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LA REPUBBLICA PRESIDENZIALE – Nel pensiero di Giambattista Rizzo

Giambattista Rizzo (Melilli (SR) 5 settembre  1907- Roma 8 ottobre 1986),  nato dal notaio Gaetano Rizzo Alagona e da Maria Messina Vinci, conseguì la maturità classica al liceo Cutelli di Catania (in precedenza aveva studiato al  Gargallo di Siracusa), dove risultò il miglior allievo tra gli scrutinati, nonostante il “salto” effettuato nell’ultimo anno. Gli anni degli studi superiori furono quelli che –in età adulta- avrebbe ricordato con struggente nostalgia come i più importanti per la sua formazione futura. Sin da quegli anni fu divoratore di libri, ben al di fuori degli obblighi scolastici, senza una precisa bussola, ma “saltando da un libro all’altro della biblioteca di famiglia”, desideroso di “imparare a scrivere chiaro, di avere idee, ma anche di saperle esporre senza oscurità, preziosismi, contorte analisi”, al qual fine gli furono preziosi i saggi di critica letteraria del  Croce e del  De Sanctis. Radicatosi nella città Eterna durante gli studi universitari di Giurisprudenza, su invito di Leone Cattani entrò a far parte nel 1924 dell’Unione goliardica, organizzazione studentesca liberale ed antifascista. La scelta della professione forense, conseguita a 20 anni la laurea con il massimo dei voti e la lode, gli consentì, al pari di numerosi altri avvocati, di non prendere la tessera che il  Regime chiedeva ai pubblici dipendenti. Nel 1931 iniziò la vita professionale, cimentandosi nel diritto civile, commerciale, amministrativo e tributario, con vivo interesse per la suggestiva varietà dei casi umani oggetto di vertenze giudiziarie. Due anni dopo conseguì anche la laurea in Scienze politiche e nel 1936 si classificò primo al severissimo concorso per Patrocinante in Cassazione ad appena 29 anni ! Alla caduta del Fascismo nel 1943, il Rizzo fu eletto Segretario dell’Ordine degli Avvocati di Roma.

Allievo di V.E. Orlandosin dagli anni universitari, giovane e quant’altri mai suo stimato collaboratore di studio, il Rizzo lo ebbe testimone di nozze(1932) e dopo la fine della dittatura, nel 1945 ne divenne “Aiuto” alla Cattedra di Diritto costituzionale; poi collega alla Consulta ed alla prima Legislatura del Senato repubblicano. Il Maestro volle esprimergli il proprio  compiacimento per la sua attività politica in quanto “era bene riuscito ad accoppiare il costituzionalista con il parlamentare”. Dal Maestro medesimo recepì  l’esempio che la professione andava esercitata con grande scrupolo, senza alcuna ansia di accumulare ricchezze.

Sotto il profilo scientifico, il suo libro sulla Responsabilità regia dei sovrani inglesi (1939), ebbe tra gli apprezzamenti più qualificati nuovamente quello dell’Orlando, che così volle commentarlo: ”Non conosco, neanche presso le letterature straniere, alcuna altra monografia verso cui questa del Rizzo non serbi il proprio carattere di originalità; intendo come posizione del problema in cui l’elemento storico-giuridico si coordina strettamente ed in un certo senso si fonde con quello attuale, istituzionale e comparato”. Libero Docente di diritto costituzionale italiano e comparato (1940), riscosse per l’opera in esame anche il vivo apprezzamento di Santi Romano, che lo vollecome proprio “Assistente straordinario incaricato”di Diritto costituzionale alla Sapienza.

Alla vigilia della fatidica svolta del 25 luglio 1943,si andava ricostituendo il gruppo liberale con Zanotti Bianco, Casati, Carandini, Cattani, ed il Rizzo medesimo, i quali dopo la defenestrazione del Duce iniziarono a riunirsi presso Il Giornale d’Italia .Nella nuova temperie ideale, il Rizzo scrisse nella collana degli opuscoli del Movimento liberale sul “Problema istituzionale”(15 ottobre1943).Lo spirito di questo Movimento era quello di “un liberalismo riformatore, non rivoluzionario, che non poteva essere confuso con il liberalsocialismo[…]perché in sede di ideologia, i due principi, il liberale ed il socialista, contrastavano e non potevano trovare che trovare composizione nella prassi per le soluzioni comuni”.  

