9 novembre 2024 – Lo storico anniversario cade in una situazione per l’Europa ben diversa da qualunque immaginabile trentacinque anni fa, una situazione la cui involuzione nulla è stato fatto per fermare. Una valutazione fredda impone di prendere atto della realtà e agire oggi con la stessa tensione ideale che, dopo decenni, produsse l’eliminazione del Muro di separazione tra Berlino Est e Berlino Ovest.
Il 9 novembre 1989, trentacinque anni fa, “cadeva” il muro di Berlino. Moriva così simbolicamente la separazione militare tra Europa occidentale e orientale, stigmatizzata dalla mitica “cortina di ferro”, che sembrò afflosciarsi di colpo come una scenografia di legno e cartapesta. La sua caduta, come per tutti gli eventi storici, divenne rapidamente una leggenda, anzi si moltiplicò in tante leggende. Si proclamò che il conflitto tra democrazia e totalitarismo era stato vinto dalla prima, si credette che il mondo sarebbe irreversibilmente cambiato tanto che uno storico sentenziò “la fine della storia”. Tutti i partiti comunisti europei (forse l’italiano fu tra i primi, coerentemente con l’immagine che descrive gli italiani come opportunisti e voltagabbana) corsero a cambiare nome e ragione sociale, con qualche eccezione. Nacque l’illusione che il sistema politico predominante negli Stati a Occidente della cortina fosse il migliore. Nacque l’illusione che tutto ciò che era stato fatto negli ottanta anni precedenti nell’Unione Sovietica fosse sbagliato. Nacque l’illusione che fosse stata l’Europa occidentale a far cadere il muro. Nacque, in poche parole, l’illusione che tutto fosse stato risolto e che il mondo, seguendo la visione politica dei vincenti, fosse rivolto verso un luminoso futuro di benessere per tutti.
Non è andata così. Ognuna delle illusioni si è rivelata non solo fallace, ma distruttiva: la credenza che tutti i problemi fossero stati risolti ha spento le visioni politiche innovative, e si sono aperte praterie all’azione di politici miopi, mentre non uno solo dei problemi rimasti fu affrontato, e se lo fu mancarono chiarezza e profondità di visione.
Contemporaneamente l’Europa occidentale, vedendo solo se stessa, iniziò il processo di disarmo mentale e psicologico che l’ha resa oggi il subcontinente più indifeso di fronte alla immigrazione di massa da altri subcontinenti, forse il più ambito, ma certamente il meno rispettato nel mondo. Gli USA credettero che la vittoria sull’Unione Sovietica fosse la dimostrazione che ogni guerra potesse essere vinta con una combinazione di forza economica e militare, e da allora le hanno perse tutte.
Nell’entusiasmo della vittoria gli USA trascurarono le stesse ragioni che avevano consentito una caduta pacifica del Muro. L’essere l’Unione Sovietica totalmente europea nel suo avere un governo centralizzato, forze armate che obbedivano a un centro ben determinato, un popolo che amava gli ideali del socialismo ma che non ne poteva più di una classe dirigente inefficace e parassitaria, vennero considerati fattori accidentali. Rafforzati da questa illusione che neppure la sconfitta in Vietnam era riuscita a togliere, e successivamente neanche quella in Afganistan, gli USA si sono ancora più convinti di essere il miglior sistema sociale esistente, senza se e senza ma, e hanno cominciato a imbarcarsi con entusiasmo in una serie di guerre dove hanno continuato a non vincere, e quindi a perdere.
Trentacinque anni dopo il crollo del Muro nel mondo agiscono forze distruttive ben presenti anche prima, ma verso le quali Europa Occidentale e USA sono state cieche, tutte perse nei loro conflitti interni. Lo stesso errore compiuto dai vincitori della guerra 1914-18 verso la Germania, che fu messa in ginocchio e umiliata senza saper approfittare della pace per realizzare un’unione politica foriera di pace, è stato commesso dai vincitori della guerra (fredda) 1945-1990 verso la sconfitta Unione Sovietica: nel momento in cui forse sarebbe stato possibile innescare un processo che avrebbe portato a un’unione politica (una “vera” Unione Europea) foriera di pace, si è preferito lasciare l’ex-nemico a sé stesso, nel kaos.
