Che cosa è l’arte? Come l’amore, un concetto difficile da definire, ma di chiara foggia nel nostro sentire.
L’arte nel suo etimo sanscrito ci comunica l’andare verso qualcosa, il fare, avvicinabile al panta rei greco, pur intriso di tecnè, ars, tecnica, studio, di pragmaticità latina, mediterranea. L’arte di ogni genere, nella sua fluidità, peculiare e temporale, nel suo essere alito dello spirito vitale, è specchio, riflesso della realtà. È arte la pittura, la musica, la poesia; arte è la scienza libera, la medicina pura, la politica nobile, ciò che fa progredire e vizia i nostri “sensi” mentali e quelli di fruizione del “piacevole”.
Svolge il ruolo di magistra, secondo la maieutica socratica, facendoci cogliere l’universalità dell’agire umano, in tutte le sue sfaccettature, mostrandosi come occhio critico che scorre col fluire regolare del tutto, che si addentra nelle viscere invisibili, che vola alto, là dove riesce a intravedere il fango che in basso rende impuro ciò che per tutti brilla o la fenditura vitale nella durezza della roccia. Stimolata dal soffio intuitivo, divino del sentire, a sua volta ingenera un acume particolare rispetto all’inossidabile comune senso del vivere, non attraversato dalla scintilla dell’ars. Abitua lo sguardo pensante e senziente a percepire la diversità, quale naturale divergenza del due rispetto all’uno, del tre rispetto al due… La reductio ad unum, medievale, giustificabile nella valutazione dell’esclusiva fede per Dio, viola i diritti dell’individuo nell’imporre un modus vivendi immobilizzante, privo di libertà anche d’arbitrio.
La diversità di essere, agire, pensare è naturale ma l’arroganza, la crudeltà, la violenza artificiale dell’uomo l’hanno sempre temuta e incatenata in nome dell’ interesse di casta, religione, genere, per potere, prestigio, manipolazione, Tutto ciò che si riconduce all’uno è nefasto, lungo e triste retaggio che ancor oggi ha riverberi in ogni campo della vita privata e sociale, camuffato sotto la veste giornaliera tessuta con i fili del comune senso, che spesso grida all’anormalità, alla follia dell’altro diverso da sé. Piace riflettere su tale sfumatura tematica, esemplificativa di quanto asserito. Spesso si additano molti come “folli”, si abusa nell’uso dei termini follia, pazzia, anormalità per stigmatizzare banalmente comportamenti che non si ritengono conformi alla “normalità” o non omologhi alla visione di chi li condanna come tali, assimilandosi ciò spesso, al di là dell’“aculturalità”, al silenzio imposto, alla manipolazione della Veritas. In tale campo, il pluralismo prospettico dovrebbe spingerci alla prudenza e dall’altra all’analisi attenta, perché le policromie tinteggiano di sé il variegato pulviscolo degli eventi. Resiste la mentalità assolutista, maschilista, dittatoriale, di potere, a tutto tondo, pur messa in crisi ma mai superata dalla rivoluzione primo-novecentesca, della stessa portata di quella copernicana, per la quale crollano l’armonia, la tonalità, la considerazione dell’unicità della realtà visiva.
“Reale” è lo spazio-tempo relativo einsteiniano, come il tempo interiore di Bergson, il vitalismo nietzschiano, l’inconscio di Freud, l’urlo di Munch, la musica atonale di Schoenberg, ciò che l’arte espressionista vede con gli occhi dell’anima, “diversamente” che con gli occhi fisici. Si muovono le maschere nude di Pirandello, che distrugge umoristicamente l’identità oggettiva, mettendo a nudo la soggettività, la crisi, l’incomunicabilità dell’uomo e il volto nuovo della follia:
“Trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta
tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica di tutte le vostre costruzioni”.
