“Al di là di tutte le differenze di tempi e culture,
questo tratto essenziale – la santità – accomuna senza dubbio Francesco,
che accoglieva come fratelli i briganti, a Simone,
e costituisce la lezione fondamentale che entrambi ancora oggi ci trasmettono”.
Sabina Moser, Una santità geniale. Simone Weil in dialogo con san Francesco (Le Lettere, 2024)
Edith Stein: Testamento spirituale
Fin d’ora accetto con gioia la morte che Dio mi ha riservato,
sottomettendomi pienamente alla sua sacra volontà.
Prego il Signore, di voler accettare la mia vita e la mia morte
a suo onore e lode, secondo le intenzioni della Chiesa.
(Gabriella Bianco, Edith Stein, Holocaustum, in, Ho solo paura di sbagliare la mia morte, 2000)
Simone e Francesco, l’aspirazione alla santità

Simone Weil espresse più volte esplicitamente la sua ammirazione per san Francesco, dal quale dichiarò di esser stata conquistata fin dal primo momento in cui ne era venuta a conoscenza, e lo considerò davvero come un alter Christus, perfetta incarnazione della parola evangelica.
Esiste una convergenza tra queste due singolari figure “rivoluzionarie”, lontane nel tempo, ma vicine spiritualmente, espressione entrambe dell’aspirazione alla “santità”, in cui Simone Weil indicò chiaramente il bisogno di un cristianesimo completamente rinnovato, ovvero di una nuova religione dei nostri tempi.
Esplorando il legame che unisce Simone, laica contemporanea, al cristiano medievale Francesco, senza tralasciare di notare le differenze tra i due, si stabilisce una profonda intesa su temi essenziali, quali la bellezza, il distacco da se stessi e l’imitazione di Cristo aderendo alla volontà di Dio, la necessità di mettere in atto l’insegnamento del Vangelo, per renderlo umanamente credibile ed efficace.
Ripercorrendo la storia della spiritualità in Francesco d’Assisi e Simone Weil nel saggio “Santità geniale” (presentazione di Marco Vannini), la studiosa Sabina Moser analizza gli influssi di Francesco presenti nella riflessione di Simone: povertà, obbedienza, fraternità. In queste due esperienze di vita apparentemente lontane, risultano affinità sorprendenti.
Commenta Sabina Moser: “Come tutti i mistici, anche Simone non si stanca di ripetere che non c’è vita dello spirito dove manca la libertà generata dal distacco. Questa può nascere solo là dove il “grosso animale” scompare: non c’è spiritualità se non là dove il grosso animale si dissolve”. “C’è nell’intimo di ogni essere umano, dalla prima infanzia sino alla tomba e nonostante tutta l’esperienza dei crimini commessi, sofferti e osservati, qualcosa che si aspetta invincibilmente che gli si faccia del bene e non del male. È questo, prima di tutto che è sacro in ogni essere umano. Il bene è l’unica fonte del sacro. Solo il bene è sacro, e quanto è relativo al bene”.
“Sono stata conquistata da san Francesco fin da quando ne ebbi conoscenza”, afferma Simone Weil che, però non studiò specificamente gli scritti francescani, né fu a conoscenza della letteratura critica in materia, neppure della fondamentale – e diffusissima – Vie de Saint François d’Assise di Paul Sabatier, la cui edizione definitiva è del 1931.
Sabatier e Lombroso

La figura di Francesco comincia ad assumere rilievo nelle pagine di Lombroso a partire dalla quinta edizione dell’Uomo di genio (1888). Il libro, nato da Genio e follia fin dal 1864 dalla prolusione alle sue lezioni di Pavia, cresce nelle edizioni successive (1872, 1877, 1882), si arricchisce via via di temi e capitoli, e cambia infine titolo nella quinta edizione del 1888, assumendo appunto quello, l’Uomo di genio, che manterrà anche nella successiva e ultima edizione italiana del 1894.
Il quadro generale destinato ad accogliere Francesco d’Assisi è dunque esistente fin da Genio e follia, e si fonda sulla capacità innovativa dei profeti e dei rivoluzionari: essi soli combinano l’originalità che è tipica dei geni e dei pazzi con un altruismo esaltato che li porta “a sacrificare i proprî interessi e la vita per far conoscere e spesso accettare i nuovi veri al pubblico, a cui ogni innovazione è sempre in-accettata”.
Nel passaggio da Genio e follia all’Uomo di genio, la categorizzazione non cambia, ma si arricchisce di qualche tratto: i santi sono “i geni della bontà”, il loro folle altruismo è un’anomalia, seppure grande e benefica, è una “ipertrofia dell’affetto”. Tra questi Lombroso annovera Francesco d’Assisi, quando nel 1888 gli dedica una lunga trattazione nel capitolo sui pazzi e mattoidi politici e religiosi. Nella visione di Lombroso, Francesco d’Assisi è appunto un mattoide religioso. La rivoluzione spirituale assume i tratti di una originalità fuori misura, di un eccesso d’amore che nasce da uno “stato morboso dell’anima” che si esprime nell’esaltazione altruistica.
