Il confronto tra Georg Trakl e Sandro Ruffini, pur nella consapevolezza delle profonde differenze storiche, culturali e stilistiche, offre uno spunto interessante per analizzare il rapporto tra natura e introspezione nella poesia. Trakl, esponente dell’Espressionismo austriaco, e Ruffini, autore contemporaneo, si confrontano con una visione del mondo in cui il paesaggio diventa specchio dell’anima e strumento di ricerca esistenziale.
Nella poesia “De Profundis”, Trakl dipinge un universo decadente e allucinato, in cui la natura si fa testimone di un dolore interiore profondo e irredimibile. Il campo di stoppie su cui cade la pioggia nera, l’albero solitario e il vento che sibila tra le capanne vuote creano un’atmosfera di disfacimento e smarrimento. La figura della dolce orfana e il corpo imputridito nei rovi evocano un senso di perdita irreparabile, mentre il silenzio di Dio e la visione di angeli cristallini suggeriscono una tensione verso il trascendente che rimane però inaccessibile. Il paesaggio non è solo sfondo, ma un’estensione dello stato d’animo del poeta, un luogo in cui l’angoscia e la dissoluzione prendono forma.
Al contrario, nella poesia “Alla luna”, Ruffini propone una riflessione più pacata e armoniosa, in cui la natura è sì simbolo di malinconia, ma anche di speranza e rinnovamento. La luna abbandonata nel cielo brumoso, il cane irrequieto e l’autunno che “sapora di castagne i monti” creano un’atmosfera di dolce contemplazione. Il poeta si interroga sul senso dell’esistenza e sul proprio legame con la Verità e con Dio, ma senza l’angoscia lacerante che caratterizza Trakl. Qui la natura è una presenza viva e accogliente, che invita alla riflessione e alla ricerca di una pace interiore.
Sebbene Trakl e Ruffini appartengano a epoche e tradizioni poetiche diverse, entrambi condividono una visione in cui il paesaggio diventa simbolo di un’anima in perenne ricerca. Se in Trakl la natura è un teatro di visioni inquietanti e di un’angoscia senza redenzione, in Ruffini essa rappresenta una malinconia più dolce e una speranza ancora possibile. Entrambi, però, esplorano il mistero dell’esistenza attraverso immagini evocative, trasformando il mondo esterno in un riflesso dell’interiorità umana.
Georg Trakl

Fu uno dei più enigmatici e intensi poeti dell’Espressionismo austriaco, la cui opera breve ma potente ha segnato profondamente la letteratura del XX secolo.
Nato a Salisburgo nel 1887, crebbe in un ambiente familiare complesso, segnato dalla dipendenza della madre dai farmaci e da un legame ambiguo con la sorella Margarethe, che avrebbe influenzato profondamente la sua poesia.
Fin dall’adolescenza mostrò un’attrazione per la letteratura e la filosofia, ma la sua natura tormentata lo portò a una vita segnata dall’instabilità e dall’abuso di droghe. Dopo studi irregolari, si arruolò come farmacista militare, esperienza che lo espose agli orrori della guerra e accentuò il suo già fragile equilibrio psicologico.
La sua poetica si caratterizza per immagini visionarie e simboliche, dominate da scenari autunnali, paesaggi spettrali e un senso di dissoluzione imminente. Poesie come “De Profundis” e “Grodek” esprimono un’angoscia esistenziale profonda, mescolando elementi mistici e impressioni sensoriali in un linguaggio denso e musicale.
Nel 1914, dopo aver assistito alle atrocità della Prima Guerra Mondiale, cadde in una grave crisi depressiva. Ricoverato in un ospedale militare a Cracovia, morì per un’overdose di cocaina a soli 27 anni. Nonostante la brevità della sua esistenza, Trakl ha lasciato un’eredità poetica straordinaria, che continua a influenzare la letteratura moderna con la sua visione tragica e allucinata del mondo.
La scelta
È una meditazione oscura e potente sulla morte, la solitudine e il dissolvimento dell’essere. In questo poema, Trakl esplora le profondità dell’animo umano, affrontando il tema della sofferenza esistenziale in modo crudo e struggente. Attraverso un linguaggio visionario e intriso di simbolismo, il poeta evoca immagini desolate e apocalittiche, dove la natura e il paesaggio non sono soltanto scenari esterni, ma riflettono lo stato di angoscia e disperazione interiore del soggetto. Le sue parole creano un’atmosfera opprimente, in cui la realtà sembra sfumare in un sogno oscuro, sospeso tra il reale e l’allucinatorio. Ogni scena che si sussegue appare come una visione frammentata di un mondo sull’orlo del collasso, in cui la spiritualità si mescola all’abbandono e alla decomposizione, dando vita a un paesaggio mentale intriso di morte e rovina. Il dissolvimento dell’essere si manifesta come un inevitabile destino, mentre la solitudine diventa una condanna che conduce il soggetto in un viaggio interiore senza ritorno.
Il potere di “De Profundis” risiede nella sua capacità di trasfigurare il dolore in un’esperienza poetica visionaria. Trakl costruisce un universo lirico dominato dalla malinconia, in cui la morte diventa un passaggio verso un’oscura trascendenza. Le immagini di decomposizione e abbandono si mescolano a suggestioni metafisiche, trasformando la poesia in un lamento sacro e ipnotico. Il poeta, con questo testo, invita a un confronto profondo con il mistero dell’esistenza e con l’inevitabile dissoluzione della materia e dello spirito.
De Profundis
C’è un campo di stoppie, vi cade pioggia nera.
C’è un albero bruno, solitario.
C’è un vento che sibila intorno a capanne vuote.
