“…per fare pace, per dare voce, per prepararci al decisivo ascolto di chi si è messo in viaggio, solo così, dopo aver mostrato il vero volto d un’epoca spietata, sapremo forse immaginarne e crearne, insieme, una migliore”.
Mediterranea “Saving Humans” .
“Non esistono “clandestini” esistono solo esseri umani”.
(MSF)
“Con Jack -Giacomo Gobbato (1998-2024)- non ci volteremo mai dall’altra parte”
(fiancata della Mare Jonio, 2024).
Quando nel 2003 (23-28 gennaio) ebbe luogo a Porto Alegre, il Foro Sociale Mondiale, luogo di incontro dei disobbedienti e dei no-global del mondo per la costruzione di OTRO MUNDO POSIBLE, un altro mondo possibile, non mancarono Noam Chomsky e Arundhati Roy, Eduardo Galeano, Leonardo Boff, Adolfo Perez Esquivel, Gilberto Gil, Jean Ziegler…e nemmeno, fra le personalità italiane che avevano un certo risalto nei media nazionali in quel periodo, Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum e i portavoce di alcuni centri sociali, come Luca Casarini, presente particolarmente allora nel Nord-Est d’Italia, schierati dietro il grande striscione del Forum Sociale Europeo che aveva avuto luogo a Firenze l’anno prima, nel novembre 2002 con il lemma: Firenze città aperta, ripudia la guerra.
Presente a Porto Alegre con la delegazione argentina, fra i tanti dialoghi ed incontri, potei presentare il mio discorso sulla condizione indigena in America Latina, con Hugo Biagini in collaborazione con Antonio Sidekum, all’Università di Porto Alegre, in quello che il presidente del Brasile Luiz Inàcio Lula da Silva, presidente del Brasile, definì il più grande evento politico mai realizzato nella storia contemporanea.
A giudicare dalle cifre 20.700 delegati e 100mila partecipanti, c’è da credergli. Persino i circa 4mila giornalisti sfiorarono un record da Olimpiade. In una settimana furono 1.286 le conferenze e 5.717 le associazioni presenti, provenienti da 156 Paesi del mondo, una babele di linguaggi e di razze, riunite per dire “no” al neoliberismo e ribadire che “un altro mondo è possibile”.
Quella volta, per chi era a Porto Alegre, l’alternativa al neoliberismo sembrava davvero concreta. Almeno in Brasile. Non solo perché le idee del Social Forum facevano parte del programma del governo, ma perché eravamo davvero in molti, in quella parte di mondo, a chiedere con forza un cambio radicale della politica e della società. Assunta la carica di presidente del Brasile il 1º gennaio 2003, il 24 gennaio, intervenuto allo stadio esultante, Lula parlò di riforma agraria, di scuola e ospedali pubblici, di università senza privilegi, di società solidale, di distribuzione delle ricchezze.
E della costruzione, insieme, di una società più giusta. “Abbiamo quattro anni – disse Lula -, per realizzare riforme graduali, per costruire un governo onesto, con la coscienza politica delle responsabilità che ci avete dato con il vostro voto”. “Lula – spiegava Ignacio Ramonet – è il primo presidente ad essere una emanazione del Social Forum. Ne incarna gli ideali: la solidarietà contro l’egoismo. Questo Forum, in anticipo rispetto alle previsioni, sta producendo dei dirigenti”.
Se allora l’alternativa al neoliberismo sembrava davvero possibile, ora che lo spirito di allora sembra essere andato perduto, c’è chi, fra quei disobbedienti, non ha perso il senso della lotta e dell’opposizione, contro l’imperante disumanizzazione della politica e della società. Eccoci, infatti, a presenziare alla presentazione in Emergency di Venezia il 19 dicembre 2024, del libro LA COSPIRAZIONE DEL BENE, di Luca Casarini, scritta con Gianfranco Bettin, con un testo di Papa Francesco (Feltrinelli, 2024).
