Dedicato a Giampiero Boniperti,
che accolse nella Juventus
l’energia tutta sicula di Anastasi e Schillaci
“… La folla – unita ebbrezza – par trabocchi nel campo: intorno al vincitore stanno, al suo collo si gettano i fratelli. Pochi momenti come questi belli, a quanti l’odio consuma e l’amore, è dato, sotto il cielo, di vedere …”. Umberto Saba, giuliano e tifoso della Triestina, così descriveva, nella nota poesia “Goal”, la partecipazione dei tifosi nel momento topico di una partita di calcio, cioè aver messo il pallone in rete.
In luogo della squadra alabardata adriatica, potremmo inserire i rosanero del Palermo, i rossoazzurri del Catania, i giallorossi del Messina o altre compagini – e sono moltissime – della Sicilia, senza scalfire l’emozione e la cristallizzazione di essa nei versi.
In Trinacria, il calcio è seguitissimo, come in Italia, in Europa e in quasi tutto il mondo. C’è una tradizione di club siculi nella massima serie, cioè quelli delle succitate tre città che, per inciso, sono tre realtà urbane tra le principali della nostra Nazione.
La storia ha registrato vicende particolarissime, come quella del Licata Calcio di fine anni Ottanta. La cittadina agrigentina, affacciata sul mare e con lo sguardo verso l’Africa, non solo ha raggiunto, sul piano sportivo, il traguardo della serie B – non poca cosa, per una realtà di tre decine di migliaia di abitanti – ma ha schierato, nella rosa, quasi esclusivamente giocatori siciliani.
Come allenatore, da quelle parti, era già passato un boemo divenuto praticamente palermitano. Il suo nome? Zdenek Zeman.
Franz e Ciccio
Il primo storico Capitano della nazionale – che all’epoca era considerato anche capo carismatico e in pratica allenatore – è stato un siciliano: Francesco Calì, nato nel 1882 a Riposto, nel catanese.
Fu lui a guidare in campo i compagni, il 15 maggio 1910, in occasione della prima storica partita giocata dall’Italia, che sconfisse i francesi con un perentorio 6 a 2.
Curiosamente, Calì non è stato chiamato Ciccio come pur si usava e si usa in Sicilia per chi reca il nome Francesco, bensì Franz. Facendo un balzo di decenni, ecco un altro Franz, quel Beckenbauer protagonista tra i tedeschi: non solo campione del mondo nel 1974, ma uno dei più grandi atleti a livello mondiale, massimo interprete del ruolo di “libero”, nonché Capitano e, anni dopo, allenatore della sua rappresentativa nazionale. Come il “nostro” Franz ma, beninteso, senza il cuore siculo da Ciccio.
C’è una spiegazione, nel nome attribuito a Calì che accomuna le sue gesta e quelle di Beckenbauer.
Invero, il ripostese iniziò la sua carriera calcistica in Svizzera, dove il padre, commerciante di vini, era emigrato per cercare una fortuna non ravvisabile in patria: i pirati depredavano, con asfissiante continuità e relativo disastro imprenditoriale, le sue navi cariche del nettare di Bacco. Meglio cambiare aria.
Tornò in Italia, però, Franz e, nel 1901, vestì la maglia del Genoa. Successivamente, dal 1902 al 1912, quella dell’Andrea Doria, prodromica all’attuale Sampdoria (che, in effetti, nacque nel 1946 dalla fusione tra detta squadra e la Sampierdarenese: la bella maglia blucerchiata è emblema della unione tra i due iniziali sodalizi).
Dopo aver appeso le scarpe al chiodo, tra il 1912 e il 1921, fu membro della commissione tecnica della nazionale. A Calì, con l’accento sulla “i” come Platinì, il Comune di Riposto e il Comune di Genova hanno intitolato una via. Anche la Nazionale di calcio l’ha ricordato in occasione dei festeggiamenti per il Centenario degli Azzurri (che, a dirla tutta, iniziarono nel 1910 con una maglia bianca, assumendo diverso colore nel 1911, forse per ispirazione savoiarda).
