Visto che l’eco della loro vittoria a Sanremo non si è esaurito, è possibile usare il titolo del brano dei Maneskin per descrivere quanto sta accadendo in Australia: decine di migliaia di donne, giustamente stanche di essere costrette a rimanere “zitte e buone”, hanno deciso di scendere per le strade di tutta l’Australia per protestare contro la violenza sessuale e la disparità con cui vengono prese in considerazione le loro accuse. Vestite di nero, è un nome a unirle: march4justice, marcia per la giustizia. Le manifestazioni si sono tenute in oltre quaranta città e centri abitati australiani. La più importante delle proteste ha avuto luogo davanti il Parlamento di Canberra, da settimane occhio del ciclone di un caso mediatico che calamita l’attenzione collettiva: quello relativo a Brittany Higgins. Ad accendere la miccia di una bomba poi deflagrata in tutta la sua potenza è stata una denuncia della Higgins stessa: a metà febbraio l’ex dipendente del Partito Liberale al potere a Canberra aveva riportato di aver subito abusi da un suo ex partner, violenze tra l’altro avvenute all’interno dello stesso Parlamento. L’uomo sarebbe stato infine licenziato, dopo aver ricevuto accuse da più fronti a seguito della denuncia.
Alla marcia di Canberra e dintorni le donne intonavano slogan: si udivano frasi come “non ci ascoltate” o “quante vittime conosci?”. Ma la voce più imponente era senza dubbio, visto quanto accaduto un mese fa, quella della Higgins: “Il sistema è incrinato, il soffitto di vetro rimane al suo posto e ci sono problemi pesanti nelle strutture di potere all’interno della nostra istituzione – ha asserito – in Australia vi è un’orribile accettazione da parte della società della violenza sessuale subita dalle donne”. Questo dimostra che l’eguaglianza dei diritti è ancora un concetto misconosciuto, a quelle latitudini.
“La mia storia in prima pagina era un doloroso segnale di allerta alle donne: se può accadere in Parlamento, può davvero succedere ovunque”. E infatti nell’arco di trenta giorni è venuto alla luce un altro scandalo fatto passare sotto traccia. O, meglio, riportato alla luce. Dobbiamo tornare indietro di trentadue anni fa, quando il ministro della Giustizia Christina Porter fu accusato di violenze ma scagionato per assenza di prove. “Non credo che le persone debbano essere isolate, intimidite e ignorate dopo accadimenti traumatici sul posto di lavoro – parla la Higgins – ho raccontato la mia storia per proteggere, si spera, altre donne… chi rimane in silenzio è complice, e io non ho intenzione di rimanere ancora in silenzio”.