Quando cantava degli “zingari felici” a nessuno, conoscendolo, sarebbe venuto in mente che quel termine potesse celare una qualche accezione negativa: gli zingari per lui erano semplicemente un pezzo del mosaico variegato di etnie e popoli che abitano la Terra e pensava che anche loro, come tutti, nonostante le difficoltà dell’esistenza, potessero essere felici.
Conobbi Claudio Lolli alcuni anni fa, prima di un concerto come sempre per pochi intimi, e gli parlai, così, semplicemente, davanti ad un bicchiere di vino.
La semplicità con cui si approcciava a chiunque gli fosse vicino metteva tutti a proprio agio, e fu così che gli chiesi cosa per lui significasse cantare e soprattutto comporre. La risposta, che in realtà mi aspettavo, fu che l’essenziale era liberarsi da ogni sovrastruttura o pregiudizio, bisognava essere liberi per non dover accettare compromessi.
Lolli era nato a Bologna nel 1950, troppo giovane per legarsi alla scuola dei cantautori genovesi, eppure in tempo per vivere il ’68 da diciottenne, non ancora maggiorenne…Giovanissimo si recò alla EMI, la stessa casa discografica di Francesco Guccini, presentato da quest’ultimo, con il quale talvolta aveva cantato in apertura di qualche “concerto” all’“Osteria delle Dame”.
Nei suoi album – il primo “Aspettando Godot”, seguito da “Un uomo in crisi” e poi ancora “Canzoni di rabbia” del 1975 – Lolli esprime una sorta di rabbia malinconica, una ribellione rassegnata, superando l’ossimoro, per dar vita ad uno stile essenziale che va dritto al cuore e si oppone alle ingiustizie vissute dalla gioventù post-sessantottina.
Colto (suo è Quello di lì, brano in cui parla di Antonio Gramsci), antimilitarista (Morire di Leva), disinteressato ai meccanismi dello show business (proprio come canta Guccini, modello a cui si ispirò), decise di non unirsi ai “colleghi cantautori, eletta schiera, che si vende alla sera per un po’ di milioni”.
Il cantautore bolognese si è spento a soli 68 anni dopo una lunga malattia. A noi restano i suoi testi di rara intensità, delle poesie che meriterebbero di essere introdotte nelle antologie scolastiche, come già accade per Guccini e De André, affinché le nuove generazioni possano apprezzare i valori di uguaglianza e libertà a cui Lolli si è sempre ispirato.