Serve, davvero, commemorare tragedie risalenti tanto indietro nel tempo, pensando che le nuove generazioni possano trarne insegnamento a non cadere negli errori e colpe di un passato che sembra riverberare nei focolai di odio e distruzione che i vecchi continuano ad alimentare?
Persino nello scorso decennio, che sembrava svolgersi ancora in una parvenza di pace e di benessere per una città evoluta come Trieste; una vecchia ferita, come quella della tragedia delle Foibe, sembrava tenuta aperta inutilmente, come una nota stonata che un forestiero non avrebbe voluto cogliere nell’atmosfera del fiducioso vivere di una popolazione affrancata e prospera.
Invece, proprio mentre questo nostro tempo torna ad essere scosso da nuovi venti di guerra; più che un tardivo tentativo di collimare un reale afflato patriottico di univoco sentimento riguardo a quella ormai lontana tragedia vissuta sul confine nazionale Nord-Est, sembra si sia ricercata una forzata rivisitazione nazionale della relativa pagina non archiviata a causa di colpe mai perdonate; rispetto alle quali, proprio da quelli che sono figli e nipoti travolti dalla attuale confusione, si attenderebbe che sia risolto quel viatico di comprensione e, quasi, di assoluzione che la Storia negherebbe ad una vecchiaia che, ripiegata sulla propria disamina, si avvia alla fine del suo tempo.
Tanto premesso, non può non dirsi ugualmente epocale la ufficialità commemorativa delle Foibe che, in una unione virtuale con Trieste, ha visto l’epilogo nella Città di Taranto prodiga di sprazzi di sole e speranze mai sopite, anche in mezzo al carico di nubi di un inoltrato inverno 20024.
Infatti, essendo stata scelta come ultima tappa di un viaggio promosso dal ministero per lo Sport e i Giovani al fine di rinverdire una memoria- monito condivisa con altre 11 città, la Stazione ferroviaria di Taranto ha accolto lo storico “Treno del Ricordo” con il tributo di partecipazione delle rappresentanze Istituzionali Tarantine, Militari e Civili, unite al Prefetto Paola Dessì e al Sindaco Rinaldo Melucci , alla presenza del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e del Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano che, a convalida dell’avere a suo seguito la consigliera regionale delegata alla Cultura Grazia Di Bari, si è riferito a quel “Treno delle emozioni” collocandolo al centro di una “iniziativa, oggi, destinata soprattutto ai più piccoli” in età scolare.
Avendo, quindi, sottolineato che, “riguardo a quella tragedia derivata dalla follia delle persecuzioni antifasciste in cui erano stati coinvolti anche patrioti partigiani comunisti, il ricordo è sempre stato precipua consegna della Scuola Italiana alle nuove generazioni”; per cui, era avvenuto anche per Michele Emiliano di avere appreso, da studente, il dramma delle Foibe spiegato dalla insegnante di Italiano.
D’altra parte, proprio le testimonianze pervenute dalle scuole sono state allestite come mostra itinerante del doloroso capitolo di Storia svoltasi in un tutt’uno sentire italianità, sia pure nella scomposizione: sia di innocenti vittime civili considerate, a torto o a ragione, compromesse con con il fascismo solo perchè italiane, come la studentessa Norma Cossetto originaria di Visignano, oggi nella Croazia, trucidata dai partigiani Iugoslavi presso la foiba di villa Surani; sia di vittime dell’esodo Istriano – Fiumano riportato nel documentario “Pola, addio!” e di quello Giuliano-Dalmata di cui al video didattico comprendente mappe, foto e riprese d’epoca.
Per il resto, in buona sostanza, il “Treno delle emozioni” ha visto una partecipazione collegata alle varie situazioni, di maggiore o minore vicinanza con i territori limitrofi a quello Giuliano dove è rimasto sempre vivo il tragico vissuto del dopo guerra; mentre, nelle altre parti dell’Italia, c’è stato un impatto emotivo a seconda delle differenti sfumature di un ricordo.
Così, a Taranto, la tappa dei “Treno del Ricordo” è sembrata non solo una discesa, nel profondo Sud, della condivisione di un senso di Fratellanza e solidarietà sia pure nella diversità di origini ; bensì, implicitamente, è stato quasi il riconoscimento di un Valore partecipativo alla negletta Città del Sud , da parte della Città Giuliana da cui era già pervenuto uno sprono a seguire il suo esempio di concretezza sia pure non disgiunta da un positivo aggancio alla memoria delle proprie origini.
Mentre, la memoria sollecitata dal “Treno del Ricordo” è riemersa, tutt’al più, rispetto ai luoghi dove, come in tre campi creati per l’occasione, fu allestita l’accoglienza di 800 profughi Istriani per i quali, nel quartiere Tamburi, fu costruito anche il Villaggio dei Polesani.
Il tutto in un ricordo oltremodo sbiadito, nel tempo, dalla voglia di dimenticare l’obbrobrio delle guerre come quelle civili seguite alla sconfitta Italiana nella seconda guerra mondiale.
Ma, anche, un riferimento oramai disperso nel ventilare di nuove minacce, alla libertà alla salute e alla vita, che ripropongono una sopraffazione da vecchi retaggi dimentichi dei propositi di superamento delle divisioni causate da culture differenti, senza mai più ricorrere alle armi.
Come non pensare con senso di sgomento proprio ai giovani che, senza loro colpa, come i loro predecessori di ottant’anni fà, si ritrovano persi in un mondo dove, non facendosi scrupolo di portare avanti interessi non confacenti al bene dell’umanità, non si indietreggia davanti alla prospettiva di destinare molte migliaia di uomini, da speranze del futuro, a carne da macello nelle zone di guerra aperte su più fronti?
Oggi più che mai, ai giovani gioverebbero commemorazioni di storie da cui trarre fiducia nelle naturali virtù umane foriere di ogni sviluppo nel senso etico del bene collettivo.
Nello stesso modo, servirebbe lo sprono di realtà positive cui le stesse cittadinanze possano attingere; come, proprio Taranto non potrà che guardare all’esempio positivo dell’alzata di testa, dal servilismo e dallo stallo di una errata politica governativa, in base a cui Trieste è assurta a posizione di avanguardia persino rispetto alla omologa irrisolta situazione Tarantina che, però, nella ricerca di un “do ut des” decisivo per l’affrancamento dal pantano del confine sullo Jonio, potrebbe avvantaggiarsi anche traendo ispirazione dal di più di intelligente tolleranza, circa ambiguità post belliche da seconda guerra mondiale, con cui la città Giuliana abbia potuto riscattare le sue oltremodo pulsanti prerogative naturali, di una implicita storica sovranità logistica al Nord Est dell’Adriatico.
In definitiva, se pure sia vero che non c’è futuro senza ricordo; ai giovani servirebbe ben altro che la consegna di un valore della memoria che appaia sminuito anche nonostante la coreografia di un “Treno delle emozioni” che non abbia da riportare altro che ricordi di ricadute in colpe che , non solo non rendono dignità alle vittime degli scempi di conflitti come quelli civili fratricidi; ma, ancor peggio , nella reiterazione dello sterminio di giovani mandati alla carneficina di guerrafondai, sono delitti imperdonabili dagli uomini e destinati alla imperitura condanna della Storia .