Spesso e volentieri associamo la scrittura romanziera a qualcosa di puramente frivolo e insignificante. La testimonianza di vita di Filippo Tapparelli ci insegna, attraverso le pagine del suo romanzo “L’inferno di Giona”, che cosa vuol dire vivere realmente. La sua penna leggera avvolge il lettore in un emozionante viaggio alla riscoperta di sé stesso.
Lei è al suo esordio letterario con la Mondadori, ci vuole spiegare perché il suo ultimo lavoro non è un vero e proprio giallo?
No infatti, il problema di questo romanzo è proprio quello di riuscire a catalogarlo in un ambiente specifico. L’hanno definito il thriller psicologico, ma non lo è esattamente. A me piacerebbe definirlo (se proprio devo farlo) un thriller di formazione. Ad ogni modo è sicuramente un viaggio nell’animo tormentato, anche se ci sono dei delitti che potrebbero incasellarlo nel giallo. La curiosità di questo romanzo è che non c’è un investigatore che indaga su un caso, un capire il reale problema delle persone.
Che cosa vuole realmente comunicare al suo pubblico con la storia del protagonista Giona?
Voglio comunicare che c’è speranza, nel senso che il mio romanzo, anche se può risultare scontato, ha in sé un messaggio di guarigione. Ovviamente questa può prendere aspetti che noi non immaginiamo; alla fine il nastro portante di tutta la storia è l’accettazione del male, ma nonostante ciò bisogna continuare a combattere e non arrendersi mai.
Una curiosità che mi è subito balenata agli occhi: perché usare il nome Giona, che va a richiamare uno dei profeti biblici?
È una domanda che mi hanno fatto in più occasioni. In realtà mi son ricordato del Giona biblico successivamente. A livello teologico ritrovo dei riscontri, in quanto questo è un personaggio che subisce diverse angherie. A dire il vero avevo un mio parente, a cui ero molto affezionato, di nome Giona, ma in realtà la cosa più semplicissima del mondo sta nella via in cui abitavo, che appunto riportava questo nome. Quindi questo nome è sempre stato presente all’interno della mia vita.
Nel romanzo ha messo in luce la fuga di Giona, sottolineando che la sua scelta non sia stata proprio felice; perché questo?
Perché credo che ci si abitui troppo facilmente al male. Tendenzialmente noi siamo una specie che tende ad adattarsi a tutto. Nello stesso tempo ci abituiamo alle cose più terribili, il ché rischia di diventare consuetudine, facendoci perdere di mira la nostra reale natura. Nello specifico la fuga rappresenta per Giona, dal punto di vista evolutivo, un errore madornale, perché scappando di casa sfugge alla quotidianità per abbracciare un universo sconosciuto. Anche noi come Giona siamo terrorizzati da quello che non sappiamo.
Altro aspetto importante emerso dalla trama è che la verità non è scritta nel libro, ma viene dal pubblico; ci puoi spiegare meglio? Qual è la verità che vuole far emergere dal libro?
Non so se c’è una verità che voglio far emergere, l’unica cosa che ho cercato di trasmettere è che non esiste una sola chiave interpretativa; ho tenuto ad evidenziare quest’aspetto. Mi piace che le conclusioni le tiri il lettore, non voglio mettere nessuna verità in bocca a nessuno. Ognuno può trarre il proprio significato, perché nel mio romanzo non è definito alcun finale.
Quanto di personale c’è in questo romanzo?
Ti do due risposte, una accademica e l’altra personale. A livello accademico, ogni autore racconta se stesso, mette dentro la sua esperienza, è il modo di vedere la realtà in base a quello che gli è accaduto. Mentre la risposta personale è che nel romanzo c’è molto di mio, scrivo con una regola: si scrive soltanto di ciò che si conosce. Quindi di personale c’è ogni emozione che mi è accaduta nella vita. Ho dovuto attingere a quello e ci sono stati momenti in cui non volevo assolutamente scrivere dei passaggi e mi rifiutavo, in ogni modo, di ammettere tutto ciò. Oltre ogni più rosea aspettativa ho deciso di continuare, perché qualcosa che riguarda me ed è l’unico modo per essere sinceri con il pubblico.
Mi ricollego alla sua risposta: quale ambito predilige di più? Essere sé stessi oppure scrivere per vendere?
Amo continuare sulla mia strada, senza badare alle vendite, perché se avessi voluto questo avrei scritto tutt’latro romanzo. Ovviamente ognuno spera di essere il caso letterario, ma conta solo ciò che senti dentro.
Per concludere, un’ultima curiosità: qual è il suo sogno nel cassetto?
Il mio sogno è quello di essere prodotto all’estero, ci stiamo lavorando ma non è così semplice. Ci tengo a precisare che non lo faccio per la fama, ma per puro piacere, perché a volte l’Italia tende ad essere un po’ desolante da questo punto di vista.