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LA LIBERTA’ DIGITALE E I FATTI DI HONG KONG

La diffusione pervasiva delle tecnologie informatiche, grazie agli apparati digitali, pone problemi inediti e appare ormai chiarissimo che occorre adeguare  alcuni processi di scelta e aggiornare alcuni principi base finora ritenuti  indiscutibili.

Una caratteristica dei giornali è avere un orizzonte temporale di 24 ore, la società se ne fa influenzare pesantemente, e infatti da decenni continua a crescere  la mancanza di prospettive, di lungimiranza politica e financo la memoria dei fatti.

Una decina di anni fa ci fu uno scontro  a Hong – Kong tra governanti filo-cinesi e attivisti per poter scegliere liberamente i  candidati che lasciò sul terreno almeno una vittima: il mito della “libertà digitale”. Ma sembra che si continui ancora a credere che questa libertà sia possibile mantenerla senza pesanti interventi politici, e infatti sta lentamente scomparendo.

A Hong Kong gli studenti che occupavano le strade  avevano dato a Chun Ying Leung, il Capo dell’Esecutivo di Hong Kong, un ultimatum: se non si fosse dimesso avrebbero occupato gli uffici governativi. Da Pechino, un editoriale del «Quotidiano del Popolo» non aveva fatto nulla per calmare gli animi, promettendo anzi «conseguenze inimmaginabili» se gli studenti non avessero sgomberato le strade.  La Cina aveva già una decina di anni fa uno sviluppo dei software di controllo enorme, con centinaia di migliaia di addetti a queste attività, e  la Cina, anche solo per la numerosità della popolazione che si può dedicare al settore, si avviava a diventare leader mondiale nel campo del software, come   è già ormai in altri settori.

Quello di Occupy Central fu un movimento reso possibile dalla tecnologia delle comunicazioni digitali:  le duecentomila persone in piazza in quei giorni agivano di concerto affidandosi a strumenti web per comunicare. Se Twitter aveva aiutato le cosiddette Primavere arabe (furono i media occidentali a inventarsi il termine) nel 2012,  a Hong Kong nel 2014 si usava FireChat. In poche ore oltre 100 mila persone a Hong Kong scaricarono  sui loro smartphone l’applicazione per scambiare messaggi. FireChat si appoggia a Bluetooth e può mandare messaggi a 70 metri di distanza anche senza connessione Internet – spesso molto irregolare (guarda caso) nelle zone della protesta; ma, diversamente da Telegram, che manda messaggi criptati, i messaggi di FireChat sono in chiaro.

Si moltiplicarono  malware che prendevano  di mira proprio gli smartphone degli studenti, forse per  mettere i bastoni fra le ruote al Movimento degli Ombrelli. Ovviamente la cosa poi è caduta nel dimenticatoio dei media ma logica vuole che i bastoni tra le ruote di qualcuno li metta chi ha interesse a farlo inciampare…

Secondo il «New York Times» il governo cinese stava spiando i ragazzi scesi in piazza tramite una falsa App per smartphone. La scoperta sarebbe  stata fatta dai ricercatori della Lacoon Mobile Security, un’azienda specializzata in sistemi di sicurezza informatica. In quello che si è rivelato essere un «phishing attack» (una tecnica finalizzata a carpire informazioni personali), gli utenti di smartphone di Hong Kong avevano ricevuto un link su WhatsApp per scaricare un software, insieme a una nota: «Guardate questa app Android disegnata da Code4HK per il coordinamento di Occupy Central!». Sembra però che  Code4HK, una comunità di programmatori che sostiene il movimento per la democrazia, non avesse nulla a che fare con l’applicazione. Secondo Michael Shaulov, amministratore delegato di Lacoon, c’erano chiari segnali che riconducevano al governo cinese.

Il fatto poco evidenziato allora fu  che chi aveva  lanciato l’app-spia aveva la possibilità di accedere ai dati personali degli ignari utenti, come password e informazioni bancarie, spiare telefonate e messaggi e avere continua traccia della posizione fisica dello smartphone. In tal modo era possibile, e velocissimo, schedare e controllare  tutti gli utenti, conoscere i loro contatti, e  così via. Ne seguiva che per chiunque usasse mezzi informatici per controllare le manifestazioni era comunque possibile risalire dal numero di contatti e dal luogo alla “importanza” di quei messaggi, e perseguire poi successivamente le persone.

