Per l’enciclopedia Treccani è impostóre s. m. (f. –a) [dal lat. tardo impostor –oris, der. di imponĕre nel senso di «far credere»] chi , abusando della credulità altrui e allo scopo di trarne vantaggio, fa uso sistematico della menzogna, o finge di essere e di sapere più di quanto sia e sappia, o diffonde teorie, informazioni false. La definizione è corroborata da l’eloquente citazione di Nicolò Tommaseo : l’ipocrita ha meno parole, l’impostore è loquace, cerca le moltitudini da ingannare (Tommaseo).
Su questa categorizzazione umana sono stati scritti fiumi d’inchiostro che, dato l’alto indice di radicalizzazione nelle relazioni interpersonali, sono best seller. Ciascuno possiede un vasto repertorio aneddotico che integra le personali narrative, quel patrimonio esperenziale a cui attingere per mettere al riparo se stessi e chi sta a cuore dal pericolo di imbattersi in un impostore. Considerando l’elevato livello di proliferazione della tipologia è ragionevole pensare che ogni strategia deterrente potrebbe rivelarsi efficace solo nei confronti dell’impostore “viator”, in transito. Ma quando l’impostore è chi detiene il potere e per consenso di casta ovvero acquisito per circonvenzione dell’altrui credulità la cosa si complica al punto da ridurre al minimo (se non ad esautorarle) ogni legittimo tentativo di smascherare gli inganni presenti in quanto dichiara, persino le palesi contraddizioni in termini proprie delle imposture.

Il doppio inganno, dipinto di Lorenzo Lippi
Spostando l’analisi sul piano scientifico la evocata incidenza fenomenica ha persino indotto due studiose, le psicologhe Pauline Clance e Suzanne Imes, a coniare nel 1978 il temine di sindrome dell’impostore (dall’inglese impostor syndrome, o anche impostor phenomenon) per descrivere una condizione psicologica particolarmente diffusa fra le persone di successo, caratterizzata dall’incapacità di interiorizzare i propri successi e dal terrore persistente di essere smascherati in quanto “impostori”[1]. Secondo lo studio originale, la sindrome dell’impostore particolarmente comune fra le donne di successo[2] sarebbe correlata a quell’aspetto del cosiddetto effetto Dunning-Kruger, una distorsione cognitiva a causa della quale individui inesperti tendono a sopravvalutarsi, rifiutando di accettare la propria incompetenza e viceversa[3]. Similmente a questa sindrome, persone competenti tendono a sminuire il proprio reale valore o considerare alla portata di chiunque altro le sfide che questi hanno vinto[4]. Fatta questa premessa è legittimo chiedersi: il paradosso della società di oggi? Alla perfezione dei mezzi sempre più perfetti si contrappone la confusione dei fini nelle volontà dei decisori, proclivi, per ignoranza, inettitudine o vocazione ad alleanze opportunistiche per trarne esclusivo vantaggio personale, alla negazione del passato e dei valori condivisi nel tempo.
Una società tecnologica e opulenta, infarcita di falso umanitarismo e profondamente disumana, democratica a prole, totalitaria in pratica non può affermare valori umani ma soltanto consolidare rapporti tra anime artificiali.
Un interessante studio della Dra. Jesica Naanous Rayek[5] evidenzia che L’eziologia di questa sindrome non è ben definita, anche se alcuni fattori che la favoriscono sono la bassa autostima, l’eccessiva attenzione alle critiche, la personalità perfezionista, gli stereotipi di genere, la mancanza di riconoscimento e di convalida nell’infanzia, così come l’avere (o aver avuto) genitori iperprotettivi o ipercontrollati, l’accettazione distorta del successo e la paura del fallimento o del rifiuto. In alcune persone può sovrapporsi all’ansia sociale e ai casi di discriminazione.
Esistono cinque varianti di questa sindrome:
- Perfezionista: persone altamente competitive che puntano alla perfezione, fissando obiettivi e standard praticamente irraggiungibili. Un piccolo errore equivale al fallimento e alla vergogna.
- Genio naturale: in questo caso il fatto di dover lavorare duramente per padroneggiare un’abilità o una materia equivale a un fallimento.
- Solista: in questo gruppo ci sono persone che, quando chiedono aiuto, considerano questo fatto una sconfitta perché dovrebbero essere in grado di raggiungere l’obiettivo da soli.
- Esperto: si sente un impostore perché non sa tutto quello che c’è da sapere su un determinato argomento o non ha padroneggiato tutte le fasi di un processo. Poiché ha ancora molto da imparare, non sente di aver raggiunto il rango di “esperto”.
- Superuomo: persona che “deve” essere la migliore in più ruoli, se fallisce in un ruolo sente di aver fallito in tutto.
Questa alterazione della realtà può portare alla depressione (compresi i pensieri autodistruttivi), all’ansia, alla diminuzione della fiducia e dell’autostima, nonché alla paura di essere scoperti come truffatori, che a sua volta può portare al burnout e all’isolamento sociale.