Nel 1893 escono in Francia due libri, uno alquanto dimenticato e l’altro destinato a un successo immenso in tutta Europa: il primo è di Albert Bournet, S. François d’Assise. Étude sociale et médicale, il secondo è la Vie de S. François d’Assise di Paul Sabatier, che uscì nel novembre 1893 e arrivò a 44 edizioni solamente in Francia fino alla definitiva, postuma, del 1931.
Quando il 29 novembre 1893 sulla rivista La Cultura fu pubblicata una lettera di Paul Sabatier, l’informazione sull’opera recentissima di Sabatier non poteva non destare l’attenzione di Cesare Lombroso, lettore assiduo della rivista, che annunciava appunto la pubblicazione della Vie de S. François d’Assise, di materia francescana di Paul Sabatier, l’iniziatore degli studi francescani moderni.
Si stabilì una corrispondenza e, da parte di Lombroso circa l’Uomo di genio, si esprimeva la volontà di integrare le ricerche di Sabatier, forse proprio relativo a quel delicato tema di miracolo/dimensione sovrannaturale che Lombroso richiama nella sua risposta a Sabatier. In quanto a Sabatier, che era uomo di proverbiale signorilità, insiste sul carattere purement scientifique del suo lavoro, e coglie l’occasione per ribadire la specifica italianità di Francesco, rappresentante supremo del carattere di una nazione.
Il libro impressionò Lombroso, e un documento successivo fa capire meglio che cosa soprattutto egli volesse leggere nel Sabatier francescanista. Infatti, il primo maggio 1905 esce sull’Avanti!, quotidiano socialista, un articolo del criminologo intitolato Neo Francescani e neo socialisti, integralmente fondato, per sua stessa dichiarazione, sull’opera di Sabatier, che mostra un certo aggiornamento lombrosiano sulla materia francescana.
Seguendo Sabatier, Lombroso sottolinea che dalla storia del santo di Assisi nasce una potente proposta di riforma sociale in senso antigerarchico e di ritorno alle origini cristiane; la proposta conosce una successiva canalizzazione del moto innovatore entro l’istituzione, che riesce a controllare e infine ad annullare la potenzialità trasformatrice del movimento. Francesco è agli occhi di Lombroso un riformatore sconfitto, più un generoso perdente che un mitomane.
Va tuttavia sottolineato che la Vie de S. François d’Assise di Sabatier toccò molto Lombroso; e del resto il libro faceva di questi miracoli tra gli scienziati della mente, visto che folgorò anche, più di un decennio dopo, il giovane francescano Agostino Gemelli, di formazione psicologo sperimentale e allora nella sua breve fase di simpatie moderniste. Ma non meno lo colpì il suo pensiero in materia di separazione fra Chiesa e Stato e di appoggio ai fermenti del modernismo cattolico, di cui Sabatier, pastore protestante e antico allievo di Ernest Renan, divenne uno dei numi tutelari.
De-creazione
Nel quadro di vita vissuta, Francesco e Simone optarono, con rigore, per una scelta personale nel rapporto fra la loro anima e Dio stesso; non si trattò di solipsismo ma di uno sguardo che coglieva il loro tempo con tutti i suoi drammi. Simone Weil mutua da Charles Péguy il concetto di de- creazione, ritenendo che proprio la de-creazione potesse imprimere sulla storia e sull’umanità note di positività.
Se Francesco e il movimento francescano rinnovarono la Chiesa e la società, Simone, abbracciando l’esempio francescano di vita evangelica, comprese che “occorre comunque una nuova religione. Oppure un cristianesimo mutato al punto di essere diventato altro, o altra cosa”. Vannini, nel libro di Moser “Una santità geniale”, commenta : “Abbiamo fondati motivi di ritenere che questo cristianesimo rinnovato, o, per meglio dire, ‘ritirato al suo principio’, fosse per Simone quello incarnato nella vita evangelica del santo di Assisi, così lontano da noi per tanti aspetti, eppure anche così vicino”.
In Simone riconosciamo il cammino spirituale, che si incentra su La volontà di Dio, cui (con)segue La Bellezza. Il terzo passo scava nell’umanità quotidiana attraverso L’imitazione di Cristo, si manifesta nell’esercizio della decreazione e si concentra nel vissuto L’Evangelo in atto. In questo ritirarsi, brilla il concetto di “decreazione“, presente nell’ultima Weil, come paradigma cosmologico e morale, con cui si possono spiegare molte contraddizioni del mondo reale: accogliere la “decreazione” diventa conseguenza inevitabile dell’atto creativo, inteso come una sorta di abbandono.
Sottolineando il concetto di decreazione, Simone Weil tra mistica e Vangelo, scrive: “Creando ciò che è altro da Lui, Dio ha necessariamente abbandonato l’uomo. La creazione è abdicazione”. Svuotandosi della sua divinità, Dio compie “l’ atto che è il fine dell’atto che ci ha creati”. La nozione di “decreazione” come tensione suggerisce di disfare la creatura che l’uomo ha dentro, racchiusa e definita dal sé.
Sia Simone che Francesco vollero vivere sulla strada dell’abbandono dell’ego e di tutte le sue esigenze egoistiche, autocentrate e venate di narcisismo, attraverso la povertà, l’umiltà, l’obbedienza, l’amicizia fraterna, il valore della sofferenza e l’apertura gioiosa alla bellezza del mondo. E così, nel frammento che prelude l’assenza, si rivela l’intero.
(Continua)