Tra la paura (in realtà certezza)   di  «schedature» e l’attesa della reazione del capo del governo  per le strada di Hong Kong la tensione continuò  a salire, riducendosi solo quando si  presentarono  il vice-rettore dell’Università, Mathieson, e il rettore dell’Università Cinese di Hong Kong, venuti a sostenere gli studenti e a chiedere loro di non correre rischi. Accolti come eroi: i primi adulti appartenenti a istituzioni importanti a scendere in campo a fianco degli studenti.

Joshua Wong, il leader di Scholarism, allora diciassettenne, in uno dei suoi discorsi appassionati, disse: «Abbiamo fatto la Storia. Non voglio che nessuno di noi si faccia male», cercando di convincere i suoi compagni che una ritirata strategica non era da considerarsi una sconfitta. Un gruppo di pastori e preti si avvicinarono, in fila davanti alle barricate, dicendo che avrebbero protetto gli studenti. Poi, a mezzanotte, la conferenza stampa di Leung: «Non mi dimetto – disse -, ma invio la mia vice, Carrie Lam, a parlare con gli studenti e studiare con loro il progetto di riforma elettorale. La polizia non caricherà se gli studenti si manterranno pacifici». Un contentino, un nulla, che bastò  comunque a far tirare un respiro di sollievo. La Rivoluzione degli Ombrelli di Hong Kong non voleva avere martiri, il precedente di Piazza Tien An Men non era stato dimenticato.

Quello che accadde  a Hong Kong ha coinvolto  il governo cinese, ma potremmo sostituire a Hong Kong altre città, e alla Cina altri stati: la descrizione delle conseguenze del controllo statale delle comunicazioni sarebbe identica.  Ormai la misura di quanto uno Stato sia illiberale (non in senso economico, ma verso le libertà di parola, di opinione, di associazione) è misurabile da “quanto” controlli le vie elettroniche di comunicazione. Gli USA  non sono  meno illiberali nei controlli, ma  una maggiore libertà di parola e di stampa consente ancora di denunciare alcune azioni, quando se ne comprendono le implicazioni per il controllo sociale.

La UE  di fatto viene quasi tele controllata dagli USA, anche se le  libertà sono più tutelate grazie anche a un sistema penale  meno minaccioso e costoso di quello USA (dove i detenuti sono arrivati a circa 2.000.000 su trecento milioni di abitanti; fatte le proporzioni, in Italia dovrebbero essere  circa 400.000, e tutti condannati in via definitiva), ma tutti i social sono stati creati e sono gestiti da imprese private USA.

Gli stessi mezzi elettronici che sono perfettamente controllabili sono anche quelli che consentono di ricevere le informazioni dai media, e i media stanno diventando responsabili sempre più spesso di distorsioni feroci della realtà. Per tante ragioni, alcune legate alla incompetenza, altre agli interessi in gioco, ma forse la più potente, perché diffusa, è l’interesse di enfatizzare qualunque notizia per richiamare lettori. Chiamare “Rivoluzione degli ombrelli” una manifestazione collettiva pacifica in cui si aprono  ombrelli con delle scritte ( certamente non è una Rivoluzione) può significare solo due cose: o il redattore vuole mentire dando peso a qualcosa che non lo ha, oppure non sa cosa significhi Rivoluzione. Dato che  la Repubblica Popolare Cinese ha avuto il Presidente Mao tra i  fondatori, sarebbe il caso di andarsi a rileggere come descrivesse Mao cosa sia veramente una rivoluzione, anche perché indubbiamente Mao era uno dei principali esperti mondiali di allora. La Lunga Marcia comandata da Mao fu una azione rivoluzionaria molto concreta: l’80% dei partecipanti morì.

Anche la “rivoluzione digitale”, che da decenni viene propagandata su giornali e riviste come ricca di positività , e di libertà, si sta rivelando un gigantesco inganno;  chi si fiderà a usare  un mezzo di comunicazione che sembra concepito (e in gran parte lo è, tanto è vero che negli USA sono proibiti algoritmi di criptaggio non conosciuti) per rendere agevolissimi tracciamenti, schedature, analisi, e così via?