Che triste sera.
Davanti al cascinale
La dolce orfana raccoglie ancora poche spighe.
I suoi occhi dorati e tondi pascolano nella sera
E il grembo attende lo sposo celeste.
Ritornando
I pastori hanno trovato il tenero corpo
Fra i rovi, imputridito.
Un’ombra sono, lontana dai villaggi scuri.
Silenzio di Dio
Bevvi alla fonte del bosco.
Freddo metallo mi affiora sulla fronte
Ragni cercano il mio cuore.
C’è una luce e mi si spegne in bocca.
A notte mi ritrovai in un campo,
Intriso di sporcizia e polvere stellare.
Tra i nocciòli
Riprese il suono di angeli cristallini.
La potenza di “Vocali” risiede proprio nella sua capacità di trascendere il significato tradizionale delle parole e portare il lettore a un livello superiore di comprensione, in cui il linguaggio diventa una chiave per accedere a realtà nascoste e universali. Ogni vocale non è solo una lettera, ma un’entità che affonda le radici nel mistero del mondo e dell’anima. Rimbaud, con questo testo, invita alla contemplazione del sacro e dell’ignoto, mentre la sua audace sperimentazione linguistica trasforma la poesia in un’esperienza quasi mistica.
Sandro Ruffini

È un intellettuale e scrittore italiano, laureato in Economia aziendale presso l’Università degli studi Giorgio Fuà di Ancona, con una tesi su Francesco Ruffini (1863-1934).
La sua formazione accademica riflette un interesse per le dinamiche storiche e sociali, che si intreccia con il suo percorso letterario. Ha vissuto in diverse città italiane e a Valladolid, in Spagna, esperienze che hanno contribuito a plasmare la sua visione del mondo e a influenzare le sue opere.
La sua produzione letteraria spazia tra narrativa e poesia, affrontando temi di introspezione, memoria e condizione umana. Tra i suoi libri più noti troviamo Ritratti in Bianco e Nero, una raccolta di racconti con la prefazione di Ugo Zatterin, e le raccolte poetiche Parole Raccolte tra gli Alberi e L’Amor io canto, in cui esplora temi esistenziali con un linguaggio intenso e riflessivo. Ha anche pubblicato il romanzo autobiografico Rua Muro, che ripercorre la sua esperienza di vita, e Il Violino di Sasha, un’opera che affronta il tema della memoria e del destino. Sentieri Imprevisti, un’altra raccolta di poesie, e Graziano il Francavillese di Grenoble, un romanzo che esplora identità e storie marginali, arricchiscono ulteriormente il suo ampio repertorio.
Ruffini è anche un collaboratore attivo di riviste e periodici, dove contribuisce con articoli e riflessioni che alimentano il dibattito culturale contemporaneo. La sua scrittura si distingue per l’intensità emotiva, la ricerca di un linguaggio originale e la capacità di trattare temi universali con una profondità che spazia dal personale al sociale.
La scelta
La poesia riflette una profonda riflessione sulla condizione esistenziale dell’individuo, colto nel suo incontro quotidiano con la natura e la propria solitudine interiore. La luna, in questa poesia, è abbandonata al “brumoso giorno” che sorge, simboleggiando un distacco, una separazione tra il mondo notturno e quello diurno. La sua immagine, sospesa tra il cielo e le nubi soffici, diventa simbolo di una tranquillità che sembra irraggiungibile per l’autore, la cui serenità si frantuma al contatto con la realtà del “fugace sonno” e la compagnia di un cane irrequieto, simbolo della ricerca di una pace che sfugge continuamente.
Il tema della meta non raggiunta, presente in versi come “Non arriviamo mai alla meta”, suggerisce una riflessione sulla condizione umana e sulla difficoltà di trovare una verità definitiva. La ricerca di significato si intreccia con l’evocazione di immagini di speranza, ma anche di disillusione: le “candide promesse” e i “languidi bagliori” del mondo rappresentano una bellezza fugace e ingannevole, che non riesce a colmare il vuoto interiore del poeta. Il passaggio dall’immagine della luna al cambiamento stagionale, con l’autunno che sboccia e “sapora di castagne i monti”, sembra indicare l’accettazione di un ciclo continuo, un divenire che è parte di un’esistenza che non può essere fermata.
Alla luna…
Luna abbandonata al brumoso giorno che sorge
tra gli stazzi di nubi soffici e bianche
gonfie di odorosa aria,
quieta riposi nel cielo che s’apre alla gioia
terrestre.
Al mattino nessuno coglie il mio libero spirto,
ridestato dal fugace sonno,
se non il mio cane irrequieto come me,
che cerca nel buio un’altra vita per comunicare
forse la sete di giocosa nuova pace.
Non arriviamo mai alla meta;
frattanto pensiamo a coloro cui dobbiamo qualcosa,
alla Verità, a Dio Padre ed al consueto esistere.
Non finisce mai di stupire il mutevole mondo
con le sue candide promesse, i suoi languidi bagliori,
le sue suggestive lusinghe
aggrappate alla ringhiera
di una speranza giovane.
Adesso sboccerà l’autunno
che sapora di castagne i monti.
In questo scenario, Ruffini ci invita a riflettere sul nostro percorso interiore, sull’incertezza della ricerca e sulla consapevolezza che, nonostante i “languidi bagliori” e le “suggestive lusinghe” del mondo, la nostra pace è sempre effimera, come il ciclo delle stagioni e l’alternarsi delle luci e ombre. La poesia diventa così una meditazione sulla vita, sull’autenticità della ricerca spirituale e sul mutamento inevitabile del mondo che ci circonda.