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 LA LECTIO DIVINA – 6 parte

Nell’articolo precedente abbiamo visto in cosa consiste la terza tappa della Lectio Divina, ovvero l’Oratio (= preghiera). Oggi concludiamo questo percorso esaminando l’ultimo passaggio di questa incredibile avventura con la Parola di Dio che, da semplice lettura, diventa vita incarnata.

La quarta tappa della Lectio è tradizionalmente definita CONTEMPLATIO (= contemplazione) ed è veramente difficile descriverla, in quanto traduce l’esperienza intima e personale di ogni essere umano con la Sacra Scrittura. Motivo per cui della parola contemplatio esistono diverse definizioni e diversi modi di concepirla.

La definizione che prevale è la seguente: Contemplatio è il gusto per un’esperienza indicibile che cresce nel cuore di chi fa della Parola di Dio tutta la sua vita.

Definizione di un lirismo incredibile che presenta, tuttavia, un pericolo nascosto: quella della chiusura in se stessi. La Parola di Dio, infatti, non è un giardino segreto nel quale isolarsi; certamente si tratta di un’esperienza colmante, intima, profonda e personale ma, così come il grembo materno, il rischio è di identificarsi con esso, chiudendo le porte al mondo esterno.

La Contemplatio così vissuta è una sorta di “ritorno al paradiso” che, sì, ci permette di godere intensamente della Parola di Dio, ma allo stesso tempo ci chiude alle realtà esterne. Tutto ciò può portare a un oblio del mondo, della storia, motivo per cui i Padri hanno interpretato il termine Contemplatio in un altro modo.

Vediamo innanzitutto l’etimologia del termine latino “contemplatio”.

Questa parola è composta dalla preposizione cum e dal sostantivo templum. Tutti sappiamo che templum si può tradurre con la parola tempio, ma pochi sanno che la radice di templum è vicina alla radice che forma il verbo temno, che significa ritagliare.

Esaminiamo la differenza tra queste due traduzioni.

La Parola di Dio non è un giardino segreto nel quale isolarsi alla stregua del grembo materno.

Il termine TEMPLUM richiama il simbolo del tempio che, a sua volta, rimanda alla volta celeste. Così, se da un lato esso rappresenta il firmamento, dall’altro è lo spazio in cui viviamo la nostra esperienza storica di esseri umani. “Templum” è dunque la sintesi del divino e dell’umano, ma rappresenta anche il limite oltre il quale abita ciò che è nascosto ai nostri occhi.

Vivere la Contemplatio significherebbe, dunque, vivere cum templum, cioè vivere in questo spazio sacro che è ad un tempo luogo del limite e luogo in cui percepiamo l’inaccessibile.

Arrivati a questo punto è scontato identificare tale “luogo” in Gesù di Nazareth, nella cui persona si congiungono la parte terrena germogliata da Maria e quella celeste discesa dal Padre Celeste. Del resto anche San Paolo parla del corpo (dei cristiani, come similitudine a quello di Cristo) in questi termini: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio? Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!» (1 Cor 6,19.20)

Da ciò potremmo concludere che il culmine della contemplazione non è separare lo spirituale dal materiale ma, al contrario, fonderli insieme nel modo più perfetto possibile. Parola e Spirito non sono più due realtà distinte ma si fondono in un’unica realtà che dà vita a tutto ciò che ci circonda: «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.» (Gen 1,1-3)

Così come all’origine, la Parola (= umano) unita allo Spirito (= divino) continua a creare, a dare la vita. Ed è questo il senso della Lectio Divina: passare dalla lettera allo Spirito, dalle parole alla Parola. Colui che riesce a raggiungere tale sintesi è in grado di percepire il Soffio divino in ogni cosa, anche dove altri non vedono che male e sofferenza.

“Templum” è la sintesi del divino e dell’umano.

Ma c’è un altro modo di pensare alla contemplazione.

Gli antichi Greci ci hanno tramandato il termine theoria che noi, erroneamente, utilizziamo per indicare qualcosa di astratto, di teorico, appunto!

Il termine greco, invece, è la sintesi di due parole molto interessanti: thea e oraoThea significa “visione” e Orao “vedere”, dunque: vedere una visione, o vedere nella visione.

Da ciò deduciamo che la Contemplatio, in questo caso, è una visione che va oltre il percepibile, come se si entrasse in ciò che si osserva.  

Nella tradizione cristiana, il termine greco theoria viene utilizzato una sola volta in tutto il Nuovo Testamento dall’evangelista Luca per indicare il Cristo crocifisso. Conseguentemente, il contemplativo è colui che ha sempre davanti agli occhi Cristo crocifisso come Parola (= Verbo) che dà senso alla Storia.

Pensiamo ai santi Francesco e Chiara di Assisi: entrambi hanno fatto del Cristo crocifisso il centro della loro vita, il senso della loro esistenza, la sintesi di tutto ciò che era, che è e che sarà. In una parola, alla radice della contemplazione c’è la conformazione dell’uomo nella Parola di Dio.

Ma non finisce qui.

Dopo la Lettura, la Meditazione, l’Orazione e la Contemplazione vi è un ulteriore passo da compiere, senza il quale i precedenti sarebbero vanificati: l’ACTIO (= azione).

Solo chi ha perseverato nello scrutare le Scritture scoprendone i significati reconditi attraverso lo studio e la meditazione, facendoli diventare “carne della propria carne” e “anima della propria anima” attraverso la preghiera e la contemplazione, può agire nel mondo in “Spirito e Verità” (Gv 10,23). Solo i veri contemplativi possono dedicarsi alla missione. Diversamente, invece della Parola di Dio, non porteremmo che le nostre povere parole umane.

«Il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno!» (Mt 24,35)

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Data:

8 Febbraio 2025