Non solo si è agito in modo che nel 1991 si frammentasse in tanti stati indipendenti, che tutto ciò che era pubblico fosse “privatizzato” (attuando processi identici a quelli attuati in Italia nel XIX secolo con la privatizzazione dei beni della Chiesa, quando al prezzo di una carrozza gli “amici” poterono acquistare latifondi), acquisendo gli ex “stati satelliti” dell’URSS all’area del libero mercato, e lasciando quel che restava a una crisi economica devastante. Errore gravissimo che oggi si sta rivelando in tutta la sua portata, perché gli Stati o sono alleati o sono nemici, anche se con molta cortesia. Non esiste l’indifferenza. E gli USA hanno continuato ad agire con costanza per indebolire la Federazione Russa, mentre la UE ha rifiutato anche solo l’ipotesi di studiarne l’ammissione.
Tutte le forze che erano rimaste dietro le quinte, mentre il palcoscenico era occupato nella seconda metà del XX secolo dal conflitto tra USA e URSS, e nella prima metà dalle due guerre civili europee, hanno però continuato ad agire, modificare il mondo ed evolvendosi. Nelle stesse condizioni hanno prodotto gli stessi effetti: nel 1914 iniziò il genocidio dei cristiani armeni, che gli Stati europei non fecero nulla per fermare; nel 2014 ci fu il genocidio dei cristiani iracheni-siriani, che gli Stati europei non fecero nulla per fermare; nel 2024 è in corso a Gaza il massacro anche dei cristiani palestinesi.
Nel 2014 gli USA fecero di tutto per avere in Ucraina un governo filo-USA, ci riuscirono, e inizio il conflitto armato tra la maggioranza Ucraina dominante a Ovest e la minoranza russa dominante a Est. Le argomentazioni e le alleanze oggi sembrano ben diverse, eppure i ragionamenti dei politici sono troppo simili a quelli di un secolo fa. Un’Europa che avrebbe potuto essere unita, e i legami economici tra Est e Ovest sembravano portare verso quell’obiettivo, oggi è impegnata nell’ennesima guerra civile tra europei. Il muro di Berlino è stato distrutto, ma nei decenni è stato ricostruito spostandolo sempre più verso Est, e oggi si è arrivati al punto di bombardare la capitale russa, e poi ci si stupisce che la Russia, dopo ben otto anni di trattative, abbia reagito con una dimostrazione di forza che poteva essere risolta con una trattativa e si è voluto trasformare in una guerra per “indebolire la Russia”.
E’ lo stesso tipo di ragionamento che per “indebolire la Germania” dopo la prima guerra mondiale portò alla reazione tedesca, incarnata dal governo nazionalista hitleriano, e alla seconda guerra mondiale. Contemporaneamente è stata trascurata la crescita in Europa, anche grazie all’immigrazione indiscriminata, dell’ideologia islamista. Si alzano barriere di parole, dove la più usata e abusata è “terrorismo”. Ma è corretto?
Definire “terrorismo” un qualcosa che ha prodotto un’entità sovrana come lo Stato Islamico di Siria e Iraq, è esattamente come definire terrorismo (lo fecero i tedeschi) un qualcosa (la guerra di Resistenza) che ha prodotto lo Stato Italiano, è come definire terrorismo (lo fecero gli Inglesi in Palestina) qualcosa che ha prodotto lo Stato di Israele. La parola “terrorismo” è certamente comoda da usare, e consente di fondere insieme la cosa e giudizio, al contempo sminuendola, ma forse (forse?) è clamorosamente sbagliato usarla per definire azioni che sono parte di una vera e propria guerra. Proclamata, dichiarata e attuata.
