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LA POESIA DEL VENERDI’ – Marina Cvetaeva e Rosalba Fantastico Di Kastron

Marina Cvetaeva e Rosalba Fantastico Di Kastron, pur appartenendo a tradizioni e contesti diversi, esplorano entrambe con intensità il tema della sofferenza, della speranza e della disperazione, affrontando la condizione umana attraverso la lente del dolore e della riflessione interiore.

Marina Cvetaeva, con la sua poesia Cammini, a me somigliante, sviluppa una riflessione sulla vita e sulla morte attraverso un dialogo immaginario con un passante. La sua scrittura si nutre di un’intensa ironia tragica, come se la poetessa volesse sfidare la morte, chiamandola per nome, ma allo stesso tempo suggerendo che la speranza è destinata a rivelarsi come un inganno. Cvetaeva non teme il confronto con la morte, anzi lo rende quasi un gioco di specchi, in cui la vita e la morte si intrecciano, si confondono e si completano a vicenda. Il tono è profondo, ma mai statico; attraverso il suo linguaggio incisivo e carico di simboli, la poetessa esplora il confine tra il visibile e l’invisibile, portando il lettore a confrontarsi con la sua propria esistenza.

D’altra parte, Rosalba Fantastico Di Kastron, con Disperata Speranza, affronta il tema della speranza in modo altrettanto radicale, ma lo fa con un approccio che scava nel terreno della disperazione. La poetessa coltiva la speranza come se fosse una pianta, nutrendosi di illusioni e di falsi sogni, solo per scoprire che la vera realtà si trova nella disperazione. Qui la speranza è trattata come un inganno che, alla fine, va estirpato per fare spazio alla verità più profonda, quella che nasce dalla sofferenza e dal dolore. Kastron non abbellisce la realtà, ma la rende cruda e diretta, un’eco del dolore che diventa necessaria per comprendere la condizione umana in tutta la sua verità. La sua poesia è una riflessione sul contrasto tra il desiderio di speranza e la necessità di confrontarsi con la sofferenza per arrivare a una vera liberazione.

Nel confronto tra le due poesie, emerge che entrambe le poetesse esplorano la sofferenza come una chiave per comprendere la vita. Mentre Cvetaeva gioca con il confine tra vita e morte, usando il tema della speranza come una forma di sfida, Kastron si concentra su una speranza che si svela come inganno, per portare alla necessità di affrontare la disperazione. Se Cvetaeva riflette sull’impossibilità di separare vita e morte, speranza e inganno, Kastron si concentra sul bisogno di liberarsi dalle illusioni per affrontare la realtà cruda. Entrambe ci invitano a guardare oltre l’apparenza, a scavare nell’interiorità per arrivare a una comprensione più profonda della nostra esistenza.

Marina Cvetaeva

Nata a Mosca nel 1892 è una delle voci più intense e drammatiche della poesia russa del XX secolo. Cresciuta in una famiglia di intellettuali, la sua infanzia fu segnata da eventi traumatici, come la morte precoce del padre e la perdita della sua stabilità familiare. La sua vita e la sua poetica furono profondamente influenzate dal contesto storico di cambiamenti politici e culturali che caratterizzarono la Russia prima e dopo la Rivoluzione d’Ottobre, e dalla sua esistenza di esiliata e poi di ritorno nel paese durante gli anni più bui della storia sovietica.La sua scrittura, tormentata e passionale, esplora il dolore, la solitudine, l’amore impossibile e la morte, trattando questi temi con un’intensità che la rende unica. La sua poesia non si limita a descrivere i sentimenti, ma li esplora in profondità, arrivando a un’espressione quasi fisica del malessere e della frustrazione dell’individuo di fronte all’esistenza. Il linguaggio di Cvetaeva è diretto e visionario, un vero e proprio grido di liberazione in un mondo che sembra non offrire alcuna consolazione.Tra le sue raccolte più celebri si trovano “Poesie a distanza” e “La lettura delle lettere”, che rappresentano un ritratto della sua poetica e della sua vita interiore, fatta di lotte contro la disperazione e la costante ricerca di una verità assoluta. La sua poesia, sebbene con sfumature di tragedia e disperazione, è anche un atto di sfida contro la morte, un tentativo di riappropriarsi della propria voce in un contesto di silenzio e oppressione.