Presso la sede dell’ Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, il 17 marzo 1944 in Roma occupata ed a ridosso dell’attentato di via Rasella, unitamente a Brosio, Piacentini e ad altri, operò attivamente per il coordinamento dei liberali nella clandestinità, al fine dei necessari collegamenti con gli ufficiali del Regio Esercito ed il 17 dicembre venne nominato coordinatore di una Commissione di lavoro per le pubblicazioni del PLI, di cui era segretario regionale in Sicilia

Sul problema istituzionale, nel cui ambito i liberali avevano posizioni articolate, così come sulla futura scelta del sistema elettorale, il Rizzo il 7 marzo 1944 propose che all’erigenda Assemblea costituente si pervenisse soltanto dopo l’esito di un previo Referendum. Era questa la soluzione giuridicamente più corretta e logica, né poteva essere altrimenti per l’allievo del grande giuspubblicista V.E. Orlando, al quale aveva scritto una lettera a nome dei liberali tutti perché convincesse il riluttante Sovrano ad abdicare. Tra i problemi che avrebbero dovuto essere affrontati alla luce di una nuova Costituzione, il Rizzo avevamesso da subito al tappeto quello delle autonomie regionali, nel richiamato opuscolo sul “Problema istituzionale”, ritenendo che dette autonomie avrebbero potuto costituire una garanzia di libertà per i cittadini, nonché un baluardo di giustizia per le Regioni – e per la sua Sicilia in particolare- contro ogni suggestione separatistica. La tesi in parola, volta a depotenziare le altrimenti vivissime spinte centrifughe, venne condivisa da Gaetano Martino e risultò prevalente al Comitato Nazionale Liberale, malgrado autorevoli voci dissonanti, come quella dello Zanotti Bianco.

Nel 1944 uscì il libro La Repubblica presidenziale, che l’Einaudi definì : “di politica ed insieme di dottrina, testimonianza di interesse a problemi attuali ed insieme di probità scientifica”, il che ne evidenziava i tratti di originalità esplicativa di un diritto costituzionale che non doveva appiattirsi ai profili esclusivamente giuridici, ma risultava vivificato dall’aderenza alla realtà storica. Il saggio era relativo all’analisi storico-giuridica del sistema nord americano, con finali riferimenti ad alcune tipologie dell’America latina. L’evocata forma di governo, oggetto in prosieguo di tempo di clamorosi fraintendimenti, aveva ragion d’essere- chiariva il Rizzo – solo se ed  in quanto correlata alla tipologia dello Stato liberale, vale a dire di uno Stato pluralistico fondato sull’alternanza dei partiti, il c.d.”swing of the pendulum” che consentiva alla minoranza di divenire in seconda battuta maggioranza e viceversa. Stato liberale era dunque quello che non imponeva alcuna dottrina in particolare, ma che si affermava funzionale alla realizzazione della dottrina di volta in volta prevalente. Ove si fosse scelta, -in tale ambito-la Repubblica presidenziale, essa andava considerata come una “forma di governo collegata istituzionalmente con lo Stato liberale, ossia con lo stato dei Partiti, ma non necessariamente con lo Stato federale , e tale collegamento […]rende[va] facile il suo differenziamento da altre forme di governo, di Stati fondati su opposte formule politiche”. A quel punto il Capo dello Stato, titolare anche dell’Esecutivo ed espressione del partito di maggioranza, avrebbe costituito l’organo di indirizzo politico, tenuto a rispettare nella formulazione e nella concreta attuazione di detto indirizzo, i citati principi di pluralismo, senza “violare le regole del gioco” con la deriva autoritaria che ne sarebbe altrimenti scaturita, falsando la natura stessa della Repubblica presidenziale. Durante il secondo governo Bonomi (12 dicembre 1944- 19.giugno 1945))fu nominato Sottosegretario ai Trasporti,  materia che considerò  strategicamente importante anche sotto il profilo politico- istituzionale, come si evince dal discorso radiofonico mandato in onda l’8 febbraio ed il 30 maggio1945:“L’isolamento materiale della Sicilia derivante dai mezzi di comunicazione con l’Italia – affermò- ha favorito un deprecabile isolamento spirituale, alimentando alcune tendenze separatiste che prendevano le mosse da uno stato di fatto per trarne conseguenze cui ripugnava l’anima della Sicilia”. L’ esperienza ai Trasporti gli sarebbe poi “tecnicamente” risultata preziosa negli incarichi di Presidente dell’Istituto nazionale dei Trasporti (1945-1957) e, successivamente, della Federazione nazionale Ausiliari del Traffico e trasporti complementari (1952-1977).  

Fra i suoi primi e pregnanti interventi a mezzo stampa, va segnalato quello in materia di obbligatorietà del voto, apparso il 30 dicembre1945 nel giornale La Sicilia, di cui era stato tra fondatori, nel quale sottolineò la necessarietà dell’esercizio del diritto/dovere in parola, onde consentire al Parlamento di essere espressione realmente rappresentativa della volontà  della maggioranza.