Certamente la distruzione delle torri del World Trade Center di New York fu un’azione terroristica, perché voleva indurre terrore nel popolo USA, e infatti ha perfettamente raggiunto il suo obiettivo. Esattamente come le incursioni dell’esercito USA nei pacifici villaggi vietnamiti (ricordare My Lai) volevano indurre terrore. Il terrorismo è in fondo nient’altro che una tattica di guerra, e non è militarmente saggio definire un nemico che attua azioni terroristiche con migliaia di morti, bloccando per anni la superpotenza USA senza che ottenga un solo vantaggio, esattamente con lo stesso termine con cui viene definito un gruppuscolo che ha solo la forza di mettere qualche bomba e uccidere qua e là qualcuno.
Contemporaneamente in questi decenni l’Europa Orientale si è scissa in due, una parte chiede di entrare nell’Unione Europea e viene accolta, mentre un’altra parte (la Federazione Russa) viene ancora considerata un nemico, e giustamente reagisce rivendicando con forza la sua identità culturale e politica, che però viene respinta mentre, paradossalmente, viene riconosciuta a tutti i livelli quella dell’Ucraina che non ha una identità unica, ma ha anche una fortissima minoranza russa. Si parla di democrazia, dimenticando che la democrazia funziona quando esiste “un solo” popolo su un territorio, non quando ne esistono due o più. Le guerre jugoslave non hanno insegnato nulla.
In politica, e non solo in politica, la paura fabbrica nemici, anche quando non ce ne sono. L’ottantanove allora fu una fugace illusione? Sì, e non solo per tutte le ideologie che l’hanno usato, e lo usano, come argomento a loro favore. No, se si guarda al perché il muro sia crollato. L’espressione “crollo”, a ben vedere, trasforma la realtà e fa credere che la sconfitta dell’Unione Sovietica sia arrivata inaspettatamente, come un dono della natura; o peggio come un meccanismo di autodistruzione automatico del regime sovietico. In realtà il Muro non cadde da solo, ma fu abbattuto.
La sconfitta dell’URSS fu l’esito di una combinazione di una “guerra fredda” certamente con molti morti, di una guerra economica combattuta dalla potenza economica allora preminente (gli USA) contro una potenza militarmente iperdimensionata, di un’inefficienza interna del sistema sovietico ormai anchilosato e arteriosclerotico per le troppe generazioni di eredi che avevano silenziosamente ricreato un’aristocrazia quasi imperiale, di una popolazione di manager che gestivano la cosa pubblica nel proprio interesse (e che sono corsi ad appropriarsene, per quanto hanno potuto, subito dopo la sconfitta e il crollo economico), della presenza di troppi conflitti impossibili da gestire per una politica troppo centralizzata.
La sconfitta del sovietismo come ideologia è però un caso unico, perché è stata generata anche dalla stessa causa che agli inizi ha generò socialismo e comunismo: l’aspirazione a una società più libera quando tutto sembra agire nel verso contrario. Certamente gli operai massacrati nel 1870 nell’insurrezione della Comune di Parigi avrebbero visto i loro fratelli negli operai della polacca Solidarnosc, volendo anch’essi vincere contro un regime fondato su menzogna e repressione. Per vincere occorre però una tensione ideale basata su ideologie realistiche, ricche di speranza, ma portate avanti da persone che combattono per esse proprio perché aborriscono la violenza inscritta nel sistema sociale, qualunque violenza inclusa quella che costruisce lo sfruttamento dei poveri.
Questa tensione ideale si è incarnata anche in Giovanni Paolo II, quando proclamava il suo “Non abbiate paura!”, e questa tensione, che non si può chiamare che “cristiana” (il che non significa che ogni cosa che si chiama cristiana sia pervasa da questa tensione, la realtà è stata ed è ben diversa), aveva silenziosamente pervaso anche molti dei politici di allora. Non si spiegherebbe altrimenti il comportamento di un Gorbaciov né la sua “perestrojka”. Se le altre leve avevano intaccato il sovietismo, è stata questa leva “ideologica” a fermare le armi di chi avrebbe potuto usarle ancora una volta. La rivoluzione pacifica nella DDR sarebbe stata impensabile senza gli sviluppi che la precedettero nell’Europa dell’Est. Carta 77 in Cecoslovacchia, Solidarnosc in Polonia, lo smantellamento dal lato ungherese delle frontiere con l’Austria; tutti passi che hanno cooperato al fine. La storia dell’Europa Orientale non ha certo potuto confutare che “la religione è l’oppio dei popoli”, ma ha però dimostrato che “la fede smuove le montagne!”.
