si sono riviste scene da guerra del Golfo come bruciare la bandiera americana e quella israeliana, implorare una vendetta esemplare, chiesta a gran voce dalla figlia del generale nel giorno dei suoi funerali, gravi scontri e manifestazioni davanti all’ambasciata americana. Ho temuto che il grande, se pur sotterraneo e poco accentuato dai media occidentali, lavoro ai fianchi del governo attuato dai giovani e dalla élite iraniana fosse stato spazzato via in un attimo. Ma è bastato che Hassan Rouhani ammettesse, dopo vari tira e molla, che il boeing ucraino decollato da Teheran fosse stato abbattuto dall’Iran per un “errore umano” che la gente, soprattutto giovani tra cui tantissime donne, scendessero in piazza chiedendo a gran voce le dimissioni della sua Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei incuranti delle manganellate, degli arresti, dei proiettili di vernice, di perdere il bene più prezioso, la vita.
Sono state molte le celebrità, i giornalisti, gli scrittori che attraverso i social media, Twitter ed Instagram prima che venissero oscurati, hanno scritto messaggi di solidarietà alle famiglie delle vittime del boeing abbattuto in maggioranza iraniane, ad esprimere aspre critiche al governo, appoggiando i giovani ed invitandoli a scendere ancora in piazza. Sono stati tanti gli studenti iraniani dell’università Shahid Beheshti che hanno camminato intorno alla bandiera americana e a quella israeliana disegnate per terra senza calpestarle diffondendo poi il video su Twitter dimostrando il palese dissenso con le politiche del governo e dei suoi massimi esponenti, incuranti degli insulti ricevuti da chi li ha appellati come seguaci degli Stati Uniti e dello stato d’Israele. Come al solito l’Europa è stata colpevolmente in silenzio, solo il presidente americano Donald Trump, cavalcando il passo falso del governo iraniano, ha twittato in farsi: “Al popolo iraniano coraggioso e a lungo martoriato, sono stato con voi sin dall’inizio della mia presidenza e la mia amministrazione continuerà a stare con voi. Stiamo seguendo da vicino le proteste e siamo ispirati dal vostro coraggio”. E sin qui ci sono i giovani iraniani e gli avvenimenti degli ultimi giorni, ma la protesta più emblematica e dal potere mediatico potenzialmente destabilizzante per il regime iraniano arriva da tre donne. Sono tre giornaliste di radio e televisione che hanno chiesto scusa agli iraniani per aver mentito loro per anni leggendo notizie che ai loro occhi e al loro cuore erano evidentemente false. Dopo le ragazze silenziose che hanno protestato sfilandosi il loro hijab, un gesto pacifico, ma determinato, oggi sono queste tre giornaliste l’emblema dell’Iran che vuole cambiare.
La giornalista Gelare Jabbari ha scritto su Instagram: “scusatemi ho mentito per tredici anni”; la giornalista Zahra Khatami ha ringraziato il suo pubblico per averla seguita sino ad oggi affermando che non tornerà mai più in televisione.
La giornalista Saba Rad ha annunciato che dopo vent’uno anni di lavoro in televisione e in radio di non riuscire più lavorare per i media. I loro nomi sono scritti volutamente in grassetto perché i loro volti e i loro nomi devono restare impressi nella memoria di ognuno di noi, perché a loro non venga riservato l’ostracismo del fanatismo o peggio ancora diventare di una fatwa (vedi alla voce condanna a morte per procura”, perché sono sempre le donne, in qualunque latitudine si trovino, a metterci la faccia, perché sono sempre le donne che quando il gioco si fa duro a pagare il prezzo più alto, perché sono sempre le donne quelle “da zittire”, perché sono sempre le donne le promotrici dei cambiamenti sociali e culturali. A mio avviso è stato una notizia debordante, ma poco battuta dai media e che non ha avuto la giusta eco; paradossalmente invece sono questi spiragli di libertà e di profondo malessere del popolo iraniano verso i suoi governanti che l’occidente non sa cogliere o peggio ancora non sa che farsene. Comunque la si pensi la protezione, anche mediatica, ai giovani iraniani e in particolar modo alle tre giornaliste che ci hanno messo la faccia deve essere incondizionata senza se e senza ma, non vorrei che i riflettori, già poco accesi, si spegnessero in fretta minimizzando la portata degli avvenimenti che stanno scuotendo l’Iran. Perché nella strategia geopolitica dell’Iran nessuno può fare a meno, perché l’Iran non è assimilabile, per storia e cultura, al resto del medio oriente (vedi alla voce come maggior oppositore dell’Isis, ma l’occidente si schiera con le monarchie del Golfo e della loro politica ambigua), perché l’Iran può essere la chiave di volta dei rapporti tra occidente ed oriente, perché è dal popolo iraniano che arriva il vento del cambiamento, un vento alimentato soprattutto dalle donne e dalla loro rivoluzione gentile, ma puntuale.