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“LA CITTÁ DELLE TENEBRE”

Un tempo era considerato il luogo più densamente popolato al mondo, anche se nessuno sa con precisione quante persone vi abbiano realmente abitato. Sono trascorsi più di vent’anni dalla sua demolizione, eppure Kowloon, soprannominata la “città delle tenebre”, rimane ancora oggi uno dei posti più singolari mai apparsi sulla faccia della Terra.

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Costruita ai tempi della dinastia Song (probabilmente prima dell’anno Mille) come avamposto militare per il controllo del commercio di sale, Kowloon venne poi abbandonata e dimenticata per centinaia di anni. Solamente a metà Ottocento questa piccola cittadella fortificata apparve nuovamente sulla mappa riconquistando per la dinastia Qing una notevole importanza strategica. In seguito alla firma del Trattato di Nanjing del 1842 – con cui la Cina cedette alla Gran Bretagna l’isola di Hong Kong – le autorità cinesi decisero di irrobustire l’antica cinta muraria e di inviare delle truppe per sorvegliare l’area e limitare l’influenza britannica.

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La situazione rimase piuttosto stabile fino alla Seconda Guerra Mondiale, quando i giapponesi (che avevano occupato Hong Kong) rasero al suolo Kowloon e utilizzarono le pietre delle mura per espandere il vicino aeroporto di Kai Tak. A guerra conclusa e con il Giappone sconfitto, tuttavia, le grandi potenze lasciarono la cittadella in un singolare limbo diplomatico: Cina e Gran Bretagna, infatti, preferirono adottare una politica di “non intervento” decidendo entrambi di non reclamare quei due ettari e mezzo di terra. Abbandonata a se stessa e senza un governo, Kowloon cadde ben presto nelle mani della Triade, una delle varie ramificazioni transnazionali della mafia cinese con base principalmente a Hong Kong, Macau e Taiwan.

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All’inizio degli anni Cinquanta, associazioni criminali come 14K e Sun Yee On avevano già colmato il vuoto di potere esercitando sull’ex avamposto militare un’autorità pressoché assoluta e trasformandolo in una vera e propria “città del vizio”, dove droga, prostituzione e malavita regnavano incontrastate. Sebbene un processo penale del 1959 stabilì che il luogo era sotto giurisdizione di Hong Kong, all’epoca la baraccopoli era già completamente inaccessibile.

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Nonostante la sua cattiva fama, Kowloon cominciò ad attrarre un numero sempre crescente di persone che decisero di costruire la propria casa in questa piccola enclave governata dalla mafia. Così, nel corso degli anni Sessanta e Settanta, la cittadella crebbe a vista d’occhio subendo un’espansione rapida e incontrollata verso l’alto: le abitazioni, infatti, furono costruite autonomamente dai nuovi residenti, una sopra l’altra, senza regole e senza fondamenta. In breve tempo, Kowloon si trasformò in un gigantesco labirinto urbanistico: i suoi 350 edifici (alti oltre dieci piani), che sovrastavano le strette e perennemente buie viuzze cittadine, erano collegati da un articolato sistema di scale e passaggi a livello grazie a cui era possibile attraversare l’intera città passando da un palazzo all’altro senza mai toccare il suolo. Di fatto, si trattava di una singola mega-struttura architettonica. In quei due ettari e mezzo di terra, lo spazio doveva essere sfruttato al massimo, anche all’interno dei minuscoli appartamenti (in media di 23 metri quadrati) che erano continuamente ampliati attraverso la costruzione di soppalchi e balconi improvvisati.

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Sebbene la mafia avesse in mano la città, la maggioranza della popolazione di Kowloon non era coinvolta nella malavita e cominciò a sviluppare un forte senso di comunità per far fronte alla situazione di estrema povertà e raggiungere una forma di autosufficienza. Già negli anni Sessanta un gruppo di residenti aveva fondato il Kaifong Committee che, in netta contrapposizione alla Triade, si era impegnato fin da subito a favore della popolazione ripulendo e illuminando ampie aree della città. In breve tempo, la cooperazione divenne un elemento necessario per la sopravvivenza quotidiana: i residenti scavarono una settantina di pozzi e crearono un complesso sistema di distribuzione dell’acqua attraverso migliaia di tubature che si snodavano tra gli edifici, mentre il limitato accesso all’elettricità venne risolto assegnando precisi orari di consumo a ogni zona della baraccopoli. Accanto a bordelli, bische e fumerie d’oppio, sorsero mercati, negozi, ristoranti, piccole fabbriche, macellerie, parrucchieri, scuole, templi, persino ambulatori di medici e dentisti senza licenza. I tetti divennero il fulcro della vita sociale: lassù, accanto ad antenne televisive, cavi per il bucato e cisterne d’acqua vennero piantati alberi e piccoli giardini dove i bambini potevano giocare mentre i genitori si rilassavano chiacchierando di fronte a una tazza di tè.

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All’inizio degli anni Settanta, grazie al supporto dei residenti più giovani, la polizia di Hong Kong riuscì a minare l’autorità della Triade. Tra il 1973 e il 1974, infatti, più di 3.500 blitz portarono a oltre 2.500 arresti e al sequestro di 1.800 chili di droga. Da quel momento in avanti, il potere della mafia cinese cominciò a svanire e il tasso di criminalità a calare drasticamente. Da “città del vizio” negli anni Cinquanta e Sessanta, Kowloon si trasformò in un vero e proprio rifugio per la classe operaria di Hong Kong nel corso dei due decenni successivi.

cms_2229/pinterest.jpegTuttavia, la qualità della vita rimase pessima e notevolmente indietro rispetto al resto della metropoli, a causa di elevatissimi livelli d’immondizia, inquinamento e umidità. Nel 1987, i governi di Gran Bretagna e Cina, inorriditi di fronte alla terribile condizione igienico-sanitaria in cui versava la popolazione, annunciarono la decisione di demolire Kowloon. Come risarcimento, il governo distribuì 350 milioni di dollari ai 33 mila residenti censiti e, dopo aver sfrattato gli ultimi abitanti, diede inizio ai lavori di demolizione. Nel giro di un anno – tra marzo 1993 e aprile 1994 – la “città delle tenebre” venne completamente rasa al suolo. Un anno più tardi, su quegli stessi due ettari e mezzo di terra, il governo fece costruire un parco in memoria della città, il Kowloon Walled City Park. Ancora oggi, Kowloon rimane un caso estremamente interessante di auto-organizzazione sociale, un versatile organismo urbano formatosi solamente grazie agli sforzi della sua stessa popolazione, senza alcun aiuto esterno e senza una pianificazione controllata. Il retaggio lasciato dalla città è ancora vivo e ha ispirato la scenografia di videogames, romanzi cyberpunk e film cult come “Batman Begins”, mentre il suo spirito vibrante e multiforme continua a manifestarsi quotidianamente nei quartieri più poveri e densamente popolati di tutta Hong Kong.

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Data:

20 Maggio 2015