I tempi della storia sono lunghi. Il 9 novembre 1918 chiuse l’Impero germanico, con l’abdicazione del Kaiser Guglielmo II. Scelta che sembrò decisiva, ma quell’abdicazione fu avvertita da molti come causata dal “tradimento” interno dei movimenti socialisti, e solo cinque anni dopo, il 9 novembre 1923, il NSDAP – Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori Tedeschi tentò di rovesciare la Repubblica di Weimar, e il tentativo fallì. Il fallimento sembrò chiudere ogni speranza al NSDAP, che cessò di essere oggetto di attenzione. Gravissimo errore, tanto che solo quindici anni dopo, il 9 novembre 1938, le truppe di SS e SA scatenarono la “notte dei cristalli”. Dopo una guerra “fredda”, trentasei anni dopo, cade il Muro di Berlino, ultima separazione tra le due Europe. Anche in questo caso, soffiò forte il vento dell’illusione, e si credette che “la storia fosse finita”, e ogni problema risolto.
Dieci anni fa l’Unione Europea non univa veramente ventotto stati membri, con cinquecento milioni di cittadini, ma era solo una struttura amministrativa che regolamentava e vincola i commerci, e anche una valuta. L’Europa occidentale non ha una politica economica, ma solo una contabilità che cerca di allineare le diverse economie dal punto di vista del libero mercato, senza che i popoli d’Europa abbiano potuto esprimersi né pro, né contro, né come.
Come tutti le organizzazioni foriere di ottimi redditi, la sua dirigenza cerca di sopravvivere anzi di ampliare il suo potere, e gli Stati che hanno ceduto parte della loro sovranità alla UE ne stanno pagando il terrificante prezzo. L’Europa occidentale non ha una politica estera, non ha delle forze armate sotto un unico comando; e anche se le avesse a chi dovrebbero obbedienza? Il suo inno è “l’inno alla gioia”, certamente ottimo per festeggiare, ma tutti gli inni di tutti i popoli incitano alla lotta, al combattimento. Eppure la UE ha stanziato centinaia di miliardi per difendere un regime, quello ucraino, che secondo tutti gli indicatori ha lo stesso livello di democrazia di quello russo, tanto è vero che i negoziati per l’ammissione alla UE a suo tempo si fermarono.
L’Europa occidentale esalta la caduta del muro perché fu l’inizio di un processo di fusione degli europei, ma si è fermata all’esaltazione. La caduta del muro ha sì dimostrato che i sogni possono divenire realtà, ma tramite l’azione, e oggi l’Europa occidentale non sogna ma agisce e sta costruendo un muro ancora più alto, solo più a Est. Mette sullo stesso piano la guerra in Ucraina tra ucraini e russi, tutti europei, e la guerra di devastazione che ha condotto alla nascita dell’Isis. Si riconosce agli scozzesi il diritto alla secessione pacifica, minacciandoli però di non ammissione nella UE, ma non lo si riconosce ai russi dell’Ucraina orientale; usando due pesi e due misure per due popoli europei. In Europa lo spettro di una guerra civile europea adesso vola sulle ali dei droni, mentre il mondo intorno brucia; esattamente come accadde un secolo fa. I tempi della storia sono lunghi, e gli errori sono sempre diversi, ma troppo spesso si ripetono. Persino il comportamento degli Stati europei verso l’islamismo ricalca le separazioni di secoli fa, che portarono quasi alla caduta di Vienna, e sta portando alle stesse conseguenze: rafforzamento e avanzamento dell’islamismo in Europa.