La menzogna domina il potere di Sandro Botticelli
Insomma la menzogna è terribilmente lesiva per sè e per gli altri oltre che stressante ma, e ora traslo il concetto sul piano economico, redditizia e non a caso “virtu” della politica e del malaffare. Vi campeggia facendo scempio di ogni pudore e misura, nella certezza di poter dominare persino quelle menti che, per pietà, “fanno finta” di farsi abbindolare dalle dichiarazioni palesemente ipocrite ovvero autoreferenziali (presunti titoli o presunte imprese eroiche solidali) generatrici di deprimenti casi (patologici) di “obscurum per obscurius” e mirabilia.
Non è semplice resistere alla tentazione di salire sul palcoscenico e avere la modestia di confondersi nel coro.
[1] Pauline Rose Clance e Suzanne A. Imes, The imposter phenomenon in high achieving women: Dynamics and therapeutic intervention. (PDF), in Psychotherapy: Theory, Research & Practice, vol. 15, n. 3, 1978, pp. 241–247, D
[2] Young, Valerie., The secret thoughts of successful women : why capable people suffer from the impostor syndrome and how to thrive in spite of it, Crown Business, 2013, ISBN 978-0-307-45273-3, OCLC 869741509
[3] Scotwork Italia, La Sindrome dell’Impostore e la sua Maledizione nella Negoziazione | Scotwork Italia, su Scotwork..
[4] Justin Kruger e David Dunning, Unskilled and unaware of it: How difficulties in recognizing one’s own incompetence lead to inflated self-assessments., in Journal of Personality and Social Psychology, vol. 77, n. 6, pp. 1121–1134
[5] La dottoressa Jesica Naanous Rayek è specialista in medicina interna, si è laureata come medico chirurgo presso l’Universidad Anahuac México Norte e attualmente fa parte dell’équipe medica del Centro Medico ABC di Città del Messico, in Messico. Lo studio citato è stato pubblicato originariamente su Medscape edizione in spagnolo, parte del Medscape Professional Network e, successivamente su https://www.univadis.it/ dell’1 gennaio 2025.
(foto di copertina: La menzogna e il menzognero, dipinto di Giovanni Bellini)
Restiamo vigili di fronte alle maschere che, pur seducenti, celano le crepe profonde della nostra umanità condivisa.
Esprimo profonda gratitudine per questo articolo che illumina con sguardo penetrante l’intricata dinamica tra verità e inganno, che permea tanto le sfere personali quanto quelle del potere politico. L’uso sapiente delle opere d’arte di Lippi e Botticelli non è mera decorazione, ma un dialogo visivo che amplifica la tensione tra apparenza e sostanza, conferendo alla narrazione una forza evocativa capace di superare le barriere del tempo. Ogni figura evocata, dall’impostore loquace al leader opportunista, diventa il simbolo inquietante di una società iperconnessa e tecnocratica in cui il divario tra essere e sembrare si traduce in un’ingannevole armonia di maschere. Il richiamo alle ricerche di Clance e Imes, insieme all’analisi di Naanous Rayek, rappresenta un esempio magistrale di come la scienza psicologica possa intrecciarsi con una riflessione sociale critica, delineando con precisione chirurgica la fragilità identitaria che l’impostura infligge tanto al singolo quanto alla collettività. Non è solo un catalogo delle varianti della sindrome dell’impostore, ma un viaggio nelle distorsioni della percezione umana, che si amplificano nel rumore del consenso. È particolarmente incisiva l’analogia tra queste cinque varianti e la sofferenza emotiva che ne deriva: un’elegante rappresentazione della lotta interiore tra autenticità e simulazione, dove l’identità si frantuma sotto il peso di standard irraggiungibili e della ricerca compulsiva di approvazione sociale. La maschera, da simbolo estetico, diventa trappola etica, artefatto per costruire un dominio basato sull’obscurum per obscurius, in cui la verità si dissolve in un’oscurità deliberata e calcolata. E qui il post non solo interpreta, ma offre un atto di resistenza simbolica: un monito a non lasciarsi sedurre dall’eleganza di un’impostura ben orchestrata. La verità non ha bisogno di clamore, ma di quel rigore morale che si manifesta nel coraggio di una trasparenza senza compromessi. In un’epoca dove l’eccesso di narrazione si confonde con la sostanza stessa, guardare oltre la superficie richiede la saggezza di chi non teme di riconoscere il proprio riflesso nelle crepe altrui. Questa riflessione affonda le radici in una verità senza tempo: solo la consapevolezza di ciò che ci inganna ci restituisce il potere di discernere l’autenticità. È un invito, sobrio e raffinato, a restare vigili di fronte alle maschere che, pur seducenti, celano le crepe profonde della nostra umanità condivisa.