Il nostro mondo interiore è abitato da demoni, se e quando riescono ad avere momentaneamente la meglio possono logorarci. La mente nel tentativo vano di capire, i sensi nella lotta impari di contrastarli. Allora la poesia fuoriesce non come fiume, piuttosto come denuncia meditata della realtà che ci attraversa, una realtà osservata secondo la propria prospettiva e restituita, in apparenza, mediante filtri. Solo un lettore accorto si renderà conto della crudità di ogni verso, dello scorticamento della pelle per restituire questo intimo sentire in lettere.
La poesia di Vincenzo Calò racchiude perfettamente questo essere cosciente e consapevole della fase che viviamo e non vuole e non cerca neanche di mitigare le parole. “La sicurezza e il pensiero cardiopatico”, non è una lettura per tutti. Le menti assuefatte non potranno mai percepire (perché capire è impossibile) cosa si nasconde in versi come questi:
“puliremo dipinti/come pericoli da risolvere/tra contatti rinviati all’emotività. Spetta a noi rischiare una politica/tra incontrollabili posti di lavoro/indifesi, fino a schierarci al centro dell’inevitabile.”
O ancora:
“Nei chiari fori fatti all’ottimismo che gira/ si raddrizzano i doveri/ col debito firmato dai pazzi”.
E poi:
“La chiarezza separa i cittadini dagli scrutatori/ agita il vino nella politica che accetta i ritocchi al tempo/ del ricatto/ tra preghiere congelate, firmate in chiese chiuse/ che puzzano d’orientamento.”
Questo andare fuori ogni logica apparente, scavalcando possibili richiami musicali e comunque, mai conformarsi, facendo della propria unicità del sentire, tratto predominante e accattivante dell’intera raccolta. Tutte le qualità positive sembrano svanire assecondando quel “male di vivere” ben noto a chi non si ferma in superficie. E scavare, deteriorarsi, vietato piegarsi, sapendo a priori di non poter vincere. Lo scopo, a mio avviso, non è né la conquista, nel senso stretto del termine, né la sconfitta come status prevalente. Si potrebbe osare nel dire che l’autore voglia donare una visione, scrivere l’esistenza e non mimare sopravvivenza.
Un soffio di tramontana
Percepisco l’amore accusando un dolore di tempo andato e tornato
in un posto migliore del paradiso, col rischio d’essere vero
e una cannonata alla gola per volta, da stancare
risparmiando la ragione al bacio
la parola buffa, da sbucciare come l’arancia andata a male nevicando
su progetti vuoti, pieni di quell’inquietudine fin troppo salata
completamente fuori dall’intimo ridicolizzato
da una fede che annulla l’altra accennando alle belle idee sul nascere.
E ti ritrovi stupido, col dono che sei e l’orrore d’ascoltare
maturando più del dovuto, nell’ego per sognare l’onestà che
non possiamo mai perdonarci, il rifiuto da lavorare
a un livello così eccelso che dimentichi di rispondere
sentendo l’aria, il dispiacere di stare da soli
per fare qualcosa di divertente, di più.
Ci serviamo della mente affondata nello sguardo complice
così piano da dare alla vita fabbricanti di un attimo di carattere
di quel destino da scuotere ora e basta
smettendo d’immaginare la bandiera della libertà strattonata da un soffio
di tramontana.