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LA CONVERSIONE – Quarta parte

Nell’articolo precedente abbiamo visto che la cosa più difficile, nel cammino di conversione, è convincersi che in Dio non c’è giudizio, e che nulla di ciò che ci accade di doloroso è una punizione. 

L’amore  – quello incondizionato – non ha nulla a che vedere con il romanticismo, ma è un fuoco che arde: poco importa se brucia, purché produca calore e luce.

Ed è proprio questo l’obiettivo della conversione: trasformare la materia grezza della nostra umanità in luce divina.

“Egli (il Cristo) fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. E anche noi che siamo deboli in lui, saremo vivi con lui per la potenza di Dio nei vostri riguardi.” (2 Con 13,4)

La dichiarazione di san Paolo ai Corinzi esprime chiaramente questa salutare tensione tra debolezza e forza, applicandola persino alla Pasqua di Gesù.

La “debolezza” non è, dunque, qualcosa da temere o di cui vergognarsi ma è il “luogo” in cui si manifesta la potenza di Dio.

Gesù stesso ha incontrato la potenza di Dio in questa debolezza, ed è da essa che Dio lo ha risuscitato a una vita nuova.

Se la debolezza dell’uomo è stata la via che ha permesso al Cristo di incontrare la potenza del Padre, anche il discepolo deve abbracciare la propria debolezza, nella consapevolezza che quella è la via privilegiata dell’incontro.

La forza non consiste nell’assenza della tentazione, ma nel superamento della stessa attraverso la fede e l’amore.

Una fede che deve essere rivolta prima di tutto a noi stessi: dobbiamo essere certi che la potenza di Dio è nascosta nel cuore di ogni debolezza umana! Non allontaniamola da noi come se fosse qualcosa che sporca la nostra immagine: queste sono soltanto costruzioni mentali, programmi che ci sono stati inculcati con l’andar del tempo. Ricordiamoci di quando eravamo bambini: ogni qual volta manifestavamo la nostra debolezza, i nostri genitori erano pronti a venirci incontro e sostenerci con amore.

Ecco, questo è il vero volto, il vero significato della frase neotestamentaria che ho citato poc’anzi.

Finché ci opponiamo alla nostra debolezza, la potenza di Dio non potrà operare in noi.

La buona volontà e gli sforzi per vivere una vita virtuosa e retta sono sicuramente importanti e utili, ma non c’è nulla che ci faccia avanzare di più nella nostra evoluzione che abbassare le armi, ovvero riconoscere e accettare il nostro lato umano fragile e corruttibile. Questa sincera presa di coscienza è la chiave di volta dell’autentica conversione.  

Fa male? Certo! Finché non sperimentiamo di essere sull’orlo del collasso, continueremo ad agitarci come un nuotatore in preda alle correnti. Più ci agitiamo e più andiamo a fondo. L’unico modo per rimanere a galla è lasciarsi andare, abbandonarsi alla corrente e lasciarsi trasportare dai flutti. Anche la peggiore cascata ha un letto tranquillo a cui approdare!

La grazia, dunque, non si innesta sulla forza o sulla virtù, ma solo sulla nostra debolezza.

Lo so, è un concetto difficile da comprendere, totalmente opposto a ciò che ci è stato insegnato. Eppure abbiamo sperimentato tutti quanto sia pericoloso opporci al fiume in piena. La natura ce lo insegna. 

Bisogna aver già avuto una certa esperienza dell’amore di Dio per osare rimanere nella propria debolezza e riconciliarsi con essa.

Ciò che ci frena, in questo riconoscimento, è l’orgoglio. 

Per alcune persone è impossibile anche solo pensare di avere una qualche debolezza, figuriamoci riconoscerla. Questo è un vero peccato, perché difficilmente troveranno pace in questo mondo. 

La vita di queste persone può sembrare molto generosa, perché compiono sforzi reali; ma allo stesso tempo sarà sempre un po’ rigida e forzata. Le riconosciamo per la loro cecità spirituale, per la difficoltà a riconoscere ed accettare il limite, per l’incapacità di ascoltare un pensieri diverso dal loro. In sintesi, sono persone dure.

La santità non va ricercata in senso opposto al peccato, ma si trova nel cuore stesso della tentazione.

Diventare santi non significa essere liberati (da Dio) dai nostri limiti, ma è districarsi attraverso di essi, come una campione di parkour.

La santità non ci aspetta oltre la nostra debolezza, ma dentro di essa. Ecco perché è importante riconoscerla ed accettarla. Diversamente, sarebbe come vivere in una casa senza porte e finestre: nulla può uscire, ma nulla può neanche entrare, e ci ritroveremmo murati vivi.

Dopo che Simon Pietro rinnegò Gesù per la terza volta, si ricordò delle parole del Maestro: “Prima che il gallo canti oggi, mi rinnegherai tre volte. E, uscito, pianse amaramente” (Luca 22:61-62).

Questo pianto non esprimeva soltanto rimorso, ma riconoscimento della propria fragilità, mescolata all’infinito amore dell’uomo che aveva seguito per tutti quegli anni, abbandonando per lui ogni cosa.

“Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.” (Gv 12,47) Ecco la “vendetta” divina: nel momento in cui Pietro lo tradisce, Gesù gli offre il suo perdono amorevole. Non solo, lo chiama a nuova vita.

Avrebbe potuto fuggire, autoinfliggersi una punizione come fece Giuda, ma decide di riconoscere la propria fragilità e di offrirla a Colui che, solo, poteva trasformarla in un gioiello prezioso. Così facendo, il suo essere più profondo  si scioglie nelle viscere. Ora sa cos’è l’amore.

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Data:

19 Aprile 2025