Dopo la caduta del Muro di Berlino l’Europa occidentale è rimasta ferma, soddisfatta del risultato raggiunto, troppo soddisfatta per muoversi velocemente, e troppo in conflitto con se stessa per muoversi, scegliere e agire in autonomia. Riconoscente, ha seguito l’alleato USA nel pantano afgano, nel caos iracheno, stava per seguirlo anche nella palude siriana e adesso lo segue nelle pianure dell’Ucraina; tutte guerre, perché di guerre si è trattato, non vinte e quindi perse dalla Nato, tranne l’ultima, che adesso si cerca di non perdere per salvare la faccia, quando era chiarissimo dal 2014 che per la Russia si trattava di sopravvivenza.
Un continente, l’Europa occidentale, è in crisi: dopo aver proclamato, e con ragione, che la guerra è un inutile massacro, adesso si proclama che occorre riarmarsi contro un nemico (quello russo) che non aveva nulla per cui combattere, che anzi aveva sviluppato ottimi rapporti commerciali, e che alla fine si è mosso quando la NATO è arrivata talmente vicina ai suoi confini da poter bombardare la stessa capitale, che è quello che dopo l’approvazione USA al lancio di missili a lunga gittata richiesto da Zelensky è proprio quel che sta accadendo e accadrà, confermando al popolo russo che Putin aveva ragione a intervenire.
Accade che il “nemico” non abbia nulla contro di noi, ma vederlo come nemico è nell’interesse della “nostra” classe dirigente, e quindi è un “nemico” costruito. I fantaccini italiani non avevano assolutamente nulla contro quelli austriaci; soldati inglesi e tedeschi quando potevano fraternizzavano. Adesso la classe dirigente euro occidentale ha reinventato un nemico: quello che tortura e uccide i civili, e proclama che è suo diritto farlo perché è superiore e intende ridurre tutti i nemici a zero. Qui ci riferiamo a quello russo, anche se qualcuno potrebbe credere che si parli del comportamento israeliano a Gaza; e non si riesce a capire perché quello che viene condannato se fatto dai russi (ammesso che lo abbiano fatto) viene approvato se fatto dagli israeliani. Ovviamente si afferma che gli israeliani hanno molte ragioni, ed è vero, ma allora perché non si vedono anche le ragioni dei russi?
Non si creda che il problema riguardi solo l’Europa Occidentale (guarda caso, tutti Stati fino a qualche decennio fa a maggioranza cristiana, e cristiani fino al midollo nei valori, guarda caso come la Russia): riguarda tutti gli Stati del mondo allineati con gli USA.
Ma questo piccolo conflitto interno all’Europa distrae dal più grande conflitto in corso nel pianeta, che coinvolge innumerevoli Stati. Le uniche eccezioni sono gli Stati che non hanno residenti (né legali, né illegali) islamisti, e che hanno come confinanti Stati con la stessa caratteristica.
Dopo due secoli di relativa tranquillità dovuta al “confinamento” degli Stati islamici attuato dalle potenze europee, segnata però da episodi quali il genocidio armeno a opera degli islamisti turchi o la separazione Pakistan-India-Bangladesh voluta dagli islamisti del subcontinente indiano, la spinta militare islamista (jihadista si può tradurre in “combattente islamista”) è vivacissima. La ricreazione per l’Europa è durata più di due secoli, ma è finita. Sembra di essere tornati indietro di qualche centinaio di anni, le guerre balcaniche della fine del XX secolo insegnano, e questo deve essere un potente stimolo a ripensare quanto il pensiero europeo ha elaborato in questi ultimi 2-3 secoli. Illuminismo, liberalismo, egualitarismo, socialismo e comunismo sono stati tutti elaborati proprio nell’epoca storica in cui il pericolo islamista per l’Europa era scomparso.
