Il ciclone “elezioni presidenziali” ha terminato il suo vorticare sugli Stati Uniti d’America, cambiandone il volto principale. Trattasi ovviamente di quello del Presidente, che passerà (a meno di clamorosi ribaltoni) da Donald Trump a Joe Biden. E allora, perché non fare la “conta dei danni” del secondo evento più importante (al primo posto assoluto e indiscutibile, ahinoi, rimane il Covid-19) di questo 2020? Chiaramente riepiloghiamo i numeri di queste elezioni, che stabiliscono nuovi record: Joe Biden, con 306 voti elettorali e più di 79 milioni di voti popolari, è il presidente eletto più votato di sempre dai cittadini; anche Donald Trump si è fatto desiderare, raccogliendo 232 grandi elettori e più di 73 milioni di consensi dai suoi connazionali. Ciò nonostante avremo un nuovo proprietario della Casa Bianca, il quarantaseiesimo della storia, e quanto sta accadendo a Washington e dintorni potrebbe benissimo essere un “remake” della serie The New Pope: un grande potere e due “reggenti” ad esercitarlo in contemporanea.
Biden continua a ricevere le congratulazioni dei capi di Stato, mentre Trump continua a fare il suo lavoro… d’altronde al comando c’è ancora lui, fino a prova contraria e fino al 20 gennaio 2021. Il tycoon annuncia il taglio a duemila e cinquecento truppe statunitensi in Iran e Afghanistan entro metà gennaio, prepara una nuova infornata di sanzioni contro la Cina e, stando a quanto riporta il New York Times, sarebbe anche pensando di attaccare un sito nucleare iraniano. Riassumendo: vuole salutare l’incarico con il botto, prima di tornare alla carica. Perché di tornare alla carica ne ha tutta la voglia, il presidente uscente. Ancora non ha riconosciuto la vittoria di Biden e vuole continuare a portare avanti la sua causa per brogli elettorali. Anzi, pare che non voglia abbandonare la Casa Bianca neanche per il Giorno del Ringraziamento, che di solito trascorre con la famiglia in Florida, a Mar-a-Lago.
Il presidente eletto, nel frattempo, comincia ad apparecchiare la tavola per il suo “banchetto” quadriennale: avantieri ha parlato con il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa, con il premier isrealiano Benjamin Netanyahu, con il presidente cileno Sebastian Pinera e con il primo ministro indiano Narenda Modi. Ha annunciato la nomina di tre fedelissimi, tra coloro che hanno composto la sua squadra durante la campagna presidenziale, con Kamala Harris già vicepresidentessa eletta (prima della storia, tra l’altro). Capo stratega: Steve Ricchetti, 63 anni. Vicecapo di gabinetto: Ron Klain, 59 anni; direttore dell’Ufficio di collegamento con Capitol Hill: Cedric Richmond, già deputato e presidente del Congressional Black Caucus, 47 anni. Questi sono i nomi praticamente ufficiali, ma Biden ha promesso un governo che sia lo specchio della diversità americana. Dalle primarie americane, stravinte dall’ex-vicepresidente in rimonta, il possibile grande ritorno di Buttigieg: come ambasciatore degli Stati Uniti, potrebbe addirittura andare all’ONU.
Il quarantacinquesimo presidente a stelle e strisce fa terra bruciata attorno a sé, molto probabilmente deciso a non lasciare la “casa” in ordine a chi lo ha detronizzato: ha licenziato in tronco, con effetto immediato, il direttore della CISA (Cybersecurity and Infrastructure Security Agency) Christopher Krebs, reo di aver definito le elezioni di quest’anno “le più sicure della storia” (dirlo al suo attuale capo, che sostiene l’opinione esattamente contraria, non è stata la più felice delle idee!). Dopo aver scelto la sua nuova guida, tra l’altro, il popolo americano è diviso sulle azioni future del loro futuro ex-Capo di stato: il 46% sostiene che Biden debba essere formalmente riconosciuto come Presidente (specialmente se il Congresso di dicembre ratificherà definitivamente l’esito delle elezioni, in modo da avviare la transizione dei poteri in vista dell’insediamento), mentre il 32% ritiene che Trump debba proseguire solo se è in grado di dimostrare le sue pesanti accuse di frode. E considerando che la Carta dei Diritti impone esattamente ed esplicitamente questo, pena l’invalidazione della propria causa, sarebbe quantomeno la decisione più sensata da prendere. Ammesso e non concesso che valga effettivamente la pena procedere così.