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LA POESIA DEL VENERDI’ – Giorgio Caproni e Nicola Fornabaio

L’incontro tra due voci poetiche, quella di Giorgio Caproni, una delle figure più rilevanti della poesia italiana del Novecento, e quella di Nicola Fornabaio, un contemporaneo autore emergente, offre un’opportunità di riflessione sulla continuità e l’evoluzione della poesia attraverso le generazioni.

Caproni, con la sua poetica del dolore e della perdita, ci presenta una poesia radicata in una visione del mondo intensa e struggente. La sua opera, spesso intrisa di simbolismo e riflessioni profonde sulla condizione umana, ci invita a esplorare le sfumature della sofferenza e della resilienza. La poesia Il seme del piangere esemplifica questa profondità, attraverso un’immagine potente e delicata che simboleggia la fine di un ciclo vitale, con una madre ragno che, alla fine della stagione, si lascia morire non senza dolore, segnando la fine del “seme del piangere”. Questo componimento mette in evidenza la capacità di Caproni di trasformare piccoli dettagli della natura in riflessioni universali sull’umanità.

Dall’altra parte, Fornabaio, con la sua sensibilità contemporanea e la capacità di catturare il senso di smarrimento e di ricerca di equilibrio, ci conduce in un viaggio emotivo che esplora l’incertezza e la provvisorietà della condizione umana. La sua poesia Intervalli di riferimento risuona con una profondità emotiva simile a quella di Caproni, pur adottando un linguaggio e un approccio distinti. Fornabaio riflette sulla solitudine e la colpa, sulla necessità di ricomporre frammenti di vita e accettare la transitorietà, in un contesto in cui la pioggia che cade a dirotto diventa metafora della condizione umana.

Questo confronto poetico tra due autori di epoche diverse mette in luce come la poesia continui a essere un mezzo potente di espressione e di esplorazione dell’esperienza umana. È un dialogo tra passato e presente, tra la saggezza acquisita e la freschezza della scoperta, che ci ricorda l’importanza di trovare significato e bellezza anche nei momenti più difficili e inaspettati.

Giorgio Caproni

È stato uno dei poeti più significativi della letteratura italiana del Novecento, noto per la sua visione introspettiva e il suo approccio lirico alla condizione umana. Nato a Livorno nel 1920, Caproni visse in vari luoghi d’Italia durante la sua vita, e il suo percorso poetico fu profondamente influenzato dalle esperienze personali e storiche, in particolare dalla Seconda Guerra Mondiale e dal conflitto interiore tra il desiderio di poesia e il peso della sofferenza.

Caproni iniziò la sua carriera letteraria negli anni ‘30, ma fu negli anni ‘50 e ‘60 che la sua poetica si consolidò, trovando una dimensione unica all’interno della tradizione letteraria italiana. La sua opera affronta temi di dolore, solitudine, morte e speranza, con uno sguardo critico verso le difficoltà e le contraddizioni dell’esistenza. Tra le sue opere più significative, Il seme del piangere (1961) e Res Amissa (1974), Caproni esplora con delicatezza le ferite lasciate dalla vita, cercando però sempre una via di salvezza attraverso la riflessione poetica.

La sua poesia è caratterizzata da una grande sobrietà stilistica e un uso preciso del linguaggio, che riflette la sua ricerca di un’espressione autentica del sentimento umano. La sua scrittura si distingue per il suo tono meditativo, per l’uso di immagini forti e simboliche e per una sorta di dialogo continuo con la morte, intesa non solo come fine fisica, ma come parte integrante della vita e del suo senso. Caproni è anche noto per l’intensità emotiva dei suoi versi e per la sua capacità di dar voce al silenzio e alla sofferenza, pur senza cadere nella disperazione.

Caproni fu anche traduttore e saggista, e la sua figura influenzò profondamente la poesia contemporanea italiana. La sua produzione poetica si inserisce nel contesto della letteratura del dopoguerra, ma con una voce unica che, pur radicata nel realismo, riscopre la bellezza del quotidiano attraverso un linguaggio essenziale ma carico di significato.

La scelta

La poesia di Giorgio Caproni si presenta come un’intensa riflessione sulla morte, la sofferenza e la ciclicità della vita, affrontati con uno sguardo distaccato e al contempo profondamente umano. L’immagine simbolica del ragno, che non uccide mai, e che è descritta come una madre, ci invita a considerare la morte non come un evento drammatico, ma come parte di un ordine naturale, un passaggio che segna la fine di un ciclo vitale. Con una delicatezza unica, Caproni evoca l’idea di un’esistenza che si spegne lentamente, senza clamore, in un dolore sottile e quasi impercettibile, simile a quello che accompagna il corpo e l’anima nel processo di estinzione. La sua poesia, priva di orpelli e senza retorica, invita il lettore a cogliere la bellezza nascosta nelle piccole cose, nelle esperienze quotidiane, e a riflettere su come la morte si intrecci con la vita, in un equilibrio che nessuna delle due può mai veramente prevalere sull’altra.