Di questo libro non faremo né l’esegesi né seguiremo passo per passo i diversi ragionamenti, che Bettin è riuscito, dal racconto orale ora concitato, ora commosso, ora indignato, a rendere con un linguaggio espressivo e coinvolgente, esprimendo con tutte le sfumature del parlato, le onde del pensiero e degli avvenimenti, le onde del Mare Mediterraneo, ora piatto, ora in burrasca. In questo mare i migranti approdano avventurosamente con i propri mezzi nel migliore dei casi, ma nella maggior parte dei casi, se non vengono salvati, affogano, perché proprio di questo si tratta – di una nave, la Mare Jonio – che affronta il mare per salvare persone, uomini, donne, bambini, in una parola, esseri umani.
Piccoli danzatori guaranì
I popoli originari del Brasile
Ma da dove nasce questo impeto, questo impulso, questa necessità di correre in soccorso di chi affronta il mare Mediterraneo, per impedire che tanti esseri umani si inabissino nelle onde su imbarcazioni precarie, dopo aver percorso – come dice il testo introduttivo di Papa Francesco – paesi e deserti fino ad arrivare alla costa, partendo dal mare della Libia, della Tunisia, del Marocco, della Turchia, della Siria, dallo stesso mare, il Mar Mediterraneo?
I luoghi biblici a cui allude il Papa di grande valore simbolico, sono questi, il mare e il deserto, gli scenari e gli eventi iscritti nella storia dell’esodo, delle tante migrazioni che si sono succedute nei secoli, che ora assistono al dramma della fuga del popolo che scappa dall’oppressione e dalla schiavitù, ma anche dalla fame, dalla miseria, dalle calamità naturali. “Sul mare la tua via, i suoi sentieri sulle grandi acque” (salmo 77,20). E ancora: “Guidò il suo popolo nel deserto, perché il suo amore è per sempre” (salmo, 136,16).
Nasce da un sogno del 2018 di Luca Casarini, in cui Luca padre vede i propri figli affondare nelle acque del mare e lui, come succede nei sogni, non riesce a salvarli. Il risveglio è angosciato, ma nemmeno la costatazione che i figli Nico e Zeno dormono nei loro letti, spegne il desiderio, il bisogno imperioso che sì, bisogna andare a salvare chi affoga, bisogna agire con coraggio, agire con il cuore. Preso da questo incubo, così pieno di verità, Luca si chiede: “per tutte le persone che in questo momento non sono al sicuro e sono a rischio mortale, là fuori, sul mare, su quella barca alla deriva e in tutti i naufragi, che cosa sto facendo?”(pag.20) e si risponde senza esitazione: “Bisogna mettere in mare una nave”. (pag.21)
Trovando l’appoggio e la collaborazione di antichi compagni di lotta nei collettivi studenteschi, i primi dei quali Beppe – Giuseppe Caccia – e Sandrone – Alessandro Metz, nasce questa avventura, le cose da fare, i soldi da trovare, la squadra di salvataggio – rescue team – da costruire e le missioni di search and rescue da organizzare e intraprendere, con tutto ciò che questo comporta, per arrivare a ciò che il libro, in un dialogo costante con Gianfranco e i lettori, afferma: “Con loro e con molti altri giovani volontari abbiamo condiviso – da quella prima missione del 3 aprile 2018 – la gioia di essere riusciti a salvare tante persone, una gioia difficile da spiegare”. (pag. 23)
Ma “ancora più difficile è dire cosa si prova quando non si riesce a salvarli, quando ti accorgi che sei arrivato troppo tardi, questione di minuti a volte – quanti minuti si può durare in balia delle onde, senza respiro, sfiniti, con l’acqua nei polmoni, disperati, sommersi, spesso senza neanche saper nuotare, senza neanche aver mai visto il mare? – o il mare è troppo agitato e troppo potente per te, che comunque ci provi, ti metti a rischio e usi tutta la tua forza e l’abilità e l’addestramento che hai, eppure non riesci, non puoi farcela”. (pag. 24) “È devastante vedere cosa succede nel Mediterraneo centrale. Da quando superi la fossa che divide la placca continentale europea da quella africana, vedi continuamente segnali di tutte le persone che restano imprigionate in questo immenso deserto blu, decine di barche vuote, infradito, giubbotti di salvataggio. Le urla di gioia, le lacrime delle persone che abbiamo soccorso, i racconti delle torture nei lager e degli amici, delle sorelle e dei fratelli e dei genitori che non ce l’hanno fatta, diventano una spina nel cuore…Appena abbiamo invertito la rotta, per andare verso il porto assegnato dopo l’ultimo soccorso, eravamo tutti consapevoli che alle nostre spalle lasciavamo centinaia di altre vite”. (pag. 23) Perché: “Niente restituisce le vite perdute solo perché non ci sono abbastanza forze, non c’è abbastanza volontà politica”.(pag. 24)