Chi volesse manifestare il proprio pensiero (della libertà di parola, stranamente, oggi non si parla quasi mai; oggi tutto deve essere “politicamente corretto”, il che anche in linea teorica preclude la libertà di parola, cioè la libertà di dire liberamente quel che si intende dire, anche se tutti gli altri sono contrari) oggi senza avere la “certezza” di poter essere identificato una cosa assolutamente non deve fare: usare qualsiasi mezzo elettronico collegato a una Rete, o che abbia dentro di sé della memoria permanente. Quindi non solo deve essere evitato l’uso di smartphone, PC, cellulari, eccetera…ma anche i dati debbono essere conservati NON su supporti tecnologici, come gli hard-disk, da dove organizzazioni ricche di mezzi possono ricavare tanti tanti dati. E comunque tali apparati non debbono essere MAI collegati a internet.  Ma a sollecitare, esigere, imporre l’uso dei mezzi informatici sono sempre più grandi organizzazioni che ne traggono guadagno (le Banche con il Bancomat), o risparmio (le organizzazioni che dispongono di dati già pronti scaricando il costo dell’inserimento sull’utenza), o controllo (vari governi). Si pensi che in Italia a breve anche le “ricette bianche” dovranno essere informatizzate per “aggiornare il fascicolo elettronico del paziente”; in tal modo lo Stato avrà accesso a “tutte” le informazioni sanitarie, e lo avranno anche i dipendenti infedeli!

Le “nuove tecnologie” ci spingono indietro nel tempo. A Roma si usava affiggere sulle fontane cartelli con scritte critiche verso i potenti. Da sempre si affiggono manifesti abusivi (tanto è vero che la legge impone di citare sempre la tipografia) e si scrive sui muri. Oggi per accedere a un wi-fi occorre dare un numero di cellulare, e per avere una SIM occorre avere un documento d’identità, e con tutti i codici trasmessi nelle comunicazioni tra SIM, cellulare e rete è facilissimo individuare i cluster di conversazione. Persino le cabine telefoniche da cui si chiama sono perfettamente identificabili, ma se si usa moneta contante non si può risalire a chi ha telefonato.

Paradossalmente l’unico modo per garantirsi veramente l’anonimato è usare pezzi di carta anonimi, anonimamente mescolati e tracciati con segni non identificabili, come si fa (e si farà per molto molto tempo, e quando non si farà più sarà perché anche il voto sarà controllabile e controllato) nelle cabine elettorali. E come si fa con le banconote.

La “libertà digitale” può esistere solo se TUTTI i dati ottenuti durante l’uso dei sistemi di comunicazione elettronica e web vengono IMMEDIATAMENTE e OBBLIGATORIAMENTE cancellati, rendendo fisicamente impossibili comportamenti alternativi, ma se persino nei paesi dove le libertà hanno una lunga storia questo non avviene (i social network sono una fonte di schedatura imponente, e senza schedature non potrebbero esistere, dacché Facebook, Google e altri vendono pubblicità e servizi connessi), si  può immaginare cosa avvenga negli altri. I controlli digitali vengono giustificati dai vari Governi con la necessità di garantire la sicurezza contro la delinquenza, ma chi garantirà che la delinquenza non possa accedere a questi dati? A Hong Kong si mormorava che negli scontri fosse  coinvolta la mafia delle Triadi, che appoggiava il governo cinese. E se il Governo dittatoriale definisce “delinquenza” ciò che lo contrasta politicamente?

Oggi ci si limita alla tutela della “privacy”, ma la libertà digitale sarà uno dei nuovi obiettivi per qualunque ideologia politica che voglia tener  conto dei “nuovi” problemi del XXI secolo.

Se la “libertà digitale” dei cittadini è già un problema, la “guerra digitale” è un dramma: quale forza militare può avere uno Stato che dipende in tutto e per tutto da altri Stati sia per hardware che per software? Se la IV guerra mondiale scoppiasse tra  Cina e USA, il primo effetto immediato sarebbe che gli USA dovrebbero re-iniziare di corsa a fabbricare l’hardware in casa, posto che ne fossero capaci. E infatti è quello che stanno cercando di fare, così come cercano di non fare arrivare hardware alla Russia.

Nel caso di attriti tra USA e Europa occidentale agli USA basterebbe bloccare l’accesso ai servizi informatici che gli USA già forniscono (Google, Facebook, Microsoft) per “fermare” tutti gli Stati che da loro dipendono. L’Unione Europea si è decisa a sviluppare il sistema “Galileo” dopo che si è resa conto che non può dipendere da un servizio GPS che gli USA possono bloccare quando vogliono (e quando è necessario), ma non ha ancora percepito che dipende da router cinesi, sistemi operativi USA, data center allocati all’estero, e soprattutto che non ha più una industria indipendente capace di essere totalmente autonoma. 

In questa valanga della digitalizzazione non  si vuole che gli elettori capiscano (gli interessi in gioco sono enormi) che “digitalizzare” ogni cosa significa  in molti casi aumentare  i costi,  rendere molto più fragili i sistemi che supportano la società, e rendere la vita difficile e più costosa a milioni di persone. Dopo più di un secolo di motorizzazione si è capito che occorre passare  alla demotorizzazione. Quando inizierà la dedigitalizzazione?

Data:

23 Novembre 2024

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