Premessa
Dici “Targa Florio” e hai l’impressione che le ruote delle autovetture siano le ruote della vita e che i motori siano cuori che battono al ritmo dei paesaggi di Sicilia. Tanti cuori e tante vite, quel pulsare di esistenze gaie o dolenti che hanno caratterizzato l’arco temporale dalla prima competizione, nel 1906, fino ai giorni nostri. Due guerre mondiali, molteplici forme di governo, personaggi elevati sugli altari e visti infine nella polvere, il cantare la luna per poi raggiungerla, l’energia divenuta nucleare, la Sicilia tra essere e dover essere. Varie generazioni interessate, spettatrici, partecipanti, ammiranti. Piloti e vetture, lanciate tra le strade di Trinacria: nuovi cavalieri su destrieri ferrei, un romanticismo vestito di modernità.
Tra i monti che in Sicilia san essere monti veri o, per scherzo della storia, in un circuito della capitale che sa essere capitale vera (Palermo lo è), la Targa Florio, la competizione automobilistica più antica al mondo, è presenza costante. Resistenza e resilienza senza mai apparire gattopardesca.
Accensione, colpo d’acceleratore e i freni come ricordi. Partenza.
L’inventore, Vincenzo Florio.
C’è sempre un artefice per le grandi imprese. Nella specie, parliamo di un imprenditore abile davvero nell’intraprenderle.
Uno nelle cui vene scorrevano idealmente, assieme al sangue, vino, acqua di mare e combustibile. Elementi di sicilianità, a ben pensare.
Vincenzo Florio, nato a Palermo nel 1883 e morto in Francia nel 1959, è l’ideatore della competizione che reca il cognome suo, dunque di una delle famiglie più rilevanti nella storia sicula. Oltre che imprenditore, fu pure inventore, grande appassionato di velocità, di automobili e di aeroplani. Partecipò, come pilota, a diverse gare automobilistiche con discreto successo. Dal 1915 al 1918, periodo in cui la Grande Guerra (o Inutile Strage) fermò la Targa Florio, egli combatté come volontario. Neanche a dirlo, Vincenzo fu arruolato come automobilista. Forse pensò a Marinetti che, nel primo manifesto futurista del 1909, scrisse, tra le altre cose, che “l’automobile è la guerra”. Lo diremmo anche noi oggi, pensando al superare indenni un incrocio in cui ci si comporta come in una mischia di trincea – ah, quell’inutile semaforo! – o quando lottiamo per uno spazio chiamato “parcheggio”.
Vincenzo diede il suo contributo ai destini della Patria, anche come inventore: voilà una nuova quattroruote, dalla sua idea! Si trattava di un autocarro, simile a un moderno fuoristrada, utile per trasportare munizioni e viveri in alta montagna. Il prototipo, denominato “Autocarro Vincenzo Florio”, venne prodotto dal 1916 dalla Itala fabbrica automobili e fu impiegato con apprezzamento.
Così descrivono Vincenzo gli amici della Targa: “Velocità, voglia di cambiamento e modernità: questi gli elementi principali della sua esistenza. Senza, nel contempo, dimenticare tradizioni e fierezza di una terra millenaria, ha dedicato ogni energia per donare alla sua vita e alla sua Sicilia nuove e migliori identità. Gentiluomo di altissimo spessore, ironico, colto, amante e discepolo dell’Arte, creativo, irrequieto, tenace, pilota coraggioso. Solo con tali caratteristiche poteva essere creata la più affascinante corsa automobilistica”.
Oggi possiamo dire che Vincenzo ha coronato il suo sogno. La Targa è sopravvissuta a lui ed è indissolubilmente legata alla Sicilia. “Il marchio Targa Florio appartiene alla Sicilia – ha dichiarato l’assessore Alberto Samonà – ed è profondamente radicato nella memoria di tutti, tanto da essere diventato elemento fortemente identitario dell’Isola. Il ’Brand Targa Florio’ rimane in Sicilia. Questa la rassicurazione che posso dare a tutti, dopo che l’assessorato regionale dei beni Culturali e dell’identità Siciliana ha apposto il vincolo di interesse culturale, che al momento rimane unico nel suo genere in Italia.
La storia
“Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un automobile da corsa, col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo … un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia. … . Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita”.
Frasi d’effetto, tratte dal Manifesto del Futurismo, pubblicato su “Le Figaro” il 20 febbraio 1909. Insomma, l’automobile – che allora era declinata al maschile, “un automobile” – era vista come condensazione dei valori portanti del movimento di Marinetti. Nel 1920, Gabriele D’Annunzio la declinò al femminile: “l’automobile è femminile. Ha la grazia, la snellezza, la vivacità di una seduttrice: ha inoltre una virtù ignota alle donne: la perfetta obbedienza”. Modernità, velocità. Eppure l’automobile era da poco nata, verso la fine dell’Ottocento, e, per taluni aspetti, era ancora in embrione. Basti dire che è del 1908 la produzione, negli USA, della “Ford Model T” (il “macinino” o “lucertolina di latta” di Stanlio e Ollio, per capirci), veicolo rappresentante la prima produzione di massa che, un lustro dopo, troverà sostegno nella catena di montaggio tayloristica.
