L’incontro tra le voci poetiche di Attilio Bertolucci e Raffaele Irenze offre una riflessione interessante sulla continua evoluzione della poesia italiana e sull’interpretazione di temi universali come l’amore, il tempo e la memoria. Bertolucci, una figura emblematica della poesia del Novecento, con la sua delicatezza descrittiva e il suo sguardo sulle piccole cose della vita quotidiana, ci regala una poesia ricca di simbolismo e di malinconia. La rosa bianca è un esempio lampante della sua capacità di legare la natura alla riflessione sull’amore e sulla memoria. Con l’immagine della rosa, Bertolucci trasforma una semplice fioritura in una meditazione sulla transitorietà della vita, sulla bellezza che sfiora il dolore e sull’inevitabile cambiamento, ma anche sul legame affettivo che resiste nel tempo.
D’altra parte, Raffaele Irenze, con il suo stile più contemporaneo, esplora la solitudine e la lotta interiore in un contesto che si fa specchio della sua esistenza e dei suoi sentimenti. La poesia che Irenze scrive, come quella che si confronta con il tema della finzione e dell’illusione, si distingue per la sua introspezione e il suo sguardo profondo sulla realtà quotidiana, ma filtrata da un senso di disperazione e di ricerca di verità. La sua poesia sembra meno legata al paesaggio e più alle emozioni nascoste, come quelle che emergono attraverso la memoria e l’illusione di un amore che non può essere vissuto pienamente.
Il confronto tra Bertolucci e Irenze ci porta a riflettere su come la poesia possa evolversi, pur rimanendo legata a temi profondi e universali. Entrambi gli autori, seppur in contesti e stili differenti, esplorano il rapporto tra il passato e il presente, tra la realtà e l’immaginazione, ma mentre Bertolucci celebra la bellezza nelle sue forme più delicate e malinconiche, Irenze si concentra sull’emozione cruda e sulle contraddizioni dell’esistenza. Questo dialogo tra i due poeti ci mostra come la poesia possa essere un linguaggio capace di attraversare il tempo, mettendo in luce la nostra ricerca di significato, bellezza e verità.
Attilio Bertolucci

È stato uno dei poeti più rappresentativi della letteratura italiana del Novecento, noto per la sua capacità di fondere lirismo e riflessione sulla vita quotidiana con una grande attenzione alle sfumature emotive e al paesaggio. Nato a Parma nel 1911, Bertolucci visse un’esperienza segnata da eventi storici significativi, tra cui la Seconda Guerra Mondiale, che ebbe una forte influenza sulla sua poetica. La sua carriera si sviluppò in un periodo in cui l’Italia stava attraversando cambiamenti sociali e politici, e la sua scrittura si inserì in questo contesto con una visione sobria e profonda.
Bertolucci iniziò a pubblicare le sue prime poesie negli anni ’30, ma fu negli anni ’50 e ’60 che la sua poetica trovò la sua vera dimensione, soprattutto attraverso la pubblicazione di raccolte come La rosa bianca (1955) e Il corpo (1966). Le sue opere affrontano temi legati alla memoria, all’amore, al passaggio del tempo e alla riflessione sulla natura, spesso utilizzando il paesaggio come metafora delle emozioni interiori e della condizione umana. La sua poesia si caratterizza per un tono delicato e una scrittura che esprime una profonda intimità e una forte attenzione alle piccole cose della vita quotidiana.
La poesia di Bertolucci è anche segnata da un linguaggio chiaro e sobrio, che riesce però a essere estremamente evocativo e simbolico. Le sue immagini, pur ancorate alla realtà, trasmettono una bellezza malinconica e una riflessione sulla fragilità della vita. Bertolucci esplora le emozioni più intime e personali, ma sempre con uno sguardo che va oltre l’individuo, verso la condizione universale dell’essere umano. La sua poesia ha un legame profondo con la natura, che diventa una sorta di specchio per le sue riflessioni sul destino, sull’amore e sulla morte.
Oltre alla sua carriera di poeta, Bertolucci fu anche traduttore e saggista, e la sua influenza sulla poesia italiana contemporanea fu profonda. La sua scrittura si distingue per una ricerca di autenticità emotiva, unita a una grande capacità di ritrarre la vita nelle sue contraddizioni e bellezze. La sua poesia, pur influenzata dalle tradizioni del passato, ha saputo rinnovare il linguaggio poetico italiano, facendo rivivere, attraverso la sobrietà stilistica, il valore del quotidiano e dell’umano.
La scelta
Attilio Bertolucci, uno dei poeti più rappresentativi della seconda metà del Novecento, è noto per la sua capacità di unire immagini vivide e simbolismi potenti, creando atmosfere che spaziano dalla malinconia alla riflessione profonda sulla condizione umana. La sua poesia è segnata da un linguaggio ricercato, ma anche da una grande capacità di cogliere le sfumature più intime e quotidiane della vita. In La rosa bianca, Bertolucci utilizza il simbolismo per parlare di bellezza, memoria e transitorietà, temi che attraversano tutta la sua opera. Il giardino e la rosa diventano metafore di una bellezza che è destinata a sfiorire, ma che conserva intatta la sua dolcezza anche nei momenti più fragili, come un ricordo che non si cancella facilmente.