Il seme del piangere
Non uccideva mai.
Era una madre il ragno.
E quando, alla fine
della stagione, stanca
si lasciava morire
(non senza dolore),
gli altri, vedendola, dicevano:
“È la fine del seme del piangere”.

Caproni, con la sua poesia, invita il lettore a confrontarsi con la realtà della morte non come un concetto lontano o un tabù da temere, ma come un aspetto naturale, quasi intimo, dell’esistenza. La morte del ragno, che diventa metafora di ogni vita che giunge al termine, non è un dramma, ma una constatazione della fragilità e della transitorietà di tutte le cose viventi. La fine di questa figura materna, la cui esistenza si spegne con una naturalezza che nulla ha di tragico, ci parla di un abbandono sereno, quasi pacificato, come se ogni conclusione fosse anche, in un certo senso, un inizio. La poesia ci invita a riflettere sul senso della sofferenza, che non è mai fine a se stessa, e sulla bellezza che si nasconde nel processo stesso della morte, che continua a ripetersi senza fine, come un movimento naturale che si rinnova all’infinito.

Nicola Fornabaio

È un poeta e docente italiano nato a Stigliano, in provincia di Matera, nel 1972. La sua carriera si sviluppa in vari ambiti, dall’insegnamento alla poesia, passando per l’attivismo sindacale. Dopo aver lavorato come maestro elementare, attualmente insegna lettere in una scuola secondaria di Albano Laziale. La sua passione per la letteratura e per l’educazione si intreccia con un forte impegno sociale, che lo ha portato a vivere e a raccontare la condizione umana attraverso la poesia.

Fornabaio è autore di diverse raccolte poetiche, tra cui Simmetrie esistenziali (Eretica Edizioni, 2020), Sauro assolato (Eretica Edizioni, 2022) e Qui tutto come sempre (Eretica Edizioni, 2023), che ne hanno consolidato la figura nel panorama poetico contemporaneo. Le sue poesie affrontano temi profondi, legati all’esistenza, alla memoria e alla condizione dell’individuo nel mondo moderno, utilizzando un linguaggio ricco di sfumature e di introspezione. La sua scrittura è caratterizzata da una forte carica emotiva e da una riflessione sulla solitudine, il tempo e l’identità.

Attualmente sta preparando l’uscita della sua nuova silloge dal titolo Estraniato (Eretica Edizioni), che promette di continuare il suo viaggio poetico, indagando nuovi orizzonti esistenziali.

La scelta

In questa poesia, Nicola Fornabaio esplora il tema della solitudine, della fragilità dell’esperienza umana e della ricerca di significato, affrontando con delicatezza il senso di colpa e la distanza emotiva che spesso separa gli individui. Il poeta riflette sull’effimera natura delle emozioni e delle situazioni umane, suggerendo che, nonostante il flusso del tempo, resta sempre un’impronta di ciò che siamo stati. Con uno stile sobrio e intimo, la poesia invita a fare i conti con il provvisorio, ricomponendo i frammenti della nostra esistenza in un movimento che cerca di trovare ordine nel caos. La riflessione sul “provvisorio” non è solo una resa al tempo che passa, ma anche una consapevolezza che, pur nel dolore, esiste una possibilità di resilienza. L’uso di immagini come la pioggia che inizia a scendere e la consapevolezza di “non farci ancora troppo male” suggerisce un cammino di accettazione, in cui il dolore e la difficoltà diventano parte integrante della condizione umana, ma non definiscono la totalità dell’esperienza.

Intervalli di riferimento
Le parole hanno fatto il loro corso.
Qui durano i libri letti e la paura
che ci ha sorpreso, lasciato soli.
Penso a come dire questa colpa
e la distanza che è nell’abbandono.
Ricomponiamo con calma ogni frammento
e poi diciamo sì al provvisorio.
Fuori comincia a piovere a dirotto.
Facciamoci bastare questo tempo
e arriviamo al punto necessario
di non farci ancora troppo male.

La poesia di Fornabaio si inserisce in una riflessione più ampia sul passaggio del tempo e sull’accettazione del dolore come parte integrante dell’esistenza. La “paura” e la “colpa” diventano temi centrali che, pur senza una risoluzione definitiva, vengono affrontati con la serenità del “provvisorio”. Il momento della pioggia che segna il cambiamento, ma anche la necessità di adattarsi e fare fronte alla realtà, si fa metafora di un processo di resilienza. Il poeta invita a fermarsi, ad accogliere le difficoltà e a non cercare soluzioni immediate, ma piuttosto ad arrivare al punto di non farci “ancora troppo male”, un invito a guardare con pazienza e speranza alle pieghe della nostra vita.

(La fotografia di Giorgio Caproni è di Dino Ignani – quella di Nicola Fornabaio è di Atonio Bisignano – si ringraziano)

Data:

6 Dicembre 2024