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La nuova Turchia di Erdogan

Con una velocità che farebbe impallidire Quicksilver, il presidente Erdogan, a cinque giorni dal fallito golpe, ha già cambiato faccia a un paese nel quale la parola “democrazia” coincide sempre di più con “ordine”. Che a dirla così mostrerebbe una valenza positiva… se non fosse per quelle immagini di uomini denudati e ammassati in palestre e stalle che da due giorni fanno il giro del web. Tra essi sono finiti 7.450 civili, 6.000 soldati e 750 magistrati. Ci sono stati poi 30 prefetti destituiti e 8.777 dipendenti del ministero dell’Interno sollevati dall’incarico, tra cui moltissimi agenti di polizia. Finito il lavoro anche per 614 gendarmi e 47 governatori di distretti provinciali.

Se a pensar male si fa peccato, ma ci si indovina sempre, parrebbe quasi che l’azione fosse già bella che pronta prima dell’andata in scena del colpo di Stato.

Molti soldati che nella notte tra venerdì e sabato hanno imbracciato l’artiglieria, salendo a bordo di F16 o carri armati, erano convinti di praticare un’esercitazione. Almeno questo è quanto qualche media coraggioso lascia trapelare. Che tra gli arrestati compaiano seguaci di Hizmet, è lapalissiano e non traspare solo dalle accuse che il Presidente si è premurato di lanciare, sin dalle prime ore di sabato, contro il suo rivale Fetullah Gulen, autoesiliatosi nel ’99 a Saylorsburg in Pennsylvania.
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Il predicatore islamico, autore di moltissimi libri e fautore di una forma moderata e moderna dell’Islam, è tra le figure più influenti nel mondo musulmano. Hizmet vanta in Turchia milioni di sostenitori. Non è un caso che molti di essi occupassero, almeno fino allo scorso venerdì, ruoli di potere nella Polizia e nella Magistratura. Non perché avessero apertamente professato il proprio pensiero. Era più che altro un sospetto.

Analisti politici turchi hanno più volte manifestato il convincimento che Gulen godesse di diverse simpatie nel Parlamento di Ankara.

E tra coloro i quali avrebbero orchestrato la pugnalata alle spalle del Presidente, ci sarebbero alcuni uomini a lui molto vicini. Il colonnello Ali Yazici, suo primo consigliere militare e il generale Mehmet Disli, fratello di Saban, deputato di spicco dell’Akp, oltre che vice-leader con delega all’economia.

Al primo si imputa il fatto di aver rivelato ai golpisti il luogo in cui avrebbero potuto trovare Erdogan: Marmaris, una cittadina costiera egea, lasciata però dallo stesso prima dell’arrivo dei militari che sarebbero comunque riusciti, secondo l’accusa, a sequestrare Fatih Kasirga, suo segretario generale.

Non essendo dunque le informazioni fornite andate a vuoto, nei confronti di Yazici sarebbe stato spiccato ieri l’altro un mandato d’arresto.

Il secondo è accusato invece di aver dato il via libera al tentato colpo di Stato. Se il sultano decidesse di non fidarsi della lealtà di suo fratello, questi sarebbe messo fuori, come accadde due mesi fa all’ex premier Davutoglu, ritenuto fedele, ma non fedelissimo.

In questi giorni, la partita che si sarebbe – probabilmente – giocata tra qualche tempo, si sta disputando a gran velocità.

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Nelle scorse settimane Erdogan aveva già attuato un cambio di rotta rispetto al passato. Si era riavvicinato alla Russia, aveva ricucito i rapporti con Israele, deteriorati dopo l’assalto, da parte di quest’ultimo, di una nave civile carica di aiuti umanitari diretta a Gaza e addirittura aveva strizzato l’occhio alla Siria, mostrandosi, nei confronti di Assad, contro il quale, al fianco dell’Arabia Saudita, aveva combattuto per cinque anni, aperto a una trattativa.

I rapporti con gli Stati Uniti sono andati invece sempre più raffreddandosi, sfiorando adesso la glaciazione.

A far scendere il termometro vicino allo zero, i fatti di Incirlik, la base Nato nei pressi di Adana dov’è custodito l’arsenale atomico americano che guarda in direzione sud-est dell’Alleanza Atlantica. Il comandante, il generale Baker Ercan Van, assieme ad altri sottoposti, era stato arrestato il 17 scorso per complicità nel tentato golpe.

L’altro ieri sette magistrati turchi sarebbero entrati nella base, scortati dalla polizia.

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Sono giorni convulsi in cui tutto però può ancora accadere.

Un incontro con Putin pare sia stato fissato per i prossimi giorni, destinato a suggellare un rapporto già in parte ricucito, ma profondamente incrinato dopo l’intervento militare della Russia in favore di Assad che spinse la Turchia ad abbattere un aereo.

Erdogan con Daesh qualche affare lo faceva: armi in cambio di petrolio. Poi l’allontanamento imposto da USA ed Europa.

È un gioco pericoloso quello del Presidente sultano. Se da un lato potrebbe portarlo a guadagnare una posta più alta da parte dell’America e quindi dell’Europa, dall’altro potrebbe segnare un futuro sempre più incerto per il suo regime.

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Data:

21 Luglio 2016