In Angola, ex colonia portoghese, nazione ricca di petrolio, gas, oro e diamanti il 30 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà, il reddito medio è di 250 dollari al mese e un terzo dei cittadini sopravvive con meno di due euro al giorno, eppure, nella stessa nazione, Isabel Dos Santos possiede personalmente, secondo il Forbes, una fortuna stimata in più di 2 miliardi di dollari.
La donna, è figlia dell’ex presidente dell’Angola Jose Eduardo Dos Santos che ha governato il Paese per trentotto anni, dal 1979 al 2017, e della sua prima moglie, Tatiana Kukanova, campionessa di scacchi russa, originaria dell’Azerbaigian.
Dopo la separazione dei genitori, Isabela si trasferì con la madre a Londra ma non soffrì mai i patimenti economici di quel distacco. Frequentò fin da subito gli ambienti più esclusivi, una scuola d’eccellenza femminile e il King’s College, dove studiò ingegneria.
A Londra Isabel conobbe Sindika Dokolo, un collezionista congolese figlio di una danese e di un milionario di Kinshasa con il quale nel 2002, a Luanda, convolò a nozze.
Quando la guerra civile finì Isabel fece ritorno in Angola e, con l’aiuto del padre presidente, mise le mani sulle terre, sul petrolio, sui diamanti e sulle telecomunicazioni della nazione arricchendosi a scapito della sua gente.
“Si tratta di soldi sporchi”. E’ questa oggi, la gravissima accusa rivolta, sempre con maggior insistenza, a Isabel Dos Santos.
In effetti, i guai della donna sono cominciati da quando, nel 2017, il padre lasciò lo scranno più alto del Paese al successore, Joao Lourenço. Da allora per lei è cominciata un’irrefrenabile discesa culminata con il congelamento dei suoi beni ordinato da una Corte di Luanda.
L’azione di forza è stata resa possibile grazie al nuovo capo dello Stato che ha creato un’agenzia anti-corruzione che poche settimane fa, il 23 dicembre 2019, ha ottenuto un maxi-sequestro giudiziario dei beni di Isabel e del marito, accusati di aver sottratto oltre un miliardo di dollari alle casse pubbliche.
La donna si difende sostenendo che si tratti di una congiura ordita contro di lei dal governo angolano. Eppure i fatti sembrano contraddirla.
La stampa di tutto il mondo si è mobilitata per cercare la verità. Ha avuto accesso a oltre 700mila documenti relativi al suo impero, ottenuti in gran parte dalla piattaforma per la protezione degli informatori in Africa e condivisa con il consorzio internazionale dei giornalisti investigativi “Iclj” di cui fa parte l’Espresso in esclusiva per l’Italia.
Si tratta di una cordata che comprende più di 120 giornalisti di trentasette testate di tutto il mondo che lavorano alacremente all’inchiesta giornalistica, denominata Luanda Leaks, documentando che Isabel ha accumulato un patrimonio inestimabile occultato in decine di società offshore.
I documenti rivelano, tra l’altro, che il suo impero è composto di oltre 400 società e che ha proprietà di lusso in alcuni dei posti più prestigiosi del mondo, da una casa da 55 milioni di dollari a Monaco a un’isola privata a Dubai a uno yacht da trentacinque milioni.
Ma soprattutto, i documenti dimostrano, secondo i giornalisti che li hanno studiati, che Isabela Dos Santos ha costruito la sua fortuna grazie alla corruzione e allo sfruttamento delle risorse statali dell’Angola.
La donna e il marito Sindika Dokolo, hanno respinto tutte le accuse di corruzione e nepotismo, mosse dai giornalisti definendo il sequestro giudiziario «un attacco politico orchestrato dal nuovo governo angolano, totalmente infondato» ma ormai il corso della giustizia sembra inarrestabile. Anche la Bbc, possiede nuovi documenti che confermerebbero il sospetto dell’illiceità dei suoi affari aprendo la strada a nuove azioni giudiziarie.
Per par condicio, va detto che Isabel Dos Santos non è l’unica della famiglia ad avere problemi con la Legge. La sua sorellastra è stata espulsa dal parlamento per assenteismo mentre il fratellastro José Filomeno dos Santos sta affrontando un processo per corruzione, ma fra tutti è stata Isabela a “fare più strada” anche se a oggi pare gravemente compromessa la sua possibilità di continuare ad accumulare ricchezza.
La donna cominciò la sua carriera con un incarico dirigenziale per una per una società di nettezza urbana a Luanda, la capitale del paese, poi creò un’azienda propria di trasporti, poi ancora entrò nel settore delle telecomunicazioni mobili e negli anni successivi comprò un quarto di Unitel, diventato oggi il principale operatore telefonico del paese.
Anche per quanto riguarda le estrazioni di diamanti – oggetto di numerose battaglie in tutto il mondo per la tutela degli uomini e dei bambini che lavorano in condizioni disumane – si sono registrate delle illegalità.
Il marito di Dos Santos firmò, infatti, un accordo con la società angolana di estrazione diamantifera per acquisire l’azienda di gioielli di lusso svizzera De Grisogono senza tener poi fede agli impegni presi.
Si stima che i fondi statali usati illegalmente abbiano causato danni economici al paese per circa un miliardo di dollari
Il New York Times rivela inoltre che i documenti mostrano come alcune grandi banche internazionali abbiano rifiutato in questi anni di avere come cliente Dos Santos, che invece ha collaborato a lungo con alcune delle più grandi società di consulenza finanziaria al mondo come Boston Consulting Group, McKinsey & Company e PwC.
Eppure, secondo alcuni esperti di riciclaggio di denaro e contabili contattati dal giornale, c’erano «ovvi segnali d’allarme» che negli affari di Dos Santos fossero coinvolti fondi statali usati illegalmente, ma evidentemente, in molti hanno preferito tacere, probabilmente per ottenere ognuno un tornaconto.
Questo, in fondo, è quello che ci insegna la storia.