La sfida è dell’uomo. Non può stupire, pertanto, che, con la creazione dei primi trabiccoli a motore, si generò la passione per la gara. La Paris-Rouen, svoltasi domenica 22 luglio 1894 su un tracciato di 126 chilometri, fu la prima competizione automobilistica di rilievo ma fu una gara isolata, senza seguito. In Italia, quando si pone mente a competizioni periodiche, si pensa alla Mille Miglia, cioè la Brescia-Roma e ritorno. Nata nel 1927, contò 24 edizioni, fino al 1957, come gara di velocità, per poi divenire una competizione storica.
In pochi, invece, pensano alla Targa Florio, che si svolgeva e si svolge tuttora in Sicilia.
Pochi considerano che tale competizione siciliana risale al 1906, compiendo proprio in questi giorni ben 105 anni. Concepita – tanto per riferirsi a quanto rammentato sopra – prima che i Futuristi esplicitassero il loro Manifesto e che Henry Ford attuasse una produzione veicolare davvero industriale.
Certo, è una storia tormentata, fatta di mutamenti, interruzioni, strumentalizzazioni e persino tragedie non solo sportive, basti pensare all’incidente che, nel 1977, provocò la morte di due spettatori. E per questo, dal 1978, per motivi di sicurezza, da gara di velocità diventò il Rally Targa Florio.
Ma è una grande storia.
Vincenzo Florio, nel 1905, ideò la sua “Coppa Florio”, facendola disputare in quel di Brescia (sì, dove più di venti anni dopo si pensò alla Mille Miglia, per compensare lo “smacco” del Gran Premio a Monza). Poi immaginò una location a lui più cara, la sua terra di Sicilia. Con il sapiente apporto di Henri Desgrange, direttore della rivista “L’Auto” nonché “padre”, nel 1903, del ciclistico Tour de France di ciclismo, la “Coppa Florio” divenne “Targa Florio”, nel circuito delle Madonie (il più lungo, ab initio). In effetti, come premio, c’era davvero una targa, in stile art nouveau, disegnata da René Lalique; e, ovviamente, pure una cospicua somma di denaro, cinquantamila lire. Vinse Alessandro Cagno, su una Itala, prevalendo sugli altri nove partecipanti (parecchi iscritti non riuscirono a raggiungere l’isola, a causa di uno sciopero dei marittimi). Cagno, detto Sandrin, un torinese che, da giovane meccanico, ebbe come cliente Giovanni Agnelli senior. Con il senatore fu poi sodalizio commerciale e tecnico. Cagno, poliedrico pilota d’auto, di aerei e di natanti: si dilettava con qualunque cosa avesse un motore, evidentemente.
La Itala, marca trionfante, è la stessa “casa” che, come si è detto, avrebbe prodotto dieci anni dopo, in piena Prima Guerra Mondiale, l’autocarro progettato da Florio.
Per dare luce alla Targa, venne impiegata la divulgazione a mezzo stampa. Ma, con grande acume, si pensò pure a facilities per i partecipanti e per il pubblico, sconti ferroviari, trasporti gratuiti delle vetture dei concorrenti sulle navi Florio. Aiutato anche dalla cognata Donna Franca, Vincenzo organizzò eventi all’interno della cosiddetta “Primavera Siciliana”, grande kermesse di moda, sport, cultura e mondanità. I trofei e le medaglie per i vincitori erano poi delle vere e proprie opere d’arte commissionate ad artisti di valore, come il citato Renè Lalique, Duilio Cambellotti, Henry Dropsy. Tanti anche i letterati e i pittori coinvolti per dare lustro alla Targa e alla stessa Sicilia.
Madrina della prima edizione non potette che essere lei, Donna Franca Florio, la Regina senza Corona della Sicilia. Un tocco di raffinatissimo glamour per la manifestazione. Furono decine di migliaia, e provenienti da ogni parte del mondo, i turisti in Sicilia per la Targa Florio e per gli altri eventi ideati e concretizzati dal vulcanico Vincenzo. “… Venga sicuro l’automobilista straniero fra le montagne di Sicilia, e se la sua macchina si arresterà fra le gole brulle e selvagge, non abbia timore; il montanaro non gli spianerà il fucile, ma gli offrirà la sua casa. Non gli chiederà la borsa, ma gli darà dei fiori di campo e si adonterà dell’offerta di un compenso venale …”. Così scriveva il barone Jacona della Motta, padre di Franca Florio, sulla rivista “Rapiditas”. Frasi che fanno intendere come fosse allora vista la Sicilia dai forestieri ma, al contempo, frasi che dimostrano grande orgoglio e grande amore per la Sicilia e soprattutto per i siciliani. E diciamo pure che rispecchia la realtà l’immagine del siciliano che offre la sua casa e dona fiori. Generosità e accoglienza sono tipiche della gente dell’isola.
