Mentre ci si chiede se l’intelligenza artificiale abbia davvero la coscienza, se ci ruberà il lavoro, e se saremo minacciati dalle sue scelte, la rivoluzione della robotica è iniziata. Già ora, in alcune fabbriche cinesi ci sono dei robot umanoidi che spostano cassette sui nastri trasportatori e fanno altre attività manuali, sostituendo intere squadre di operai. Non è un esperimento isolato, ma l’anticamera di cosa accadrà nei prossimi cinque anni.
La Cina è all’avanguardia in questo campo, con più robot per 10.000 lavoratori manifatturieri rispetto a qualsiasi altro Stato, eccetto le vicine Corea del Sud e Singapore. Nelle fabbriche più moderne, come quella di Zeekr a Ningbo, centinaia di bracci robotizzati saldano carrozzerie in quelle che vengono chiamate “fabbriche oscure”, poiché funzionano senza intervento umano né illuminazione.
Il governo cinese ha trasformato la robotica in una priorità strategica nazionale, con un fondo nazionale pari a 137 miliardi di dollari per finanziare la robotica avanzata. A questo si aggiungono prestiti di 1.900 miliardi di dollari delle banche statali all’industria negli ultimi quattro anni.
Ma quali sono le implicazioni di questa rivoluzione tecnologica? Secondo uno studio Focus Censis Cooperative, nei prossimi dieci anni, in Italia, saranno soprattutto i lavoratori più qualificati a subire l’Ai, mentre altri dovranno imparare ad integrarla nel proprio lavoro. L’identikit del lavoratore più esposto all’intelligenza artificiale è una donna laureata del Nord e Centro Italia, che lavora come analista dei dati o specialista nella finanza.
Se passiamo alla robotica, invece, l’identikit del lavoratore più esposto all’automazione è un giovane impiegato maschio, tra i 15 e i 24 anni, con basso titolo di studio, che opera in settori ad alta manualità come costruzioni, turismo e logistica.
Secondo McKinsey & Company, i settori più vulnerabili entro il 2030 sono: manifatturiero (60%); trasporti e logistica (55%); servizi amministrativi (47%); finanza e assicurazioni (43%).
Ma non tutti i posti di lavoro saranno persi. Il World Economic Forum offre uno scenario ambivalente nel suo Future of Jobs Report 2025: entro il 2030, 92 milioni di posti di lavoro spariranno, ma ne nasceranno 170 milioni di nuovi. Il saldo positivo di 78 milioni di posizioni nasconde però una verità scomoda: non saranno gli stessi lavoratori di prima a beneficiarne.
La transizione richiederà competenze radicalmente diverse, emergeranno ruoli come specialisti Ai, data analyst, esperti di cybersecurity, ingegneri dell’automazione e professionisti della sostenibilità. Il 63% delle aziende identifica il divario di competenze come ostacolo critico al cambiamento.
In questo scenario, la tecnologia è pronta. Ora tocca a noi decidere come e con quali regole accoglierla. Perché se lasciata al solo mercato, rischia di accentuare le disuguaglianze e la precarietà invece di creare valore condiviso. La scelta è nostra: possiamo utilizzare la tecnologia per migliorare la vita delle persone o possiamo lasciare che sia la tecnologia a dettare le regole del gioco. La rivoluzione della robotica è iniziata, e noi dobbiamo essere pronti a gestirla.