Alla Consulta era stato nominato Segretario della Commissione per la Ricostruzione, Lavori pubblici e Comunicazioni; ma il lavoro più improbo e defatigante fu – in seno alla Consulta medesima- quello di membro della Commissione per l’esame del progetto di legge elettorale politica per la Costituente, dove insieme al Casati rappresentava i liberali. Nel febbraio 1946, in veste di relatore del progetto in parola, osservò: ”nello stato attuale di educazione politica del nostro popolo e di formazione dei nostri partiti, onde scongiurare vistosi fenomeni di astensione, occorreva lasciare un’ampia facoltà di opzione agli elettori ed un diretto loro contatto con gli eletti, riducendo pertanto il potere dei partiti attraverso un voto simultaneo “di lista e di persona”, il qual ultimo serviva appunto a valorizzare il potere di scelta del singolo votante. Pur avendo in un primo tempo sostenuto il sistema maggioritario, il Rizzo finì con il consentire su quello proporzionale, sottolineando comunque che sia nel campo politico che in quello giuridico, operava una forza superiore sia ai Partiti che agli individui: l’opinione pubblica, la cui voce poteva esprimersi anche  mediante riunioni, associazioni, giornali, radio e mezzi di propaganda in genere. Ciò avrebbe scongiurato l’eventualità di una tirannide dei Partiti ed avrebbe secondato il contatto tra rappresentanti e rappresentati, al di fuori di qualsivoglia appartenenza. Né maggioranze elettorali, né opinioni prevalenti fuori dalle Aule, avrebbero potuto comunque in alcun modo scalfire il primato della coscienza individuale, della quale- osservò- “debbono essere i più rigidi difensori i liberali, i quali pure sentono profondamente le esigenze democratiche da cui deriva il potere della pubblica opinione”.Quanto all’opzione tra Monarchia e Repubblica, il Rizzo scelse a malincuore la linea di agnosticismo istituzionale del PLI; anche perché dopo un colloquio con Umberto II alla vigilia del Referendum, osservò che “Il Re di maggio avrebbe potuto essere un Re costituente non inferiore alla media dei tanti Re della storia europea”.

Partecipò –come ricordò il Mortati– da “consigliere esterno ai lavori della Costituente”, ricevendo apprezzamenti scritti da De Nicola ed Einaudiper l’apporto fornito sul tema specifico delle Regioni.

 Il 7 dicembre 1947 pubblicò ne La Sicilia l’articolo “La Costituzione è fatta”, affermando- tra l’altro- che “nonostante il troppo ed il vano in essa contenuti, non esauriva certamente tutti gli aspetti costituzionali della nostra vita pubblica, in attesa di essere completata da norme attuative e di ricevere il soffio dinamico per formare ciò che gli anglosassoni chiamano la c.d. Costituzione vivente’Infatti- proseguì -“i più alti valori della vita civile non possono essere racchiusi in un testo costituzionale, e tanto meno trovare la loro fondamentale difesa in meccanismi costituzionali. Essi vivono e si fortificano nella coscienza dei cittadini, nel loro senso religioso del diritto e del dovere, nel loro rispetto della personalità umana e dell’autorità dello Stato, nel loro coraggio civile, nel loro disinteresse, nel loro disgusto di ogni sopruso e di ogni violenza, nella loro osservanza dei dettati della maggioranza e nel riguardo dei diritti della minoranza”.

Eletto Senatore durante la prima legislatura, entrò a far parte sia della “Commissione di giustizia e per le Autorizzazioni a procedere”, che di quella per la “Ratifica dei decreti legislativi emanati nel periodo della Costituente”. Nella Legislatura in esame portò il suo contributo di dottrina alle leggi attuative della Costituzione, con particolare riguardo in materia di Corte costituzionale, CNEL, Referendum, incompatibilità parlamentari, decentramento amministrativo. ed autonomia regionale. In ordine a quest’ultima, ribadì che in uno Stato costituzionalmente decentrato, detta autonomia poteva essere una “garanzia di libertà […]favorendo meglio la partecipazione popolare alla cosa pubblica e rendendo anche più snelli gli organi dello stato, liberandoli dalle cure dei minuti interessi locali.

Nella seduta del 28 luglio 1950 al Senato, l’oratore si soffermò sulla Cassa del Mezzogiorno, ponendo l’accento sull’importanza del suo ruolo non solo per la promozione delle risorse agricole ivi esistenti, ma anche per gli incentivi allo sviluppo di attività imprenditoriali in loco, avvalendosi di potenzialità lavorative ancora inespresse.

