Viviamo in un mondo in cui l’arroganza la fa da padrona e, spesso, ci si sente nella parte del giusto senza porsi alcun dubbio. Così preferiamo creare questioni sui vaccini e sugli immigrati anziché affrontare la realtà dei fatti. Magari nemmeno ci rendiamo conto del flop mediatico e comunicativo che ci sommerge quotidianamente. Ammettiamolo, noi italiani siamo un popolo di criticoni, pieni di potenzialità ma enormemente infastiditi da ciò che ci circonda, anche se si tratta della penisola più bella del mondo. Di fronte a qualsiasi evento o situazione, abbiamo la capacità di trovare l’ago nel pagliaio. Un comportamento encomiabile che, però, viene smentito dall’incapacità di colmare le lacune effettive. Ci fermiamo alla critica e non andiamo oltre, questo è l’errore. Invece bisognerebbe fare della capacità di migliorare un’abitudine, mettendo in discussione dapprima se stessi. Come? Ammettendo le nostre mancanze, cercando di lavorare sui punti deboli e potenziando quelli forti.
Il problema è che la maggior parte delle persone pensa di esser già “formata”, di non aver bisogno d’altro. Non è così. Ciascuno è in continuo divenire, le esperienze cambiano e dovrebbero insegnare a vivere diversamente e a lavorare in maniera utile e intelligente. Perché il fulcro del disagio riguarda, soprattutto, il mondo lavorativo. La frustrazione s’inonda ovunque, in particolare sui social e nei rapporti con le persone, e diventa un flusso di rabbia inarrestabile. Colpa dei politici, della mancanza di valori ecc… Come se la responsabilità riguardasse sempre gli altri e mai noi. Se provassimo a capire che il mondo cambia velocemente a causa di molti fattori tra cui, in primis, la tecnologia galoppante, ci renderemmo conto che molto dipende dal modus di carpire il cambiamento. Lavorare adeguatamente significa dare spazio alla felicità personale e altrui, un esempio recente è quello della manutenzione dei ponti. Un lavoro fatto bene non solo rende soddisfatti e sereni, ma può addirittura salvare delle vite.
La professionalità al giorno d’oggi è una qualità rara. Insomma, tutti vogliono arricchirsi e vendere il più possibile con il minimo sforzo economico a discapito della salute e della vita umana. Sembra facile fare soldi in questa maniera, basta mettersi gli scrupoli in tasca e avere la faccia tosta di tralasciare i propri compiti. La stessa faccia di tolla di chi lascia che i ponti cadano come pioggia. Capisco pure la diffidenza del cliente davanti a un venditore di qualsiasi tipo che svolge male il suo lavoro, che non pone rimedio agli errori, che non ammette lo sbaglio, che omette alcune clausole, che tratta con sufficienza le persone, che sfrutta e sminuisce i suoi dipendenti, che non possiede le basi della comunicazioni, che s’approccia frettolosamente e con aria saccente, che manca costantemente di puntualità… Ecco perché urge un ritorno al valore della professionalità, quel sacro dovere di fare il meglio per se stessi e per gli altri in ogni luogo e momento. Immediato e repentino, affinché le persone possano (af)fidarsi nuovamente al mercato con entusiasmo e passione.