La propaganda del presidente argentino Javier Milei prosegue anche dopo la sua elezione dello scorso 10 dicembre, portando avanti alcune delle sue più incisive idee di economia politica che lo contraddistinguono da tempo. Sinora, tra colpi di scena e dietrofront, l’idea di abolire la Banca Centrale è rimasta al centro dei suoi desideri. “Il controllo dei capitali è immorale”, ha affermato nel corso della sua attuale visita nella città di Madrid, ove è stato invitato a partecipare ad un meeting del partito di estrema destra spagnolo “Vox”. “La chiusura della Banca Centrale rimane uno dei nostri principali obiettivi”, ha proseguito, rispondendo ad una precisa domanda con la consapevolezza che la “dollarizzazione” dell’Argentina sia l’unica soluzione al più grande problema economico che il Paese affronta da decenni: l’iperinflazione.
Nell’appena trascorso mese di aprile, l’Argentina ha registrato un’inflazione annua del 289%, l’aumento più alto dal 1991, nonostante una decelerazione del tasso mensile e le ottimistiche dichiarazioni dello stesso presidente che, invece, ha parlato di decremento dell’indice dei prezzi al consumo del 10% come esempio del funzionamento delle politiche di governo che, sempre a suo dire, hanno permesso ai salari di iniziare a crescere superando la svalutazione. Nel frattempo, il tasso di povertà in Argentina ha raggiunto il record ventennale del 57,4%.
Dovendo far fronte ad un’inflazione drammatica, che nel precedente mese di marzo ha sfiorato il 300%, la Banca Centrale ha annunciato di aver posto in circolazione la nuova banconota da 10.000 pesos che rappresenta, adesso, il taglio più grande disponibile (10 euro circa il suo controvalore), con la previsione per il prossimo settembre dell’introduzione di una nuova banconota addirittura da 20.000 pesos. Prima di quest’ultima novità, il taglio più elevato di banconota era costituito da “soli” 2.000 pesos.

L’abolizione della Banca Centrale porterebbe alla cancellazione di tutti questi problemi, che si traducono in costi reali di produzione delle banconote fisiche e in un sovraccarico di lavoro per la zecca. In passato, produrre una banconota costava più del suo stesso valore mentre invece oggi, per sopperire alla necessità di immettere in circolazione il denaro, ci si è dovuti affidare per la stampa a Brasile, Cina e Spagna, ingenerando ulteriori costi per lo Stato.
La soluzione prevista dal presidente, per lo più idealizzata, prevede la cancellazione del pesos e l’introduzione del dollaro americano. “L’inflazione è un fenomeno monetario”, aveva ribadito Milei rispondendo alle critiche che gli erano state mosse dall’ex presidente Cristina Kirchner, additata invece di non conoscere “alcune questioni economiche fondamentali”. L’idea della dollarizzazione c’è, ma per poterla attuare è necessario del tempo, ha proseguito Milei, confermando tutta una serie di misure già adottate per raggiungere questo scopo. “Oggi abbiamo una base monetaria di circa 8 miliardi di dollari e abbiamo acquistato riserve per 7 miliardi. Abbiamo coperto l’87% della base. Siamo riusciti a sgonfiare passività e attività, ma soprattutto abbiamo ripulito il debito degli importatori” aveva dichiarato il leader ultraliberista un paio di mesi fa. Utilizzando il dollaro statunitense come moneta nazionale si arginerebbero tutti i fenomeni negativi legati ad una moneta nazionale debole, attraendo investimenti, con la garanzia di una stabilità economica generale. Per raggiungere questo obiettivo è necessario privatizzare “tutto ciò che può essere privatizzato”, dalla sanità all’istruzione, per ridurre al massimo le spese statali, ma questa è un’altra storia.

Casa Rosada – Presidenza della Repubblica Argentina
Forte sostenitore degli Stati Uniti, Milei, in chiave economica, aveva da subito affermato di voler mettere da parte una possibile via di uscita alternativa, ovvero quella dei Brics già indicata dai suoi predecessori perché, a priori, non vuole scendere a patti con paesi “comunisti”. Soltanto i privati potranno raggiungere interessi e scambi commerciali con Russia, Cina e partners, perché a quel punto queste “sono decisioni del settore privato e noi dobbiamo separare la visione geopolitica da quella commerciale”.
Milei, a sostegno della propria filosofia, cita l’esempio di diversi altri Paesi al mondo che hanno adottato il dollaro statunitense quale propria moneta nazionale, indicando, tra gli altri, il vicino Ecuador, la cui scelta “ha avuto molto successo”. Quanto a previsioni temporali, in un’intervista dello scorso febbraio, Milei ha ipotizzato che il processo di trasformazione economica non sarà completato nel 2024, lasciando pertanto intendere che tutte le condizioni potrebbero invece essere realizzate per il 2025 in linea con le iniziali previsioni secondo cui, per poter concretizzare la svolta economica argentina, si sarebbero resi necessari un paio di anni. Di ulteriori sacrifici, ma con la promessa di un nuovo e fiorente futuro per tutti.