Il confronto tra Salvatore Quasimodo e Rita Antonietta Gorini mette in luce due poeti di epoche, gusti e formazione diverse che affrontano la devastazione della guerra, ma attraverso stili e linguaggi distinti, entrambi capaci di cogliere l’intensità della perdita e della speranza.
Salvatore Quasimodo, con la sua poesia “Milano, agosto 1943”, dipinge un quadro desolante di una città distrutta. La sua poesia è un lamento funebre per una Milano devastata dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Il poeta evoca immagini di desolazione e morte: la città è dichiarata morta, i pozzi non devono essere scavati perché i vivi non hanno più sete, e i morti devono essere lasciati nella terra delle loro case. La città, un tempo viva, è ora ridotta a polvere, un luogo dove persino l’usignolo, simbolo di speranza e vita, è caduto silenzioso. Quasimodo utilizza un linguaggio potente e diretto per trasmettere la gravità della distruzione e la perdita irrimediabile, creando un’atmosfera di profonda tristezza e impotenza di fronte alla devastazione.
Rita Antonietta Gorini, nella sua poesia “Tornerà primavera”, esplora anch’essa le conseguenze della guerra, ma con una sfumatura diversa. Le “pareti nude di finestre” e i “calzini bruciati” dipingono un quadro di abbandono e desolazione, simile a quello di Quasimodo. Tuttavia, la poesia di Gorini si concentra più sulla speranza e sul ciclo della vita. Nonostante la devastazione, l’autrice intravede una rinascita: “Tornerà primavera”. Questo richiamo alla ciclicità della natura suggerisce che, nonostante la morte e la distruzione, ci sarà un nuovo inizio. La paura e la morte sono presenti, ma c’è anche un messaggio di speranza e continuità, rappresentato dal ritorno della primavera, anche se per alcuni, come il protagonista della poesia, “la tua è finita quel giorno”.
Entrambi i poeti trattano la guerra come un evento che lascia segni indelebili, ma il loro approccio poetico è diverso: Quasimodo descrive una desolazione finale e quasi definitiva, mentre Gorini lascia spazio alla speranza di una rinascita. La morte e la perdita si intrecciano come temi universali, ma il loro trattamento poetico varia: in Quasimodo la morte è impersonale e definitiva, mentre in Gorini è intrisa di paura, ma anche di speranza per il futuro. Nonostante le differenze stilistiche e tonali, entrambi i poeti esplorano la dimensione della vita e della morte, lasciando in chi legge una sensazione di continuità e di legami che, pur nella distruzione, trovano una forza nel ricordo e nella speranza.
Salvatore Quasimodo
È uno dei più importanti poeti italiani del XX secolo, nato il 20 agosto 1901 a Modica, in Sicilia. La sua infanzia e giovinezza furono segnate dai frequenti spostamenti del padre, un ferroviere, che portarono la famiglia a vivere in diverse città siciliane. Quasimodo studiò ingegneria a Roma, ma abbandonò presto gli studi per dedicarsi alla letteratura, lavorando nel frattempo come tecnico del Genio Civile per mantenersi.
Il suo esordio poetico avvenne nel 1930 con la raccolta “Acque e terre”, seguita da altre opere che lo resero uno dei maggiori esponenti dell’ermetismo, un movimento caratterizzato da una poesia densa, ellittica e carica di simbolismo. Le sue prime raccolte, come “Oboe sommerso” (1932) e “Erato e Apollion” (1936), riflettono l’influenza dell’ermetismo e mostrano una forte introspezione e un’intensa ricerca di senso e di bellezza nel mondo naturale e nei sentimenti umani.
Durante la Seconda guerra mondiale, Quasimodo visse a Milano, dove lavorò come redattore per diverse riviste letterarie. La guerra ebbe un profondo impatto sulla sua poesia, che si fece più impegnata e attenta alle tematiche sociali e politiche. Questa svolta si riflette nella raccolta “Giorno dopo giorno” (1947), in cui l’autore affronta il dolore e la devastazione del conflitto, nonché la speranza di una rinascita morale e spirituale.
Nel 1959, Quasimodo fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura, un riconoscimento che consacrò la sua importanza nella scena letteraria internazionale. Il comitato del Nobel lo premiò “per la sua lirica densa di sentimento che, con ardore classico, esprime le tragiche esperienze della vita nei tempi nostri”. Tra le sue opere più celebri si annoverano anche “La vita non è sogno” (1949) e “Dare e avere” (1966), in cui continua a esplorare i temi della sofferenza umana, della solidarietà e della ricerca di senso.
La poesia di Quasimodo è caratterizzata da un linguaggio limpido e musicale, capace di cogliere l’essenza delle emozioni e delle esperienze umane. Il poeta si avvale spesso di riferimenti alla mitologia e alla storia classica, conferendo alle sue opere una dimensione universale e atemporale. La sua capacità di fondere introspezione personale e riflessione sociale ha fatto di Quasimodo una voce potente e duratura nella letteratura italiana.
Salvatore Quasimodo morì il 14 giugno 1968 ad Amalfi, lasciando un’eredità poetica di grande rilievo. La sua opera continua a essere studiata e apprezzata per la sua profondità emotiva e la sua capacità di parlare al cuore e alla mente dei lettori di ogni generazione.
