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La musica classica, questa meravigliosa Cenerentola

“Provare ad ascoltare la bellezza della musica, a partire dalle scuole, dove va portata, o riportata, in modo diverso.” Poche, ma incisive parole segnano il discorso che Matteo Renzi ha pronunciato nell’Aula del Senato il giorno della fiducia. Affondando la lama nella dolorante piaga dell’istruzione media italiana, Matteo Renzi ha messo al centro del suo mandato la scuola e la cultura, come leve strategiche per far ripartire il Paese.

cms_558/educazione_musicale_images.jpgPer secoli l’educazione musicale è stata identificata con lo studio della tecnica strumentale, peraltro relegata quasi esclusivamente a istituti specifici come i conservatori. Quando dagli anni sessanta in poi l’educazione musicale fu introdotta nella scuola media unica, inizialmente era addirittura facoltativa, poco più di un “additivo” culturale che introduceva qualche nozione di teoria e storia della musica. Oggi, a distanza di cinquant’anni, le cose non sono poi così cambiate. Nella scuola secondaria superiore, a parte i licei musicali, l’educazione musicale non trova nessuno spazio, sebbene sia chiaro a tutti il ruolo centrale che la musica occupa negli interessi degli adolescenti. Ora, con la dichiarata possibilità politica di metter mano ai programmi di educazione musicale, affiora la chance che una piccola riforma a costo zero possa riqualificare e dare una volumetria diversa alla musica nelle scuole. Sarà vero?

cms_558/images_(1).jpgOgni anno le nostre università laureano un numero impressionante di filosofi, storici dell’arte e della letteratura; stessa cosa fanno i conservatori con i musicisti, le scuole specializzate con danzatori, scenografi, giornalisti, ecc. Tuttavia, il patrimonio non riesce a incontrare coloro che lo potrebbero curare con amore, e tutti costoro non riescono a lavorare nel patrimonio. E così distruggiamo intere generazioni e al tempo stesso condanniamo a morte ciò che di più prezioso ha il nostro Paese. In Europa le cose stanno diversamente: la nostra spesa per la cultura equivale all’1,1 % del Pil, mentre la media europea è esattamente il doppio, circa il 2,2 %. Forse che il nostro patrimonio culturale non merita degna attenzione e valorizzazione? Nella storia dell’umanità la cultura è sempre stata il motore della stessa economia, della civilizzazione, della coesione sociale. Una nazione più colta, tra l’altro, potrà anche diventare una nazione più ricca e, ovviamente, più civile.