Già, manca la volontà politica. Come scrive Domenico Gallo sui “confini del diritto” e sui “confini del potere politico”: “È ben vero che non è concepibile una via giudiziaria per modificare un orientamento politico, ma la Costituzione, le leggi, il diritto internazionale dei diritti umani, tracciano delle regole che rappresentano dei limiti all’esercizio dei pubblici poteri. È compito di un altro potere (il giudiziario) assicurarsi che questi limiti non vengano violati. L’indipendenza della magistratura è garantita dalla Costituzione proprio per consentire ai giudici di sindacare gli abusi dei poteri pubblici e privati, a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo. Quando un pubblico potere si avvia lungo una strada che produce discriminazioni, disprezzo dei diritti inviolabili di singoli o di categorie di persone, l’intervento giudiziario assume necessariamente – a prescindere dall’orientamento dei singoli giudici – una funzione contro-maggioritaria. Di questa funzione non dobbiamo scandalizzarci, come fa la destra al governo, perché è un segnale di vitalità della nostra democrazia”. (Processo Open Arms: ai confini del diritto, 21.12.24 – Domenico Gallo – Notizie da Pressenza IPA -22.12.2024 – Redazione Italia)
Questo non può non chiamarci in primo luogo al senso morale, ai doveri che abbiamo nei confronti della storia e della nostra umanità, ma anche sul piano politico, perché, come si interroga Luca nel suo “La cospirazione del bene”: “Che anni, che tempi sono quelli in cui per fare il bene – e il bene più prezioso, salvare la vita di chi la sta perdendo – bisogna agire di nascosto, cospirando?” (pag. 27)
Nei primi mesi del 2018, quando si approfondiva il cambio politico dopo la missione Mare Nostrum, conclusa nell’ottobre del 2014, che aveva il compito di salvare vite in mare, secondo il diritto internazionale e il diritto del mare e dopo la missione fallimentare Frontex, adibita al solo controllo delle frontiere, dal 1° gennaio 2018 veniva ampliato il mandato di Mare Sicuro, a supporto della Guardia libica e della Marina libica. In un report dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) intitolato Viaggi disperati, si poteva leggere: “I rifugiati e i migranti che hanno tentato di raggiungere l’Europa attraverso il Mare Mediterraneo nel 2018, hanno perso la vita a un ritmo allarmante”: “La Guardia Costiera e la Marina italiana, che fino ad allora nel corso dell’anno, avevano tratto in salvo oltre 2600 persone partite dalla Libia – scriveva l’Unhcr – fissando il momento esatto della svolta che ha interrotto il soccorso su vasta scala – non hanno condotto nessun altro salvataggio al largo della costa libica. (…) Le Ong, che tra gennaio e maggio avevano soccorso quasi 5000 persone, hanno improvvisamente subito nuove restrizioni che hanno ridotto la loro presenza nella zona di soccorso mentre anche le navi mercantili, che prima di giugno, avevano salvato quasi 600 persone, d’un tratto sono state costrette a soccorrere altre 700 migranti nel solo mese di giugno, per poi essere anch’esse sottoposte a limitazioni nell’accesso ai porti”. (pag. 32)
Infatti, che cosa è successo da allora? Dopo il Codice di condotta delle ONG impegnate nel salvataggio dei migranti in mare voluto dal Ministro Minniti nel 2017, mentre le ONG denunciano le sistematiche e crudeli violazioni della Guardia Costiera libica contro i migranti, in seguito ad accordi con il Governo italiano, con l’avvento del governo attuale, dopo le elezioni politiche del 25 settembre 2022, si introducono regole via via più rigide – per esempio, devono raggiungere il porto di sbarco assegnato sempre più lontano, subito dopo il primo soccorso, senza attuare nuovi soccorsi. “È evidente che i provvedimenti di Salvini del 2017 e quelli di Piantedosi del 2023, nel quadro della generale distorsione autoritaria delle leggi in materia di immigrazione e sicurezza, oltre ad avere, rispetto a un mero codice, appunto forza di legge, introducono sanzioni molto più pensanti e dirette”. (pag. 37)
Di fronte a tutto questo: “Eravamo predisposti a non rispettare le regole che, mentre stavamo per scendere in mare, il governo italiano aveva approntato per scoraggiare le missioni di ricerca e soccorso. Eravamo pronti a disobbedire ancora”.
