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LA DEMOCRAZIA E L’ORDINE MONDIALE – Terza Parte

I cittadini del mondo non hanno rinunciato alla loro libertà. Speriamo che coloro che credono ancora nell’ordine mondiale li ascoltino e, soprattutto, li sostengano.

Il sospiro di sollievo collettivo emesso 30 anni fa, all’indomani della Guerra Fredda, filtrava tutta la speranza di un mondo pacifico, finalmente libero dall’ insicurezza e dal conflitto, garantendo la pace e la stabilità tanto attese. Quella tregua, tuttavia, non è durata, poiché il divario democratico ha lasciato il posto all’audacia autocratica. E tuttavia alcuni rifugi di resistenza offrono fortunatamente ancora un po’ di speranza.

L’ impressione che stiamo vivendo in un mondo pesante, appesantito da un accumulo di tensioni, non è solo percezione. Il numero dei conflitti nel mondo è raddoppiato in soli cinque anni. Pensiamo all’Ucraina, a Gaza, al Libano, ad Haiti, al Sudan, più ad altri 45 Paesi del pianeta, dove una persona su otto vive a rischio di combattere.

Il pianeta non solo è stato pacificato, ma è diventato eccessivamente militarizzato. La spesa per attrezzature di questo ordine ha superato, in termini reali, quella dell’era della Guerra Fredda. Un armamento planetario in costante crescita, che lo scorso anno ha registrato il suo incremento annuale più alto degli ultimi 15 anni. L’arsenale nucleare operativo non è da meno, e continua  a crescere a un ritmo preoccupante. Il che porta gli esperti dello Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI) ad affermare che il pianeta sta vivendo “uno dei periodi più pericolosi della storia dell’umanità”.

La rivalità geopolitica non è più puramente geografica, ma unendo le forze in tutti i continenti, molti regimi protestano contro l’egemonia occidentale e scuotono l’ordine mondiale. Tre dei cinque membri del BRICS (Russia, Cina e India) sono tra i quattro maggiori acquirenti di beni militari.  Oltre alla repressione che alcuni di loro infliggono alle proprie popolazioni, la loro aggressività si estende oltre i loro confini, attraverso minacce economiche, interferenze straniere tra i loro avversari o persino ostacoli all’interno delle Nazioni Unite e di altri organismi internazionali. E che dire del fallimento delle guerre americane in Iraq e Afghanistan, che hanno inaugurato il XXI secolo e che hanno portato all’abbandono delle popolazioni locali a regimi altrettanto repressivi.

Viviamo in un’epoca di crollo del mondo democratico, con il 70% della popolazione mondiale – 5,4 miliardi di persone nel 2022 – che vive sotto una dittatura. Un passo indietro, ancora una volta, rispetto agli anni della fine della Guerra Fredda. Questa precarietà non è però opera esclusiva dei regimi destabilizzanti. Anche all’interno delle democrazie, o di ciò che resta di quelle che, pur vacillando, ancora rivendicano questo termine, politici e agitatori stanno minacciando il sistema democratico dall’interno. La repressione guidata dal governo indiano, lo smantellamento dello Stato americano annunciato da Donald Trump, l’assalto al Campidoglio da parte dei suoi discepoli nel gennaio 2021, la propaganda di teorie del complotto da parte di politici avidi e menzogneri.

Tuttavia, questa fatalità non è ancora certa. In tutto il mondo, i movimenti di resistenza popolare scendono in piazza per chiedere la libertà e rifiutare di essere imbavagliati. Ricordiamo l’ammirevole coraggio delle donne iraniane che si sono tolte il velo rischiando di essere gettate violentemente in prigione, il coraggio delle donne afghane che hanno osato prendere parte a dimostrazioni discrete di un regime non meno violento, l’aplomb delle ungheresi che hanno resistito al primo ministro Viktor Orbán, e la mobilitazione della società civile che ha stroncato la legge marziale in Corea del Sud prima ancora che fosse imposta.

È al loro valore ispiratore, a tutti loro, che dobbiamo guardare, nonostante i fallimenti della diplomazia e la inefficacia delle missioni di pace, che possano finalmente essere usate come strumenti di pacificazione dei conflitti. Perché i cittadini del mondo non hanno abdicato alla loro libertà. Speriamo che coloro che ancora credono nell’ordine mondiale li ascoltino e, soprattutto, lo sostengano.

Make democracy great again!