Secondo tradizione siciliana, Ciccio era il diminutivo di Francesco Battiato, anche lui di Riposto o, per meglio dire, di Ionia, entità comunale che univa, per volere del regime fascista, i centri di Riposto e della vicina Giarre. Evidentemente, egli non poteva che esser chiamato Ciccio, quando giocava a calcio da dilettante, come difensore, nella squadra locale. “Il calcio mi ha trasmesso sensazioni metafisiche: quando andavamo in trasferta, nei vari paesi siciliani, avevo l’impressione che ogni paese fosse avvolto da una specie di personalità, che dava un sapore diverso a ogni luogo” – ebbe a sostenere anni dopo.
Anche se si definiva un “libero elegante e raffinato”, e magari pensava di essere proprio come il coetaneo Franz tedesco – entrambi classe 1945 –, non aveva però la stoffa del giocatore. Fortunatamente lo capì, lasciò il calcio e diventò un “elegante e raffinato” musicista.
Fu una fortuna anche per chi lo ammira nei suoi testi e nelle sue musiche. “E ti vengo a cercare … anche solo per vederti o parlare … perché ho bisogno della tua presenza … per capire meglio la mia essenza”: certamente meglio dello “spazzare l’area di rigore”, dell’innesco di un “contropiede” o dell’esibirsi in uno “stop di petto”!
La passione per il calcio non l’abbandonò. Nel 1985, ad esempio, partecipò a qualche partita della nazionale cantanti, davanti a migliaia di tifosi. Forse Ciccio Battiato – purtroppo scomparso di recente, sicché è questa un’occasione per ricordarlo – pensava al calcio ogni giorno, allorquando si guardava allo specchio.
Infatti, il suo particolarissimo naso, che avrebbe presumibilmente portato il pirandelliano Gengé Moscarda alla più assoluta ossessione, era la conseguenza di un palo che “prese in faccia” dopo uno sgambetto patito in area di rigore. Un segno caratteristico, un traumatico “ricordo” della giovinezza sui campi di calcio, che forse ha reso il suo viso più interessante.
Petru u Turcu
Quanti calciatori, allenatori, presidenti siciliani sono entrati nella storia del calcio nazionale! Gesta, imprese sportive ma anche frasi memorabili e curiosità.
Si pensi ad almeno quattro picciotti innamorati del pallone: Pietro Anastasi, Salvatore Schillaci, Franco Scoglio e Angelo Massimino. Su ognuno di loro sono stati scritti libri e centinaia di articoli. Tre di loro non ci son più e vivono nel ricordo di milioni di appassionati.
Pietro Anastasi, detto Petru u Turcu per le fattezze non esattamente scandinave, proveniva da famiglia economicamente disagiata e non mostrava grande propensione per gli studi. Aveva, però, un immenso talento calcistico.
Sedicenne, riparava termosifoni e segnava gol a raffica con la Massiminiana, la squadra dei fratelli Massimino. Sarebbe diventato il bomber della Juve, dell’Inter e della Nazionale.
Si narra che la sua carriera sia legata a un bel gesto di Alfredo Casati, direttore sportivo del Varese calcio. Il 24 aprile 1966, Casati, trovatosi in Sicilia per assistere al match Catania – Varese, era in procinto di partire.
Tuttavia – come racconta Nicola Calzaretta (in “La mia Juve meridionale – Guerin Sportivo, Bologna, maggio 2015) – “invece di prendere l’aereo con la squadra, lascia il posto a una donna incinta”.
Avendo un giorno libero ne approfittò per vedere, insieme a oltre ventimila spettatori, Massiminiana – Paternò. Era il 25 aprile 1966 e si giocava una partita fondamentale del campionato di serie D, fra le due compagini etnee. Quel giorno è lo snodo della vita di Petru u Turcu. È in quell’occasione, difatti, che Casati notò le doti sportive del giovanissimo Anastasi che, di lì a qualche ora, venne contrattualizzato. Per Petruzzu si aprirono le porte del grande calcio, in quel di Varese. Nel 1968, il club lombardo cedette il calciatore alla Juventus per la cifra record di seicentocinquanta milioni di lire. Il destino, come capita sovente, ha in un certo qual modo premiato la generosità cavalleresca di Alfredo Casati.