cms_558/download.jpgIn Venezuela, per esempio, il sistema Abreu, cioè il progetto sociale e musicale messo a punto più di trent’anni fa in Venezuela da Josè Antonio Abreu, ha prodotto una vera e propria “rivoluzione”: ha strappato i giovani alle bande criminali, li ha riscattati da una condizione di miseria materiale e spirituale, dando loro la forza di credere ancora e di lottare per il proprio futuro. Mentre economisti di tutto il mondo si stanno ancora interrogando sull’utilità e sull’efficacia degli aiuti stanziati nei Paesi più poveri, il sistema Abreu ha intanto creato “persone di valore”, perché suonare in un’orchestra è molto più che suonare musica. E’ entrare in un gruppo, in una comunità che si riconosce interdipendente. E cambia la vita. “La musica ha un valore formativo ed estetico. Quindi, tutti i giovani dovrebbero avere la possibilità di avvicinarsi alla musica e ad averla come elemento fondante della formazione. In Italia siamo un po’ carenti anche se, per fortuna, abbiamo cominciato da poco ad investire nella formazione prendendo a modello il Sistema Abreu delle orchestre e dei cori giovanili che prevengono le devianze giovanili. E’ un’iniziativa per utilizzare la musica a “fini terapeutici”, nel senso che si sono create orchestre e cori di ragazzi disadattati che attraverso l’impegno musicale trovano posto nella società. A tale proposito c’è un libro illuminante che consiglio e che si intitola “La musica salva la vita”. Se, quindi, dal privato ci sono buone risposte e tanto impegno, dal pubblico il risultato è di una carenza incolmabile: avendo eliminato da tutte le scuole secondarie l’educazione musicale, beh, si può comprendere in quale considerazione è in Italia un patrimonio dal valore inestimabile quale la musica può essere.” spiega il Direttore d’Orchestra Francesco Masi, intervistato da noi dell’International Post. Certo, avvicinarsi al mondo della musica classica risulta, comunque, molto difficile in quanto il mercato discografico dei nostri giorni, puntando su generi musicali appetibili al mondo dei giovanissimi, ci ha ormai abituati a ritmi e suoni molto differenti. Certo è anche che, questa scelta del mercato, è “giustificata” da ragioni economiche, “putroppo esistono regole del mercato e sicuramente queste viaggiano in una direzione diversa da quella della musica classica. Si predilige, infatti, la canzone pop e la musica leggera a sfavore di quella classica. Inoltre, quel poco mercato che c’è, viene gestito da poche persone e associazioni che usufruiscono di sovvenzionamenti che usano per pochi eletti. Perché un concertista non può diventare imprenditore di se stesso? Perché la tassazione, tra SIAE, ENPALS, etc, strozza ogni possibilità di dar vita ad eventi, per impossibilità di un benché minimo ritorno economico. Una tassazione esagerata ed un pubblico improbabile demotivano le associazioni a dare spazio ai giovani musicisti. Il punto, quindi, è che chi si diploma al conservatorio, nonostante la preparazione ed il talento, non potrà fare una carriera concertistica, salvo in casi d’eccezione.”, continua Marco Vinicio Carnicelli, chitarrista, vincitore di numerosi premi nazionali ed internazionali. Tuttavia, dalla politica, ora, pare vengano spiragli. Stando alle parole dell’attuale premier, pare ci sia una nuova necessità di valorizzare il patrimonio italiano con programmi precisi, affidandosi alle competenze delle nostre eccellenze, affinché la cultura diventi una vera e propria risorsa economica irripetibile. Sale eventi

cms_558/giampaolo-schiavo-da-ravello-nuovo-direttore-del-c-46917.jpgDi seguito, per una visione più completa sull’argomento, riportiamo l’intervista con il Direttore del Conservatorio “N. Piccinni” di Bari, Gianpaolo Schiavo.

Da quanto tempo dirige il conservatorio di Bari?

Ho avuto la nomina prima di Commissario straordinario del Ministro l’anno scorso a marzo, la cui funzione si è conclusa a settembre. Poi ci sono state le elezioni del nuovo Direttore del Conservatorio di Bari.

Quali sono gli ostacoli che si incontrano maggiormente nella direzione di un Conservatorio, da sempre considerato il Tempio della musica colta, che si occupa di alta formazione, produzione artistica e ricerca musicale?

Sono quelle che può incontrare chiunque diriga una istituzione pubblica. Abbiamo problemi di spazio, di vetustà delle strutture, di carenze di servizi che possono essere fondamentali per dare agli studenti maggiori e migliori opportunità di formazione. Ci sono poi gli ostacoli rappresentati dal fatto di doversi rapportare con norme statali che sottopongono continuamente tagli a contributi di funzionamento annuali. La difficoltà maggiore, inoltre, è rappresentata dalla continua e progressiva riduzione che il contributo di funzionamento annuale, erogato dal Ministero della Università e della Ricerca, subisce ogni anno. Si riesce, tuttavia, a sopravvivere grazie al contributo di altri enti che aiutano il conservatorio a svolgere la propria funzione. Certamente, queste difficoltà sono comuni a tante realtà culturali. Ed è questo il tasto dolente, poiché ci si aspetta che una politica attenta a gran parte dei settori della produzione, lo sia anche nei confronti della cultura.