Dinanzi alla seconda cerimonia di insediamento di Donald Trump, unico presidente degli Stati Uniti che negli ultimi centotrent’anni sia stato eletto per un secondo mandato non consecutivo (il solo precedente risale all’Ottocento), una domanda si impone immediatamente su tutte le altre: per quale motivo, anziché alla Casa Bianca, non si trova in galera? Il fatto che porre una simile domanda possa apparire oggi una battuta provocatoria o addirittura una dimostrazione di estremismo, ostilità preconcetta, accecamento ideologico, la dice lunga su quanto si sia spostato, in questi anni, il confine di ciò che consideriamo accettabile in democrazia.

Fino a non più di una decina di anni fa, nessuno avrebbe ritenuto accettabile la possibilità che un presidente capace di non riconoscere il risultato elettorale, cercare di manipolarlo (è documentato anche questo, a partire dalla famosa telefonata in cui Trump chiedeva al segretario di Stato della Georgia, peraltro repubblicano pure lui, di trovargli gli undicimila voti mancanti nelle urne) e di istigare i suoi sostenitori ad assaltare il Congresso per impedire fisicamente il passaggio di poteri, un assalto che ha lasciato sul terreno cinque morti, non venga  arrestato e processato come golpista. Sarebbe stata, per tutti, una cosa logica.

Eppure, più si susseguono elezioni in vari Stati, più la vittoria di Trump – e di tsnti piccoli Trump – non è un’eccezione ma un’inclinazione delle società contemporanee. Trump non è un’anomalia, ma il sintomo del nostro tempo oscuro. Questa è senza dubbio la grande novità del 2025, consacrata dalla solenne rilegittimazione democratica di Trump, che appena quattro anni fa, proprio a causa dell’assalto a Capitol Hill, era stato bandito persino da Twitter, l’ultimo gradino nella scala della reiezione sociale.

Il caso americano mostra però anche tutti i rischi dell’inazione e della sottovalutazione dinanzi a un problema antico, che per molte ragioni si ripresenta oggi ancora più complicato che in passato: quello degli strumenti a disposizione della democrazia per difendersi da una minaccia proveniente dal suo interno – indipendentemente dalla presenza e dall’entità di eventuali aiuti esterni – rappresentata da movimenti che partecipano alla competizione democratica con metodi e obiettivi non democratici.

Non si vede, infatti, come la solenne e regolarissima rielezione di Trump possa cancellare questo problema. Anzi, semmai, lo aggrava. Il fatto che dopo l’assalto a Capitol Hill Trump non sia finito in carcere, ma alla Casa Bianca, può essere considerato una colpa della politica o una responsabilità dei giudici, può essere rimproverato a Joe Biden e ai democratici, addebitato a una fragilità del sistema giudiziario e a una faglia dell’ordinamento costituzionale, ma certo non si può negare che rappresenti un fallimento della democrazia.

Il mondo del 2025, per le democrazie occidentali, si apre dunque all’insegna della diffusione globale del populismo e della sua crescente egemonia sull’intero spettro politico, da destra a sinistra, con la simmetrica ascesa di Marine Le Pen e Jean-Luc Mélenchon in Francia, della destra nazistoide di AfD e della sinistra rossobruna di Sahra Wagenknecht in Germania, per non parlare del tragico e ormai consolidato equilibrio bi-populista italiano Fratelli d’italia – Lega.

La vera novità del 2025, annunciata dalla riconsacrazione di Trump, è però un fenomeno ancora più profondo, che coinvolge tutti, compresi i liberali (o presunti tali).
Preoccupa che per tante autorevoli testate sia internazionali che nazionali e per fior di politici e osservatori di dichiarata fede liberale, il contenimento dell’inflazione, il taglio delle tasse ( al di là dei risultati economici e dei costi sociali), dimostrino la validità universale della dottrina liberista (o al contrario la sua fallacia e crudeltà), rendendo accettabile il trumpismo, il populismo e persino la nostalgia per la dittatura militare.

Infatti, a titolo di esempio, l’attuale governo Milei si applica nel continuo tentativo di sminuire la natura e le dimensioni dei crimini perpetrati dalla dittatura in Argentina, dai desaparecidos ai cosiddetti voli della morte, sostenendo che negli anni Settanta in Argentina vi sarebbe stata semplicemente una guerra civile, con “eccessi” da entrambe le parti. Una teoria peraltro già formulata a suo tempo dallo stesso dittatore Jorge Rafael Videla.

Ma se a esultare sotto la finestra della Casa Rosada finiscono anche gli ultimi difensori dello Stato di diritto e della liberaldemocrazia, per i democratici si annunciano tempi davvero difficili. Sono novità non da poco, di cui tutti i democratici faranno bene d’ora in poi a tenere conto. E forse avrebbero fatto meglio a tenerne conto anche prima.

(Continua)

Data:

20 Febbraio 2025