Cvetaeva trascorse parte della sua vita lontano dalla sua terra, vivendo in esilio in Europa, ma non smise mai di scrivere della sua patria, del suo dolore e delle sue speranze. La sua opera è un simbolo di resistenza spirituale, un inno alla possibilità di esprimersi anche quando la realtà circostante sembra soffocare ogni voce.

La poetessa visse una vita segnata da tragedie personali, tra cui la morte della figlia e il suicidio del marito, eventi che non cessarono di riflettersi nella sua scrittura. La sua morte nel 1941, sotto il peso della povertà e della disperazione, ha reso il suo lavoro ancora più leggendario, e oggi la sua poesia continua a essere un faro di profondità emotiva e intellettuale.

Marina Cvetaeva rimane una delle voci più affascinanti e tormentate della poesia del XX secolo, il cui lavoro, sempre attuale e universale, invita i lettori a confrontarsi con il dolore, la solitudine e la ricerca incessante di significato in un mondo privo di risposte facili.

La scelta

Nella poesia Cammini, a me somigliante, Marina Cvetaeva esplora il delicato confine tra vita e morte, intrecciando una riflessione intima e universale sulla memoria e sull’esistenza. La sua scrittura è densa di emozioni sottili, ma allo stesso tempo coraggiosa nel trattare temi così complessi. Cvetaeva, con il suo linguaggio crudo e vibrante, trasmette la sensazione che la morte non sia mai completamente separata dalla vita, ma piuttosto una sua continuazione, una forma di presenza che persiste nei luoghi e nei momenti che l’hanno preceduta. La poetessa si fa voce di una figura che non vuole essere dimenticata, ma che cerca una nuova forma di esistenza, in un dialogo continuo con chi continua a camminare nel mondo.

Cammini, a me somigliante


Cammini, a me somigliante,
gli occhi puntando in basso.
Io li ho abbassati – anche!
Passante, fermati!
Leggi – di ranuncoli
e di papaveri colto un mazzetto
– che io mi chiamavo Marina
e quanti anni avevo.
Non credere che qui sia – una tomba,
che io ti apparirò minacciando…
A me stessa troppo piaceva
ridere quando non si può!
E il sangue affluiva alla pelle,
e i miei riccioli s’arrotolavano…
Anch’io esistevo, passante!
Passante, fermati!
Strappa uno stelo selvatico per te
e una bacca – subito dopo.
Niente è più grosso e più dolce
d’una fragola di cimitero.
Solo non stare così tetro,
la testa chinata sul petto.
Con leggerezza pensami,
con leggerezza dimenticami.
Come t’investe il raggio di sole!
Sei tutto in un polverìo dorato…
E che almeno però non ti turbi
la mia voce di sottoterra.

La poesia di Cvetaeva, come spesso accade nelle sue opere, diventa un invito alla riflessione sull’esistenza e sulla morte, ma con una grazia che non esclude la vita. Il tema della morte è trattato con una leggerezza quasi beffarda, come se l’autrice ci ricordasse che la morte non è altro che una transizione, una parte di un ciclo che continua. La poetessa si confronta con l’idea della sua presenza, non in senso fisico ma come memoria e come voce che rimane viva nei luoghi che ha attraversato, invitando chi le sta intorno a fermarsi e a ricordare. Il suo è un “essere” che non si limita alla carne, ma che si espande nella natura e nell’elemento che la circonda, in un gesto poetico che permette all’assenza di continuare a esistere in modo nuovo.

Rosalba Fantastico Di Kastron

Poetessa, pittrice, commediografa e regista teatrale, è una figura di spicco nel panorama culturale pugliese e nazionale. Nata a Salice Salentino (Lecce) e residente a Bari-Santo Spirito, ha dedicato la sua vita a un impegno creativo e intellettuale che abbraccia vari ambiti artistici. La sua formazione include un lungo percorso accademico, con una carriera come docente titolare di Storia dell’Arte e Beni Culturali nei licei di Torino e Bari, che ha arricchito la sua visione e il suo approccio alla cultura e all’arte in tutte le sue forme.