Non sempre infatti, nella ciclicità epocale, l’uomo si è distinto nel progredire: piuttosto è retrocesso nel cammino storico, imbattendosi in sentieri bui o illuminati dalla fosca luce dell’interesse personale, di casta, di partito, di religione, di megalomania volto al male altrui, intervenendo intenzionalmente, operando un ritorno al passato oscurantista. Una mano a cercare di capire ce la porge la natura, dissacratrice della ratio dell’uomo, nella mera, esclusiva e limitata visione utilitaristica.
“Osservate con quanta previdenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia. Infuse nell’uomo più passione che ragione perché fosse tutto meno triste, difficile, brutto,
insipido, fastidioso” – Erasmo da Rotterdam
Le coordinate per comprendere le offre, come sempre, la cultura… ci fornisce gli strumenti per fare suonare armoniosamente l’orchestra, apprezzandone anche le naturali dissonanze.
“Non ci vuole niente, sa, signora mia, non s’allarmi! Niente ci vuole a far la pazza, creda a me! Gliel’insegno io come si fa. Basta che Lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza!” – Pirandello
Capire perché si parli di pazzia e come si valuti, ci permette di cogliere i mille rivoli della mente umana, anche le sue storture e i crimini commessi da parte di chi taccia di pazzia il bersaglio umano da colpire e annullare…
“Tutto svaniva nella nebbia. Il passato veniva cancellato, la cancellazione dimenticata, e la menzogna diventava verità” – George Orwell
Vasta la letteratura in merito alla Donna, foriera di maligna follia diabolica da sempre. Donne relegate al marchio della pazzia, quindi al silenzio, all’oblio, ai maltrattamenti, “manicomizzate” per l’esuberanza, la stravaganza, il non allineamento con l’ordine fascista, considerate rottame, “Fiori del male” (Annacarla Valeriano).
Per fortuna, possiamo rivolgere un plauso a chi ci ha svelato le fattezze di quella corda che gira in maniera anomala, che si veste della peculiarità di “errore” nella bellezza del caos che non è ordine imposto…
“E’ solo attraverso il mistero e la follia che l’anima si rivela” – Thomas Moore
Molto spesso sono considerati pazzi i geni, quelli che cambiano il mondo. Della pazzia non possiamo fare a meno, per quella felice combinazione di genio e follia che fa della vita la cronaca di uno straordinario viaggio.
“Dottore, mio fratello è pazzo, crede di essere una gallina!”. Il dottore: “Perché non lo interna?”. E quello risponde: “E poi a me le uova chi me le fa?”. Beh, credo che corrisponda molto a quello che penso io dei rapporti uomo-donna: e cioè che sono assolutamente irrazionali, e pazzi, e assurdi… Ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova” – Woody Allen
Non bisogna biasimare, meravigliarsi di nulla, solo per il fatto che tale “nulla” sia “diverso” dal nostro piccolo campo d’azione. Questo è il segreto del progresso umano. In tempi molto lontani non avremmo mai pensato di parlare alle cose, agli oggetti, agli astri senza essere apostrofati come folli in senso negativo; oggi, culturalmente, adoperiamo il termine “folle” in senso antifrastico. Sì, proprio così: “Folle è l’uomo che parla alla luna. Stolto chi non le presta ascolto” – William Shakespeare.
La conformità al grigiore “borghese” ingessante e ipocrita permette di fare passi misurati ma non di librarsi nell’azzurro, all’opposto di chi, pur ugualmente senza ali, ha un pizzico di follia…
“E coloro che furono visti danzare furono giudicati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica” – Nietzsche
Dunque non giudichiamo, con piccole lenti, se non raggiungiamo con lo sguardo l’altezza in cui vola alto il gabbiano, perché libero come lo è colui che si pone oltre, perché ha intessuto la sua anima di sensibilità culturale, artistica, folle spirito vitale.
In un certo senso, riprendendo Andy Warhol, è piacevole pensare di essere “la cosa giusta nel posto sbagliato e la cosa sbagliata nel posto giusto”, perché così accade sempre qualcosa di interessante.