Una prima fondamentale differenza (almeno sembra, anche se certamente anche secoli fa c’erano musulmani “laici”, quindi non islamisti per quanto possibile) rispetto a secoli fa è che anche gli islamisti sembrano divisi, esistono gli amanti della pace che temono i facitori di guerra. Una seconda fondamentale differenza è che non esistono più stati che si dichiarano cristiani, poiché il laicismo si è diffuso; esistono quindi stati cristiani, ma anticlericali, che in uno Stato cristiano identificavano il clero come quello cristiano. In realtà questa identificazione tra Stato e ideologia religiosa, se si va alle radici del cristianesimo e non alle versioni distorte dalle classi dirigenti o clericali o parassite nel corso dei secoli, non esiste poiché fu proprio il cristianesimo a separare per primo Stato e Fede, tanto è vero che l’Impero Romano perseguitò per tre secoli i cristiani proprio perché credevano in questa separazione. Separazione inesistente nell’Islam e nell’islamismo. E’ degno di nota che le persecuzioni contro i cristiani cessarono solo quando dei cristiani (di diritto, se non di fatto) presero il potere politico, e successivamente la vecchia religione fu dichiarata illegale.
Troppo occupati a contemplarsi l’ombelico, e a festeggiare il crollo del Muro, gli europei hanno dimenticato che i muri sono buoni o cattivi a seconda di cosa separano. Difficilmente un cinese crederà mai che la Grande Muraglia fosse un male: era allora necessaria. Gli europei invece di limitarsi a demolire il muro tra Oriente e Occidente dell’Europa lo hanno ricostruito verso Oriente, e hanno invece ammesso la libera immigrazione indiscriminata, senza preoccuparsi di chi entrasse né di cosa ci fosse dall’altra parte. Quasi credendo che tutti i “nemici” fossero come il “nemico” russo, che è in realtà un fratello con cui c’è qualcosa da discutere, l’Europa occidentale ha lasciato che le metastasi dell’islamismo si propagassero, trasportate dai vari flussi legali e illegali, senza preoccuparsi di avere gli anticorpi necessari. Oggi sui giornali si parla della rinascita dell’antiebraismo (preferiamo questo termine ad antisemitismo, perché a rigore anche gli arabi sono semiti, secondo la divisione biblica) in Europa, ma qua e là scappa che le folle antiebraiche sono composte in prevalenza da islamofili e da islamisti immigrati. Non c’è una rinascita in Europa dell’antiebraismo, c’è l’importazione del conflitto storico tra ebraismo e islamismo.
Dal Marocco fino all’Indonesia sta diventando irresistibile per molti islamisti, anche immigrati in Europa e con cittadinanza di uno Stato europeo, il richiamo al jihad. Lo Stato di Israele a Gaza combatte l’islamismo, per la semplice ragione che l’esistenza di uno Stato ebraico è inconcepibile per un islamismo che vede l’ebraismo solo come un suo predecessore, non solo imperfetto ma da assimilare con la forza.
Tanti fatti e fatterelli sanguinosi hanno fatto scattare l’allarme nell’Europa Occidentale sui terroristi in casa. Ma si possono ancora definire terroristi, quando sono inquadrati di fatto in uno Stato sovrapposto allo Stato “ufficiale”, che in alcune zone d’Europa ormai controlla un certo territorio, applica le sue leggi con le corti della Sharia, e si fa anche pagare le tasse? Non è uno Stato al 100% ma poco ci manca. Che poi un tale Stato attui azioni belliche con finalità terroristiche, o con attacchi di tipo terroristico, può tranquillamente essere incluso nelle tattiche di guerra. Anche gli ebrei nella Palestina sotto dominio inglese hanno attuato attentati terroristici, e allora si trattava di una minoranza, che si considerava un “esercito clandestino”. Usare il termine “terrorista” ha anche il fine psicologico di “sminuire” l’entità delle forze messe in campo, e quello operativo di non applicare ai combattenti le regole ritenute valide per i combattenti regolari. Ma forse è il momento che gli Stati d’Europa definiscano una situazione giuridica diversa dalla pace, diversa dalla guerra, e diversa da uno stato di pace con singoli eventi terroristici. Continuando a voler vedere solo singoli terroristi adesso ci si ritrova di fronte a una valanga che in Francia ha suscitato la preoccupazione di membri delle Forze Armate, subito tacitati.