Nel 1991, ha ricevuto il prestigioso riconoscimento di Vincitrice del “XII Concorso Internazionale di Arte e Letteratura”, premiata in Campidoglio a Roma. La sua produzione poetica e letteraria è vasta e spazia tra diverse tematiche, sempre caratterizzata da una profonda ricerca interiore e un linguaggio evocativo. Tra le sue opere più significative figurano pubblicazioni con case editrici di rilievo come Schena Editore (“Attraversare il silenzio” e “Nuvole di pietra”), Filocalia Edizioni (“Salentu mia”), Secop Edizioni (“Canti per un cuore vagabondo”), G.C.L. Edizioni (“Ai margini del mistero”), e Mundius Artium Press & University di Dallas (USA), che ha dato alle stampe la raccolta bilingue “The traces of soul”, selezione di poesie in italiano e inglese. Quest’ultima pubblicazione le è valsa il prestigioso Babel Prize for Literature 2021, assegnato dal Comitato del Premio e dalla Commissione dell’Università di Dallas, in riconoscimento del suo contributo culturale.

Nel corso della sua carriera, ha ricevuto numerosi premi, tra cui il Premio “Donne di Puglia”, che le è stato conferito per la sua attività di diffusione della cultura pugliese all’estero. Il suo impegno artistico è stato riconosciuto anche a livello istituzionale: nel 2021 le è stata conferita l’Onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, in segno di apprezzamento per il suo valore culturale e sociale.

Rosalba Fantastico di Kastron è anche autrice di opere teatrali, tra cui la fortunata pièce “Ode ai Sette Vizi Capitali”, regolarmente registrata alla SIAE e attualmente in tournée in vari teatri, dove continua a raccogliere consensi per la sua capacità di unire la riflessione filosofica e la comicità in un linguaggio teatrale contemporaneo.

Attraverso le sue poesie, le sue opere teatrali e la sua pittura, Rosalba Fantastico di Kastron continua a lasciare un segno indelebile nel panorama culturale italiano e internazionale, confermando la sua posizione di artista e intellettuale di grande rilievo.

La scelta

La poesia Disperata Speranza di Rosalba Fantastico Di Kastron si immerge nel contrasto tra speranza e disperazione, due forze che si intrecciano e si alimentano vicendevolmente. Il linguaggio della poetessa è essenziale e evocativo, in grado di trasmettere con grande forza il conflitto interiore che segna il suo cammino. La speranza, infatti, si presenta inizialmente come una compagna di vita, ma ben presto rivela la sua natura illusoria, trasformandosi in un inganno che nasconde una realtà più amara. Il dolore e il pianto, nella visione di Di Kastron, sono essenziali alla crescita della speranza stessa, ma è solo nella piena consapevolezza della sua fragilità che l’individuo può liberarsi dall’illusione e affrontare la verità.

Disperata Speranza
Coltivavo Speranza
in orti verdeggianti d’illusione;
di essa mi nutrivo.
Mi pareva che fosse la sostanza,
la vera dimensione
della mia vita. Invece mi mentivo.
Ma il lamento lenivo.
La Speranza necessita del pianto.
Nel dolore fiorisce,
terreni inariditi preferisce
come gramigna in un Camposanto.
Nell’orto pianterò Disperazione
per estirpare l’ultima illusione.

La poetessa, con una scrittura lucida e spietata, ci offre un’analisi delle illusioni in cui spesso ci rifugiamo, senza renderci conto che esse non sono altro che una maschera che copre una realtà più difficile da affrontare. La speranza che, inizialmente, sembra essere la linfa vitale della poetessa, si trasforma in un inganno che il dolore, con la sua crudezza, è chiamato a svelare. La figura della “disperazione” diventa l’elemento catartico, l’unico in grado di rivelare la verità, estirpando definitivamente quella che la poetessa definisce l’ultima illusione. Il contrasto tra la speranza e la disperazione si fa così simbolo della lotta interiore che ogni individuo affronta, nel tentativo di liberarsi dalla rete delle illusioni per raggiungere una comprensione più profonda e autentica di sé.

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Data:

9 Maggio 2025

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