La scelta
Salvatore Quasimodo, con la sua poesia Milano, agosto 1943, affronta il tema della distruzione e della desolazione causate dalla guerra in modo crudo e realistico, usando un linguaggio che cattura la devastazione e la disperazione di quei momenti. In questo poema, la città di Milano è rappresentata come un’entità morta, distrutta dai bombardamenti e privata della vita che un tempo la animava. Il tono della poesia è cupo e funereo, con immagini potenti che evocano la tragedia e la sofferenza umana.
La poesia descrive un paesaggio urbano ridotto in macerie, con mani che cercano invano tra la polvere, simbolo della perdita e della fine di una civiltà. L’uso della parola “invano” all’inizio del poema sottolinea l’inutilità degli sforzi umani di fronte a una tale distruzione. La città, un tempo viva e pulsante, è ora morta, e il rombo finale dei bombardamenti è stato l’ultimo suono che ha attraversato il cuore del Naviglio, uno dei simboli di Milano.
Quasimodo introduce l’immagine dell’usignolo caduto dall’antenna, un simbolo di bellezza e vita che viene abbattuto dalla violenza della guerra. Questo dettaglio amplifica la sensazione di perdita e desolazione, mostrando come anche la natura sia stata colpita dalla tragedia. Il poeta avverte di non scavare pozzi nei cortili, poiché i vivi non hanno più sete, un’immagine potente che suggerisce l’assenza di vita e la mancanza di speranza tra i sopravvissuti.
La poesia prosegue con l’invito a non toccare i morti, descritti come “rossi” e “gonfi”, lasciandoli nella terra delle loro case. Questo suggerisce un rispetto per i defunti, ma anche una triste rassegnazione alla devastazione totale. La ripetizione del verso “la città è morta, è morta” enfatizza la totale distruzione e l’irreversibilità della perdita.
In questi versi esplora la devastazione della guerra attraverso immagini forti e dolorose, rappresentando la distruzione di Milano come un evento apocalittico. La città morta diventa un simbolo della più vasta tragedia umana causata dal conflitto, e il poeta invita i lettori a riflettere sulla fragilità della vita e sulla brutalità della guerra. Il linguaggio diretto e le immagini vividissime rendono questo poema una potente testimonianza delle sofferenze e delle perdite subite durante quel periodo oscuro.
Rita Antonietta Gorini
È nata a San Giuseppe Vesuviano (NA) e risiede a Costa Masnaga (LC). Laureata in Fisica ad indirizzo cibernetico presso l’Università “Federico II” di Napoli, ha saputo coniugare la precisione scientifica con la sensibilità artistica, distinguendosi come una delle voci più interessanti della poesia contemporanea italiana.
Per l’editore Giuliano Ladolfi (Borgomanero) ha pubblicato tre raccolte di poesie che hanno riscosso notevole successo: Viaggi di versi (2015), una meditazione sui percorsi interiori ed esteriori della vita; Il filo di Arianna (2017), un’opera che esplora i temi del mito e della memoria; e Uscendo dal buio (2017), un viaggio attraverso le ombre dell’esistenza verso la luce della consapevolezza.
La sua collaborazione con Aletti Editore ha portato alla luce E… alzando lo sguardo (2019), una raccolta che invita a sollevare lo sguardo oltre le difficoltà quotidiane, e Pensieri sospesi (2022), una riflessione poetica sulle incertezze e le speranze che caratterizzano il nostro tempo.
Per Europa Edizioni ha pubblicato Sotto la mia ombra (2020), una raccolta di poesie che esplora il tema della presenza e dell’assenza, dell’ombra che accompagna ogni individuo nella sua ricerca di identità. La sua ultima opera, Col fiato sospeso (Abra Books, 2023), rappresenta un ulteriore passo nella sua evoluzione poetica, affrontando con delicatezza e profondità le pause e le attese della vita.
Rita Antonietta Gorini continua a scrivere e a ispirare, con una produzione poetica che combina rigore scientifico e lirismo, offrendo ai lettori uno sguardo unico sul mondo e sulle emozioni.
La scelta
La poesia Tornerà primavera di Rita Antonietta Gorini offre una riflessione profonda sulla perdita e sull’ineluttabilità della fine, esplorando il contrasto tra speranza e rassegnazione. La poetessa dipinge un paesaggio emotivo segnato dalla solitudine e dal vuoto, in cui l’assenza della persona amata diventa una presenza silenziosa e dolorosa. Le “pareti nude di finestre” e il “nulla a cui possa darsi il nome casa” simboleggiano uno spazio privo di identità, dove ogni traccia di vita è ormai svanita, lasciando solo desolazione.
Il riferimento ai “calzini bruciati” a terra crea un’immagine forte di distruzione, simbolo di un passato che non può più tornare. La poetessa mette in luce la paura che affligge l’anima, descritta come più opprimente del “fucile”, un’inquietudine che schiaccia il cuore e segna il poeta in modo indelebile. In questa atmosfera di angoscia, la ricerca della persona scomparsa nel “fango fra i fossi” diventa una ricerca senza speranza, un’illusione che non troverà mai risposta.
