A qualche anno dall’inizio della crisi, siamo ancora in balia dei debiti, della mancanza di occupazione e di una consistente sfiducia verso il futuro. Il problema non è quasi superato come vogliono farci credere. La frammentaria politica europea dominata dalle grandi Potenze non è ancora riuscita ad affrontare la questione in modo risoluto e unitario. Il fatto è che qui, oltre ad esserci di mezzo interessi importanti, sono in ballo l’avvenire e la vita delle persone.
Viviamo in un’Europa composta da una molteplicità di istituzione e commissioni che hanno il compito di costruire e migliorare questa Unione. Molti parlano della necessità di un federalismo europeo senza tener conto dello spiccato senso di individualismo che caratterizza alcuni Stati membri. Mentre gli Stati si dividono tra austerity e bieca compassione, si affonda lentamente e tutti insieme (anche se c’è chi resiste, neanche la Germania campa d’aria!). Il declino avviene ogni volta che coloro che fanno le veci di uno Stato, considerano l’Europa come un gruppo opzionale al quale è utile partecipare per dire la propria e tutelare il tornaconto personale.
Bisognerebbe ricordarsi per quali fini è stata istituita l’Unione Europea. Inoltre questa fragile situazione si inserisce in una altrettanto delicata: quella italiana. La crisi ha fatto emergere tutte le falle che caratterizzano il nostro Bel Paese. Diciamo che siamo sommersi d’acqua. Non per mancanza di voglia di lavorare, benché vi sia questa voce illusoria che afferma il bisogno di manodopera da importare, gli italiani sono sempre stati dei gran lavoratori (esclusa la “casta” parassitaria di chi vive sulle spalle degli altri). Se glielo si permette, certo. Forse, però, bisogna indagare a monte. Il mercato del lavoro italiano non è mai stato mobile. Al contrario, mostra una forte rigidità e una mancanza di flessibilità ai cambiamenti.
E’ utile specificare che non intendo approvare l’abitudinaria penuria di un’occupazione sicura e stabile che caratterizza fin troppo spesso il mercato del lavoro italiano. Mi interessa sostenere che in questo momento vige la necessità della costruzione di un welfare strutturato sui bisogni della persona in quanto lavoratore in grado di soddisfare da sé i propri bisogni. Una struttura che permetta una interscambiabilità e una comunicazione costante nell’ambito lavorativo. Vi dovrebbe essere un centro qualificato il cui compito sia quello di reimmettere continuamente i lavoratori all’interno del mercato entro (e non oltre) uno spazio di tempo stretto e ben definito, assicurandogli nel frattempo un sostegno economico dignitoso.
Una mobilità efficace ma sicura. Invece, quando in Italia una persona perde il posto, si ritrova da sola a doverne cercare un altro. E al giorno d’oggi è mica cosa facile! Spesso e volentieri si cercano lavoratori altamente qualificati in un determinato campo, ed è difficile trovare un’occupazione in un altro settore dopo aver perso il lavoro in cui si è specializzati. D’altro canto la politica italiana non aiuta a sistemare le insufficienze a cui siamo ormai abituati (sono troppo impegnati ad assicurarsi l’immunità per potersi occupare di questi problemucoli!).
Anziché incoraggiare le persone all’investimento e al consumo, si preferisce tagliar loro le gambe. Gli imprenditori sono esautorati dalle tasse. Molte piccole imprese, una volta costituenti per gran parte la morfologia economica del nostro paese, non ce l’hanno fatta. Abbandonate a loro stesse, non sono riuscite ad affrontare la caduta economica.
Anche giovani ed anziani si ritrovano in una situazione paradossale. I primi sono sballottati da un lavoro all’altro -quando sono fortunati ad averne uno- per una paga da fame (son mica così poco “choosy”!), gli altri dopo una vita di lavoro faticano a trovare i soldi per vivere. La disgiunta direzione politica non ha fatto altro che piegare ulteriormente il paese. L’omogenea disorganizzazione dell’apparato burocratico e politico ha solamente contribuito a peggiore le cose. Cosa si può fare di fronte a questo scenario? Se vogliamo cambiare qualcosa, dobbiamo iniziare dalla mentalità.
L’Unione Europea deve iniziare a lavorare seriamente e su se stessa, lasciandosi indietro la vecchia e inadatta idea di nazionalismo imperante. L’Italia può cominciare trattando con rispetto e dignità i propri cittadini (a partire dai più deboli!). Deve offrire nuove possibilità di crescita e di miglioramento. Un’esigenza esplicita a cui non è possibile sottrarsi. Una necessità che, se utilizzata correttamente, può condurre a grandi risultati. Bisogna cominciare subito però. Darsi delle priorità. Vero è che un popolo felice è il miglior risultato da raggiungere. Noi non attendiamo il miracolo, solo delle linee economiche che permettano di fare dei passi avanti. Nonostante la risalita sia mascherata da utopia, è fattibile con l’impegno solo se si sfruttano al massimo tutte le potenzialità e le possibilità.