Qual è il rapporto tra domanda e offerta, voglio dire, c’è richiesta per una formazione specialista quale può essere quella per uno strumento musicale?

La richiesta continua ad essere importante, soprattutto per un conservatorio di tradizione quale il conservatorio “Piccinni”. Infatti, a livello nazionale, il nostro è tra i conservatori più popolosi. La domanda, quindi, dei giovani che vogliono intraprendere lo studio di uno strumento della musica colta, è cospicua. Certo, anche il conservatorio ha fatto passi nei confronti dei giovani e dei nuovi gusti musicali dei giovani e si è aperto a discipline che sono più vicine al mondo giovanile, quali la musica jazz o, comunque, meno colta.

Ma un diplomato del conservatorio trova lavoro? Quali sono gli ostacoli che incontra?

In effetti, la difficoltà è proprio quella di dare una risposta concreta alla formazione dei nostri ragazzi. Il punto cruciale è proprio quello della disattenzione da parte dello Stato alla cultura, non solo alla musica. Una nazione come l’Italia che potrebbe vivere dai proventi del nostro patrimonio culturale – artistico, letterario, musicale, pittorico, scultorico – è la Cenerentola non solo degli altri Paesi Europei, ma anche degli altri continenti. Mi auguro che le parole del nuovo Premier, in merito a una maggiore attenzione, a partire dalla scuola, della musica e della cultura, non restino enunciazioni di principio. Ministri e Presidenti del consiglio hanno fatto in passato bei discorsi. Ovviamente, per disattenzione non intendo solo quella effettuata attraverso tagli a finanziamenti, ma una disattenzione che relega la cultura ad un ruolo marginale. La possibilità di costruire un futuro non solo di potenziali artisti, ma anche di potenziali fruitori della musica colta, si ha attraverso una “formazione” che passa attraverso la scuola. Perché non si può diventare pubblico interessato e fruitore senza conoscenza. Una conoscenza che può arrivare attraverso la divulgazione della musica da parte di trasmissioni televisive e radiofoniche. Non è necessaria una precisa preparazione per godere del piacere di un ascolto. L’ascolto di un concerto di musica classica si gode, come si gode una qualsiasi opera d’arte. Poi, per entrarci completamente, allora c’è bisogno di conoscenze di quelli che sono i linguaggi musicali. Certo, per un reale interessamento alla musica colta, non basta la lezioncina di flauto che si impartisce nelle scuole. In altre nazioni, già dalle scuole dell’infanzia si comincia un ascolto attento alla musica. Solo così facendo si attiva la capacità naturale di saperla ascoltare e poi di riprodurla. La musica e lo studio di uno strumento va fatto in maniera progressiva in tutti gli ordini e gradi di scuola, a partire dalla scuola dell’infanzia. Il Conservatorio deve rappresentare l’alta formazione, la fine di un percorso che comincia sin da piccoli. Tutto questo, sicuramente, impedirà la dispersione di molti talenti. O, comunque, permetterà la creazione di un pubblico più consapevole, capace di godere della musica colta. Tutto questo, tuttavia, necessita di aiuti e sostegno economico, perché “senza soldi non si cantano messe”. Concludo, rivolgendomi all’attuale classe politica, con l’augurio che si parli di musica, intesa come patrimonio culturale, a cui va prestata la dovuta, nonché necessaria attenzione.

L’ultimissima domanda: che tipo di professionisti formate?

Molti dei nostri ragazzi si sottopongono a grossi sacrifici, pur di studiare uno strumento, pur non essendo supportati da mezzi economici. Quando compiono il loro percorso con serietà e impegno, i nostri diventano professionisti pronti per confrontarsi con realtà, non solo locali e nazionali, ma anche europee che danno loro la possibilità di affermarsi in concorsi e manifestazioni importanti e di esprimere appieno il loro talento.

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1 Giugno 2014