Il verso finale, “Tornerà primavera, / la tua è finita quel giorno”, segna una chiusura definitiva e irrevocabile, in cui la promessa di rinascita della primavera appare come un concetto lontano, inaccessibile a chi ha già vissuto la propria fine. La primavera, simbolo di vita e di speranza, non potrà più essere per chi è scomparso, ma resta un’idea irraggiungibile.
La poesia si distingue per l’intensità delle sue immagini e per la capacità di evocare un dolore profondo e universale. Il contrasto tra la speranza di un rinnovamento e la certezza che quella speranza non potrà mai raggiungere chi è stato perso crea un’atmosfera di struggente malinconia. Con questa poesia, l’autrice invita a riflettere sul significato della fine, sul dolore che essa comporta, ma anche sull’impotenza di fermare il corso degli eventi. Il lettore è lasciato con una sensazione di inevitabilità, ma anche con una meditazione sulla natura delle perdite e sulla forza della memoria.
La poesia è per me ” vita salutem”. Ringrazio lei sig.Lisi e la redazione per aver comparato con competenza entrambi i componimenti, cogliendone tutte le sfumature. Dico ancora grazie per avermi offerto la possibilità di condividere questo dono con tutti gli amanti della poesia. È un periodo questo oscurante che gela le ossa e mercifica la parola. La sofferenza non è democratica ma la bellezza si, vuole essere reclamata e condivisa. Qual è quel luogo, quello spazio che ci consente tutto questo? Per dirla con Freud, se non la poesia? Grazie e buon fine settimana.
Solo i poeti sanno trovare le parole che incidono i nostri cuori, sia per mostrarci l’aberrazione dell’umanitá, sia per disvelarci l’irredimibililitá della forza e della speranza che essa ha. Io ho avuto il privilegio di respirare da vicino l’anima di Rita Gorini, la sua potenza e la sua delicatezza
Buongiorno, ho letto con grande curiosità ed interesse le creazioni di questi due autori e la cosa che più mi ha fatto riflettere è il profondo legame e l’ affinità artistica che li lega. Benché tra i due autori ci siano tanti Natali di distanza, è sorprendente come abbiano saputo cogliere, con la stessa intensità e profondità il profondo buoi dell’ anima che comportano la guerra e/o le perdite affettive che colpiscono ognuno di noi. Cosa ci resta allora di fronte a tutto questo? La risposta dell’ autrice Gorini è la speranza che la Primavera ritorni a scaldarci….io mi aggrappo a questa stessa speranza. Grazie.
Grazie Anton.La tua essenza di donna lascia in tutte le persone che incrociano i tuoi passi una traccia, un solco da coltivare. Rita
La guerra odora di sangue versato. La frustrazione e la speranza di rinascita appartengono a tutte le anime sensibili come la tua. Grazie Biagio del tuo commento puntuale e sincero. Rita
Grazie per il transfert emotivo-soggettivo. Abbracci la resilienza di chi confida nella speranza di rinascita. Rita
Ciao, lette con attenzione le 2 poesie, colgo analogie di fondo relativo al tema affrontato. La differenza della tua poesia sta nella constatazione che la primavera finisce solo per chi non c è più, la paura morde come una tenaglia lascia il segno e se ne va. “Tornerà la primavera” mi ricorda quel bellissimo film di Ermanno Olmi “Torneranno i prati” di analogo tema: dopo la distruzione e la morte torneranno i prati e la vita.
Grazie Antonio per aver commentato e comparato i miei versi citando “Torneranno i prati”di Ermanno Olmi, film a dir poco stupendo. Io adoro questo regista.Le sue sono rappresentazioni poetiche . Rita
Buongiorno, ho letto con grande curiosità ed interesse i componimenti di questi due autori. La cosa che più mi ha fatto riflettere è l’ affinità artistica che li lega nonostante tra i due ci siano tanti Natali di differenza. La crudezza e la profondità, con cui entrambi i poeti hanno saputo cogliere il profondo buoi nell’ anima che lasciano la guerra e/o la perdita degli affetti, lasciano attoniti. Come reagire di fronte a tutto ciò? Gorini confida nel ritorno della Primavera ed io mi aggrappo a questa stessa speranza di rinascita. Grazie.
La lettura della poesia “Tornerà primavera” della poetessa Rita Gorini ha suscitato in me una duplice sensazione: da una parte la frustrazione per la morte, soprattutto quella dovuta alla guerra, dall’altra la speranza, sentimento vitale, necessario per una pronta rinascita.
Ho avuto il privilegio di leggere e amare in anteprima la poesia di Rita Gorini, che sa evocare con i suoi versi intrisi di speranza, dolore, colori e profumi i più grandi poeti del Novecento. In questo agghiacciante XXI secolo abbiamo tutti bisogno di poesia. Rita sa riscaldare con i suoi versi.
Riesci sempre a sorprendermi.Sei un soffio leggero e sottile che, piano piano, si rafforza e spazza via ceneri e residui. Sei aria pulita. Grazie Rita