I “disobbedienti” ancora in azione, potremmo dire, i Disobbedienti, come è scritto nel libro. È ai vivi (e non solo ai morti, come nella tragedia di Sofocle, nella disobbedienza di Antigone contro il decreto di Creone, che le impedisce di seppellire il fratello Polinice), che la disobbedienza alla legge cinica può garantire non solo dignità e rispetto, ma, in molti casi, la vita stessa. Eppure, sempre si possono far valere, oltre a una superiore etica umanitaria, le leggi e le regole internazionali, che prevalgono su quelle nazionali di rango minore.
Fuorilegge – si legge in La cospirazione del bene – è dunque la distorsione del diritto universale. Ma se è così: “Eravamo pronti ad affrontarla sul mare e nelle aule dei tribunali”, perché: “Sono i governi che insistono a ostacolare i soccorsi e a restituire i salvati agli aguzzini libici o ad altri posti insicuri, a disobbedire alle leggi più antiche, più umane, più giuste e preminenti, approvando illegalmente norme ingiuste e disumane”. (pag. 43)
Eravamo/siamo pronti a disobbedire ancora!
Da ultimo, vi propongo un altro disobbediente le parole del Sindaco di Riace Domenico Lucano in risposta alle testate di destra che contestano la sentenza che lo ha assolto dalle accuse sull’accoglienza a Riace, quando era sindaco.
Come amare lo Stato della criminalizzazione delle ONG che salvano vite nel Mediterraneo – vite che le istituzioni italiane ed europee osservano affogare con compiaciuta indifferenza? Come riesco a volere bene allo Stato degli accordi con la sedicente guardia costiera libica, dei lager gestiti da quest’ultima, dei CPR e delle deportazioni in Albania?
Come si fa ad amare uno Stato che pone il campo (con la sua sospensione arbitraria dei diritti) e non la piazza, a paradigma dei rapporti politici, sociali e civili? Come amare uno Stato che odia gli esseri umani per il solo fatto di aspirare alla vita, di fuggire da una morte per fame, guerre, persecuzioni, nefasti effetti ambientali dei cambiamenti climatici – prodotti, diretti e indiretti, delle politiche coloniali e neoliberiste dell’insaziabile Occidente?
Non posso, non voglio e non devo amare uno Stato che permette e mantiene le baraccopoli, come quella di San Ferdinando, sulle cui tende e baracche campeggia, con beffardo orgoglio burocratico, la scritta “Ministero dell’Interno”.
Proprio in questa tendopoli (ai cui cancelli si apre un inferno di degrado, sporcizia, abbandono e disperazione) si consuma ogni tanto una morte: una morte di Stato, appunto. Come faccio ad amare lo Stato dei decreti sicurezza di Salvini e del decreto Cutro? (Domenico Lucano, Lo Stato che amo è quello della nostra Costituzione, 21 dicembre 2024, in, Libertà e Giustizia)
Queste vicende e queste scelte parlano di noi, acquartierati nelle retrovie di un conflitto che consideriamo una guerra altrui mentre con ogni evidenza siamo il secondo fronte, perché l’invasione russa di uno Stato sovrano come è l’Ucraina, travolge i principi e i valori in cui diciamo di credere, così come deve scuotere la nostra coscienza, ricordando tutti quei bambini, quelle madri e quei padri che perdono la vita quotidianamente in tutta la Palestina, divenuta una prigione a cielo aperto: è una strage degli innocenti barbaramente uccisi o ridotti alla fame, compiendo un genocidio che dura vergognosamente da oltre un anno.
Eppure, come sottolineano Luca ed i suoi compagni, e tutti coloro che si prodigano per salvare vite umane nel Mediterraneo e su tutti i fronti, solo così, dopo aver mostrato il vero volto di un’epoca spietata, sapremo forse immaginarne e crearne, insieme, una migliore, solo così potremo immaginare un altro mondo, UN ALTRO MONDO POSSIBILE.