Dietrofront: TikTok non è più un pericolo per la democrazia, almeno negli Usa. La decisione del neo eletto presidente americano, Donald Trump, di rivedere gli accordi con la piattaforma cinese, è in linea con la volontà del governo di concedere a TikTok di rimanere online e a disposizione di milioni di utenti americani. La piattaforma infatti era stata bloccata temporaneamente negli Stati Uniti per via di una legge che obbligava ByteDance, proprietaria di TikTok, a passare la mano a investitori americani per questioni di sicurezza nazionale. Il governo americano, alla luce degli oltre 170 milioni di utenti del social cinese, aveva prospettato e segnalato seri rischi sui pericoli legati alla privacy dei dati di milioni di utenti lasciati in pasto alla compagnia cinese. Adesso con l’insediamento di Trump, le carte in tavola vengono sparigliate e a TikTok sono concessi due mesi e mezzo per far sì che possano arrivare delle offerte concrete sull’acquisizione dell’azienda. Nel frattempo il social cinese potrà continuare a operare in territorio americano senza timore di essere bloccato, aspettando che qualcuno (Microsoft e Oracle?) si faccia seriamente avanti per acquisire una piattaforma con numeri sempre in crescita.

Il divieto di utilizzare la piattaforma in territorio americano nasce da una decisione della Corte Suprema che ha confermato una precedente decisione del Congresso Usa mossa dal pericolo di un controllo governativo cinese troppo pervasivo ai fini della sicurezza nazionale. Le tensioni geopolitiche internazionali sono dunque lo sfondo entro il quale nel corso degli ultimi anni, in particolare negli Usa, ma non solo, si sono intensificate leggi e divieti che pongono TikTok sotto accusa in tema di Cyber sicurezza e spionaggio internazionale. La cosiddetta “Digital cold War” diventa prioritaria da parte del governo americano per combattere le interferenze di stati (canaglia) stranieri da potenziali ingerenze in quel bacino interminabile di ricchezza che sono i dati personali. Da parte sua TikTok, alla luce della sentenza di condanna nei suoi confronti, ha subito intrapreso una battaglia legale per contestare le decisioni dell’Alta Corte. Trump ora ha sciolto ogni nodo e sembra intenzionato a una apertura sull’utilizzo di TikTok in territorio americano, mettendo da parte le ragionevoli preoccupazioni su cui si è basata la sentenza di blocco della piattaforma cinese. Ciò che infatti i giudici hanno paventato riguarda in particolar modo la modalità di funzionamento di TikTok grazie al suo algoritmo; quest’ultimo sarebbe, nel suo sofisticato funzionamento, responsabile di un fiume interminabile di contenuti prodotti dagli utenti che verrebbero controllati e messi a disposizione direttamente al governo cinese.

L’attualità dei pericoli derivanti da tale struttura ha portato il Congresso prima e la Corte Suprema poi, a salvaguardare la sicurezza nazionale di fronte ai pericoli di vulnerabilità per il possibile impatto provocato dal sistema di raccolta di enormi quantità di dati processati dalla società cinese. La decisione di Trump è facilmente spiegabile e riguarda il pragmatismo legato a un leader che personalizza la gestione del potere. Secondo gli analisti politici e gli esperti di comunicazione, la vittoria di Trump è da attribuire anche ai quasi 15 milioni di follower che seguono su TikTok il neo presidente americano. Vi è poi la ragion di stato, ovvero il non voler incancrenire i già tesi rapporti con la Cina, partner logistica e commerciale ormai fondamentale nello scacchiere geopolitico mondiale. Il tecno-capitalismo alla base della società occidentale ha forgiato e intensificato, sin dai tempi di Foucault, una strategia “bio-politica/bio-tecnica”, la cui mission è l’ “ossessione securitaria”, così come è definita da Mauro Barberis, ovvero la capacità con cui «essa sfrutta le nostre euristiche, le scorciatoie cognitive che ci permettono di risolvere i problemi pratici». La sicurezza che il governo americano ha sempre sostenuto per difendere e tenere lontano il pericolo oggi come ieri comunista, è ora rabbonito dal carisma del leader e, soprattutto, da ciò che egli sa incarnare e rappresentare, ovvero l’affermazione dell’uomo forte e deciso, colui il quale ha fatto del populismo e della leva digitale un binomio potentissimo per ancorarsi al potere.