Il flusso di combattenti volontari che dall’Europa vanno a combattere attiva un flusso in verso contrario: di ex-combattenti , che hanno obbiettivi sempre più ambiziosi. Dopo anni di guerra i reduci hanno una esperienza che nessun soldato non combattente può avere, hanno resistito con successo all’esercito siriano, e l’obiettivo ha una anima ideologica, e quindi non è riducibile con tattiche poliziesche perché l’ideologia islamista ha come obiettivo la “umma”, un unico Stato per tutti i musulmani. Programma mai cambiato da quando gli Arabi uscirono dall’Arabia, e perseguito con un successo clamoroso (oggi gli Stati musulmani vanno dal Marocco all’Indonesia) e con una tenacia silenziosa ma molto più efficace (adesso esistono minoranze islamiste in moltissimi Stati, mentre nessuna minoranza non musulmana si è sviluppata e negli Stati islamisti le minoranze presenti continuano a diminuire da secoli, e senza eccezioni) di una guerra dichiarata.
Che tutta la Terra diventi “terra dell’Islamismo” è un obiettivo politico perfettamente raggiungibile per chi non si pone limiti di tempo, perché è un obiettivo ” di guerra” ideologica, e in questo tipo di guerra chi non vince perde. I semi di questo programma erano “dormienti”, e adesso l’acqua delle guerre USA (che non sono state vinte, quindi si sono risolte in sconfitte reali) li ha fatti germogliare. Oggi come ieri, come l’altro ieri, come tre secoli fa, questo ideale infiamma i cuori e le menti di una moltitudine di potenziali combattenti pronti a immolarsi per la causa islamista. I leader politici (e in molti casi anche militari) sono oggetto di ammirazione in tutti gli Stati islamisti; che poi i musulmani moderati, laici, anziani, non credenti né praticanti non li seguano è certamente vero, ma non vanno certo a combattere “contro” i musulmani fondamentalisti, giovani, credenti e praticanti. Il Califfato, reale o progettato, fa scuola oltre i confini già estesi che controlla. Minaccia il Mediterraneo come l’oceano Indiano.
Ogni tanto appaiono stime, anche dettagliate, di quanti islamisti partono, o cercano di partire, per andare a combattere. Stime che poi scompaiono perché i media seguono le notizie di richiamo. Marocco, Algeria, Tunisia, dalla Libia, dal Pakistan, dall’Afghanistan, dall’India (dove è ancora presente una forte minoranza islamica nonostante la scissione del XX secolo di Pakistan e Bangladesh) , dall’Indonesia (con 250 milioni di musulmani). Si tratta di combattenti volontari, esattamente come erano volontari i combattenti comunisti nella guerra civile spagnola e i combattenti polacchi nella guerra 1939-45 contro la Germania, quindi fortemente motivati; e la legislazione UE è semplicemente inadeguata per gestire tale fenomeno, ad esempio non prevede la revoca automatica della cittadinanza ai combattenti islamisti e ai loro discendenti, perché è stata concepita nel secolo scorso e oggi viene aggirata.
In questa situazione il trentacinquennale del “crollo” del Muro di Berlino non deve essere visto come una vittoria dell’Europa Occidentale contro l’Orientale, perché ormai sono stati edificati altri due muri. Il “muro ucraino” che, semplificando, separa Europa orientale ed Europa Occidentale e ha una definita collocazione geografica, e il “muro islamista” che circonda in Europa tutte le zone, in Francia circa 150 nel 2020[1] per non enumerare quelle in altri Stati, dove è dominante la presenza dell’ideologia islamista.
Il processo di unificazione di tutta l’Europa in una unica Federazione che comprendesse tutti gli Stati europei di ideologia laicista, da Gibilterra agli Urali, unendo tutti i popoli di cultura europea in un solo grande Popolo d’Europa, è stato interrotto. E di questa interruzione la totale responsabilità è della classe dirigente euro occidentale.
[1] 150 enclave islamiche minacciano la Francia – La Nuova Bussola Quotidiana