L’11 dicembre 1952 intervenendo al Senato in materia di Regioni, evidenziò che il problema della rinascita del Meridione, non era collegato al regionalismo, poiché andava risolto “in base al principio della solidarietà nazionale, che nella sua essenza spirituale  e politica trascende il problema delle autonomie locali”. La stessa creazione della Cassa del Mezzogiorno, rientrava in tale ottica di” solidarismo intelligente”, dato che la soluzione dei problemi delle Regioni più povere,  era favorevole anche all’espansione dei mercati di quelle più ricche.

Dissentendo dall’opinione predominante nel suo partito, il Rizzo non ritenne che l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario potesse arrecare danno all’unità nazionale: “oggi – disse– con la Regione si è voluto [..]creare soltanto un altro dei gradini intermedi dall’individuo allo Stato e, nel futuro, all’Unione di Stati, per soddisfare, in relazione con l’estrema varietà del nostro Paese, determinati interessi collettivi differenziati, che si spera possano essere soddisfatti meglio attraverso la creazione del nuovo Ente”.

Terminata l’esperienza parlamentare, continuò il suo impegno “politico” nel senso greco della parola, cioè ponendosi al servizio della collettività come Avvocato, Professore universitario, Presidente di Enti operanti in rilevanti settori di pubblica utilità. Recò – tra l’altro- il suo apporto di conoscenza giuridica, economica e sociale al CNEL sin dalla sua fondazione (1958), provvedendo personalmente a redigerne il Regolamento di esecuzione della Legge istitutiva.

In merito alle esperienze maturate nella sua ricordata, intensa attività di civil servant, operò costantemente animato dal convincimento che “ le Istituzioni valgono quanto valgono gli uomini che debbono farle funzionare”,, sicché apparve naturale la sua ascesa ai vertici del CNEL medesimo ( ne fu Presidente f.f. dall’ 8.luglio 1974 al 25.gennaio 1977).

Innanzi alle crescenti fibrillazioni di una politica sempre più segnata da instabilità governativa e dallo strapotere sindacale, taluni invocavano radicali riforme istituzionali: una Repubblica presidenziale, con l’elezione diretta del Capo dello Stato, titolare anche di un Esecutivo svincolato dalla fiducia del Parlamento, veniva suggerita come rimedio ai denunziati mali.

A tal riguardo il Rizzo, che meglio di ogni altro aveva approfonditamente studiato la forma di governo in parola, osservò che non bastava recepire acriticamente il modello statunitense, dato che la sua fortuna era in realtà legata a precisi presupposti culturali, economici e sociali, frutto di una radicata coscienza liberal-democratica. In mancanza- viceversa- “di una lunga evoluzione costituzionale che ha plasmato e rafforzato indistruttibilmente i principi di libertà e democrazia “- il che ancora risultava incompiutoin Italia – poteva avvenire che allo squilibrio di aver trasferito negli organi di Partito i poteri effettivi di direzione politica già spettanti agli eletti mediante suffragio universale, subentrasse quello- ancor più pericoloso nell’imprevedibilità degli esiti- di porre nelle mani di un uomo “plebiscitato” dal Corpo elettorale, la possibilità di sovvertire i freni e le garanzie costituzionali. Non bisognava indulgere, in conclusione, al mito della “ottima forma di Governo”, ma occorreva riaffermarein se stessi “la fede nella libertà contro ogni privilegio vecchio o nuovo, l’insofferenza contro ogni abuso o servilismo”.

Dalle esperienze che il Rizzo aveva maturatosul campocome protagonista attivo del “diritto vivente”, unitamente alla produzione scientifica cui si è sommariamente accennato, scaturì la chiamata alla titolarità della cattedra di Istituzioni di diritto pubblico nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma La Sapienza( 1965-1977),dove innovò la didattica recando i suoi allievi anche ad assistere ai dibattiti nelle aule del Parlamento, per far meglio comprendere loro quella che Croce chiamava la lex cum moribus: il metodo fu fatto proprio anche  dal collega di Facoltà Aldo Moro.

Lo spessore morale e civile del giurista siciliano ne suffragarono con ampi consensi  la nomina a Vicepresidente e, dal 1975 al 1982 Presidente della Associazione degli ex Parlamentari della Repubblica.

La sua coinvolgente cultura non scadeva mai in un autoreferenziale sfoggio di erudizione, ma coinvolgeva affascinandolo chi gli era accanto anche in una semplice passeggiata, che si tramutava in una coinvolgente fonte di arricchimento per l’uditore. Così con pittoresca sintesi descrittiva lo ricordava- e noi con lui- l’amico Brosio :“Chi non si è accompagnato con  il Rizzo- -per le vecchie vie e monumenti di Roma …, non immagina quale tesoro di conoscenze storiche e artistiche e di gusto egli possegga. Esse gli provengono da tradizioni familiari coltivate con amoroso studio”.

                 

Data:

11 Aprile 2024