La poesia è una riflessione sul passare del tempo, ma anche sulla permanenza di certi sentimenti che, pur modificandosi, continuano a esistere in noi, come una traccia che rimane. La delicatezza di questa immagine poetica si fonde con il tema della memoria, con il ricordo di un volto che si sfuoca e cambia nel tempo, ma che, attraverso la rosa bianca, continua a vivere in un altro spazio e in un altro momento, diventando per l’autore un simbolo di un amore che non si estingue mai completamente.
La rosa bianca
Coglierò per te
l’ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l’hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
È un ritratto di te a trent’anni,
un po’ smemorata, come tu sarai allora.
I versi invitano a riflettere sulla bellezza effimera della vita e sull’incertezza del futuro. La rosa bianca, che è simbolo di purezza ma anche di transitorietà, riflette l’idea che il tempo cambia le persone, ma che certe emozioni e immagini, come il ricordo di una rosa, sono destinate a rimanere impresse nella memoria. La poesia, pur nella sua semplicità, è densa di significato: un ritratto di una persona che cambia con il passare degli anni, ma che rimane al contempo immutata nei sentimenti che suscita. La delicatezza della rosa, così simile al nostro rapporto con il tempo, ci insegna a vivere con la consapevolezza che tutto ciò che è bello è destinato a svanire, ma non senza lasciare traccia nel cuore.
Raffaele Irenze

Nato il 13 settembre 1978 a Melfi (PZ), è un poeta e artista visivo che vive ad Atella, in provincia di Potenza. Laureato in D.A.M.S. con indirizzo in Arti Visive, ha un forte legame con il mondo dell’arte contemporanea, in cui ha operato anche come curatore di mostre di pittura e scultura. La sua carriera letteraria si è affermata attraverso due raccolte poetiche personali, ed è presente in numerose antologie, pubblicate da importanti case editrici italiane.
Oltre alla sua attività di poeta, Irenze è soggettista e sceneggiatore per cortometraggi, alcuni dei quali hanno ricevuto riconoscimenti a livello nazionale. La sua esperienza nel mondo del cinema si è ulteriormente arricchita grazie alla sua partecipazione in qualità di giurato a premi letterari di rilievo, tra cui “Le cantine di Pasolini”.
La poesia di Irenze si distingue per un approccio intimo e riflessivo, che esplora tematiche quali l’assenza, la nostalgia e la ricerca della bellezza nascosta nelle contraddizioni della vita. Il suo linguaggio si caratterizza per una dolce malinconia che, spesso, si trasforma in un atto di catarsi, invitando il lettore a confrontarsi con le proprie emozioni più profonde. Attraverso immagini evocative e suggestioni poetiche, Irenze cerca di condurre chi legge verso una scoperta interiore, in cui l’immaginazione e la realtà si intrecciano in un cammino di consapevolezza.
La scelta
L’autore esplora la condizione umana attraverso un linguaggio intimo e riflessivo, attraverso la poesia ci regala un’opera che trasmette la lotta silenziosa con le emozioni e la ricerca del senso attraverso la parola. I suoi versi sono una ricerca continua, una riflessione sulla difficoltà di esprimere ciò che non può essere detto, sull’inquietudine di non riuscire mai completamente a comunicare il proprio io. La scrittura diventa, in quest’ottica, un atto di resistenza e di resoconto, dove l’autore tenta di racchiudere nei versi ciò che gli sfugge nella realtà. Il poeta, così, non scrive solo per se stesso, ma per quei mondi che non ha mai potuto vivere pienamente e che, nella sua mente, prendono forma attraverso le parole.
La poesia di Irenze si nutre di silenzi e di assenze, esplorando con una delicata malinconia i desideri non realizzati e i sogni non concretizzati. Ogni parola sembra essere un passo verso l’incolmabile, un atto di saluto a qualcosa che sfugge costantemente. Nei suoi versi la solitudine non è solo una condizione esterna, ma diventa parte di un processo creativo che si muove tra desiderio e impossibilità.
* * *
Scrivo poesie
per le poesie che
non so scrivere
Mi innamoro
degli occhi
per le labbra che
non posso baciare
Abbraccio i tramonti
per salutare i giorni
vissuti senza me
L’autore si concentra sulla tensione tra ciò che è possibile e ciò che è desiderato, creando una riflessione sulla distorsione che il desiderio stesso provoca nella nostra percezione della realtà. L’autore, attraverso la scrittura, tenta di colmare la distanza tra ciò che vive e ciò che vorrebbe vivere. La sua condizione di separazione, espressa con eleganza, si fa potente nella scelta delle immagini: gli occhi, le labbra, i tramonti, elementi che rimandano a ciò che resta sempre un po’ fuori dalla portata, a quelle esperienze mai pienamente vissute o mai del tutto realizzate. La poesia diventa, quindi, il luogo in cui si cerca di fare spazio a ciò che non può essere toccato, ma che continua a esistere nei ricordi e nei desideri, come un paesaggio sempre in attesa di essere raggiunto.