Il Centro studi e ricerche Idos presenta oggi il suo ultimo rapporto sulla “vecchia” e la “nuova” immigrazione all’estero, progetto finanziato Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e realizzata in partnership con il Circolo studi diplomatici. Lo studio ha coinvolto italiani che risiedono all’estero per varie ragioni e che intrattengono diversi tipi di rapporto con la madrepatria, assumendo che nei primi mesi dell’emergenza sanitaria il governo ha rimpatriato, tramite voli umanitari e collegamenti via mare, oltre 72 mila italiani da 60 paesi esteri in cui si trovavano per motivi diversi (compreso il turismo).
Secondo quanto emerso, gli emigrati di giovane età avrebbero sostenuto con vigore i cambiamenti legati alla pandemia, senza bruschi cambiamenti nello stile di vita e nel lavoro, fruendo persino degli ammortizzatori sociali previsti dal governo locale. Ciò non toglie, tuttavia, che in molti facciano fatica ad andare avanti: Il Consiglio generale degli italiani all’estero (Cgie) stimava ad aprile che in pochi mesi sarebbero rientrati in Italia quasi 150 milalavoratori a causa della probabile chiusura delle loro piccole e medie imprese oltre confine, in particolare della ristorazione.
A subire maggiormente i contraccolpi della crisi sono gli italiani di recente emigrazione (che negli ultimi 3 anni hanno raggiunto quota 450mila), non trovando neppure nella madrepatria gli aiuti di cui necessitano: paradossalmente, in caso di indigenza gli emigrati italiani di ritorno non possono fruire del reddito di cittadinanza, poiché incappano nello stesso impedimento che ostacola tanti stranieri (non essere stati residenti in Italia continuativamente nei precedenti 5 anni). In compenso, grazie al decreto Rilancio, hanno potuto accedere al reddito di emergenza, purché abbiano ripreso la cittadinanza italiana entro giugno.