Nel marzo del 2021, la Commissione Europea ha adottato la “strategia sui diritti delle persone con disabilità 2021-2030”; un documento importante che definisce le iniziative che gli Stati aderenti devono intraprendere per garantire la piena inclusione delle persone con disabilità, in linea con il trattato sul funzionamento dell’Unione europea e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che fissano l’uguaglianza e la non discriminazione tra tutte le persone.
La strategia punta a rafforzare la partecipazione e contrastare la discriminazione, le iniziative sono incentrate su tre direttrici:
– Diritti dell’UE: le persone con disabilità hanno lo stesso diritto degli altri cittadini dell’UE di trasferirsi in un altro paese o di partecipare alla vita politica.
– Vita indipendente e autonomia: le persone con disabilità hanno il diritto di vivere in modo indipendente e di scegliere dove e con chi vivere.
– Non discriminazione e pari opportunità: la strategia mira a proteggere le persone con disabilità da qualsiasi forma di discriminazione e violenza e a garantire l’accesso alla giustizia, all’istruzione, alla cultura, allo sport e al turismo, e le pari opportunità in tutti questi ambiti.
Il costrutto del principio di non discriminazione delle diversità, è alla base del progetto europeo sin da quando è nata l’UE; a distanza di quasi un trentennio, notiamo però che l’applicazione delle norme e il rispetto di quei diritti, per buona parte è rimasto sulla carta. Siamo ancora lontani dall’essere quell’Europa che ha saputo abbattere tutte le barriere, quelle culturali prima ancora di quelle architettoniche, per permettere la piena inclusione delle persone con disabilità.
Vero è anche che in alcuni Stati si è molto più avanti rispetto ad altri sia in materia di servizi di supporto al disabile e alla famiglia, sia in riferimento all’accessibilità e al trasporto, ma la strategia elaborata dall’Unione Europea è finalizzata ad essere attuata uniformemente in tutti stati.
Anche in Italia le cose non vanno benissimo, nonostante abbiamo una legge in materia di welfare, la legge n. 328 dell’8 novembre 2000 “legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, considerata una delle migliori a livello europeo; basterebbe solo applicarla, per migliorare le condizioni di vita di tante persone. E, invece, sembra quasi che il rispetto di quei diritti inalienabili sia lasciato alla sensibilità dei singoli o, peggio, alla famelica azione di chi quei diritti li trasforma in favori o compassionevoli concessioni, perché è facile assoggettare i deboli.
Le persone con disabilità devono poter partecipare in tutti gli ambiti della vita, allo stesso modo di chi non ha una limitazione. Fare progetti di vita indipendente, lavorare, vivere la socialità e l’affettività, fare sport, viaggiare, sono condizioni di normalità che debbono essere garantite anche a chi ha una disabilità, ma bisogna essere messi nelle condizioni di farlo ed è necessario supportare le famiglie. Nel nostro paese, ad esempio, la figura del caregiver familiare non è riconosciuta né tutelata. Sono state presente due proposte di legge nel 2015 e nel 2016 e ancora non si è giunti alla definizione di uno strumento normativo capace di riconoscere e tutelare il gravoso lavoro del caregiver familiare.
La disabilità e i bisogni delle famiglie caregiver, chissà perché non trovano mai posto nell’agenda delle priorità. C’è sempre qualcos’altro a cui dare la precedenza; c’è sempre qualcosa di più urgente, di più importante. Cosa può esserci di più importante del garantire le pari opportunità e dare dignità alle persone con disabilità; supporto materiale alle famiglie; rispetto e tutela dei diritti inalienabili.
Questo significa essere un Paese civile che include e non esclude e che alle belle parole fa seguire i fatti. Questo deve essere l’impegno prioritario dei Politicy maker a tutti i livelli istituzionali.
L’impressione, però, è che la trattazione di queste tematiche continua a non interessare chi ha il compito di orientare le decisioni e si va avanti navigando a vista in un mare sempre più tempestoso che coinvolge e travolge le famiglie.
Famiglie sempre più sole in una società in cui le relazioni umane sono più liquide, per usare una definizione di Bauman, fragili e stanche. Loro non mollano perché non se lo possono permettere, ma ognuno, nel proprio ruolo, senta forte quel pugno nello stomaco per tutto quello che dovrebbe fare e non fa. Per essersi voltato dall’altra parte, per la violazione di quei diritti inviolabili e il tradimento di quei valori umani e cristiani. E non ci sono attenuanti che possano giustificare l’inerzia. Un paese civile è un paese che non discrimina che accoglie e include le diverse fragilità sociali. È un segno di civiltà, di solidarietà, di buon senso, di capacità di immedesimarsi nei bisogni dell’altro.
È questo che chiedono gli interessati, mica vogliono la luna!