Anastasi è stato il simbolo e l’eroe dei meridionali che per lavoro si trasferivano al nord, ma anche dei meridionali che rimasero al Sud. Petru u turcu, a vent’anni appena compiuti, contribuì con un gol – nella finale ripetuta del 10 giugno 1968 contro la Jugoslavia – alla vittoria dell’Italia nel campionato europeo.
Scrisse Gianni Brera: “Un destro a mezzo volo che parve un picchio inopinato“.
Raccontò il calciatore: “Mia madre mi riferì che Catania era impazzita. Una donna catanese, incinta, al mio gol fu colta dalle doglie. Partorì e il maschietto lo chiamarono Pietro”. Ed ecco il suo animo di ragazzo semplice: “Dopo la finale degli Europei mi sono visto con i miei amici e siamo andati a giocare sulla sabbia di Ognina”.
L’altro gol fu di Rombo di Tuono, Giggirriva. La partita terminò col punteggio di 2 a 0. Questa la formazione dell’Italia di Ferruccio Valcareggi: Zoff, Burgnich, Facchetti, Rosato, Guarneri, Salvadore, Domenghini, Mazzola, Anastasi, De Sisti, Riva. Petru si ammantò di gloria calcistica e dal 2020 è nella Hall of Fame del calcio italiano.
Il Totò siciliano
Salvatore Schillaci, il Totò palermitano, condivide con Anastasi una provenienza non facile, tra difficoltà economiche familiari e un marcato disamore per la scuola. Anche lui, come u turcu, giocò nella Juventus, nell’Inter e nella Nazionale ed è stato un simbolo per i meridionali. Totò, all’inizio della carriera, giocò anche a Messina. Fuuno dei “bastardi” del Professore Scoglio, che vinsero il campionato1985/1986 di serie C. Il presidente era Turi Massimino o frati di Angileddu. Ossessionato positivamente dalla tattica, il Professore dava disposizioni a tutti i giocatori tranne che a Totò. “Questo mi caricava a mille proprio in virtù di questa libertà che mi concedeva sul campo di gioco. Ho imparato tantissimo dalla sua persona – asserì poi Schillaci – e non smetterò mai di ringraziarlo. Con lui e i compagni di allora abbiamo reso ai messinesi anni fantastici”.Totò è ricordato ovunque per le notti delCampionati del mondo 1990 in Italia. Partì come riserva di Carnevale – che, allora, era bomber nel Napoli di Maradona e Careca e che, anni prima, aveva giocato nel Catania di Angelo Massimino – ma, nel corso del torneo, la situazione si ribaltò, sicché fu Totò ad avere l’egemonia rispetto al compagno di ruolo.
Ancora Schillaci, con più di un pizzico di modestia: “Nemmeno un folle avrebbe mai potuto immaginare cosa mi stava per accadere. Ci sono periodi nella vita di un calciatore nei quali ti riesce tutto. Basta che respiri e la metti dentro. Per me questo stato di grazia è coinciso con quel campionato del mondo. Vuol dire che qualcuno, da lassù, ha deciso che Totò Schillaci dovesse diventare l’eroe di Italia ’90”. Segnò il primo gol, agli austriaci, dopo soli quattro minuti dall’ingresso in campo e a fine torneo fu il capocannoniere nonché il miglior giocatore del torneo planetario. Insomma, la riapparizione, nel proscenio mondiale, di una nuova figura di campione da amare come Paolo Rossi. Grazie a Totò, l’Italia si classificò al terzo posto.
“Notti magiche, inseguendo un goal, sotto il cielo di un’estate italiana, e negli occhi tuoi voglia di vincere, un’estate, un’avventura in più”, cantavano Bennato e Nannini. Occhi che esprimono la voglia di vincere. Avete presente lo sguardo di Totò Schillaci, i suoi occhi sgranati verso un mondo da prendere a morsi?
(Continua domani)