La prima edizione fu un successone. Ci si convinse della ripetibilità della competizione.
Caltavuturo, Campofelice di Roccella, Castelbuono, Castellana Sicula, Cerda, Collesano, Geraci Siculo, Isnello, Petralia Soprana, Petralia Sottana, Polizzi Generosa, Scillato: sono i principali centri, tutti nell’area delle palermitane Madonie, toccati dal tracciato della gara. A Collesano, dal 2004, c’è un museo dedicato alla Targa Florio.
Considerando i tracciati delle Madonie, con i circuiti piccolo, medio e grande, si è giunti persino al dimezzamento passando da 148 km a 72 km. Ma occorre aggiungere che la denominazione “Targa Florio” venne data pure, a poco tempo dalla nascita della competizione, al giro consistente nel periplo della Sicilia (così negli anni 1912, 1913, 1914). Non si può dimenticare, inoltre, che le edizioni del 1937, 1938, 1939 e 1940 si svolsero su un tracciato di circa cinque chilometri, all’interno del Parco della Favorita di Palermo, secondo i desideri – parrebbe – della dittatura fascista, che vide, nella gara, l’occasione per una delle tante parate di regime. Un po’ come mettere i leoni in gabbia affinché gli spettatori applaudano per versi innaturali e sconfortati, del tutto avulsi dalla savana.
Macchine, piloti e … prima “pilotessa”
La Targa Florio è entrata nella leggenda, per tanti motivi: per la bellezza del circuito, per la brillante e moderna operazione di marketing, per l’impulso dato dal movimento futurista, per la partecipazione delle maggiori case automobilistiche, tra cui Itala, Porsche, Ferrari, Alfa Romeo, Lancia, Bugatti, Maserati,Mercedez-Benz, Itala,Peugeot, Isotta Fraschini, Aston Martin. Per i piloti famosi e amati dalla folla, le cui gesta venivano immortalate da apparecchi fotografici e soprattutto cineprese, nonché esaltate dalla stampa e raffigurate in bellissimi dipinti. Epica borghese e quasi idolatria. Tra i tanti, si ricordano Gendebien, Biondetti, Fangio, Stirling Moss, Taruffi, Castellotti, Von Trips, Jacky Ickx, Ignazio Giunti, il Barone Pucci, Jo Siffert, Jo Bonnier, Graham Hill, Arturio Merzario, Varzi, Nuvolari, Gaetano Starrabba di Giardinelli. Nelle cinque edizioni a partire dal 1919, a bordo di una CMN (nel 1919) e di un’Alfa Romeo (nel 1920, nel 1921, nel 1922 e nel 1923), si cimentò un giovane emiliano che, di lì a non molto, avrebbe assunto un ruolo primaziale nel mondo della velocità competitiva e della produzione automobilistica: Enzo Ferrari
Un altro pilota mitico della Targa fu il palermitano Nino Vaccarella, vincitore nel 1965, nel 1971 e nel 1975 “Dopo la mia vittoria del 1965 con la Ferrari 275 P2 il sindaco di Collesano, uno dei paesi attraversati dalla gara, mi diede la cittadinanza onoraria. Nella domenica fissata per la cerimonia c’era anche la processione della Madonna, un evento di grande devozione cui tutta la cittadina prendeva parte. La processione che seguiva la statua della Madonna portata a spalla stava passando proprio nel momento in cui sono arrivato io. Non ho creduto ai miei occhi: la gente ha cominciato a gridare, Vaccarella! Vaccarella! Mi sono venuti attorno e perfino quelli che portavano la statua l’hanno posata a terra per potermi festeggiare. Ero imbarazzato, una cosa incredibile!”.
Partecipò alla Targa anche la prima donna pilota, Maria Antonietta Bellan, nata nel 1889 a Contarina Veneto in provincia di Rovigo e sposata col barone Avanzo, dal quale prenderà il cognome. Bella, coraggiosa, elegante, ricca ed eccentrica, si muoveva con disinvoltura nell’ambiente delle corse. La sua vita, conclusasi nel 1977, fu sicuramente intensa. Nel 1920 disputò la sua prima Targa Florio al volante di una Buick. C’è un aneddoto che lega Maria Antonietta a Enzo Ferrari. Narra la leggenda che, in occasione della Targa del 1922, Ferrari avesse furtivamente messo le mani sull’Alfa ES Sport di Maria Antonietta, smontando da essa il carburatore per un cambio non proprio alla pari: nella vettura dell’uomo sarebbe stato inserito il funzionante pezzo asportato, al posto di uno difettoso da piazzare nella suddetta Alfa. Fuori di sé, Maria Antonietta si sarebbe rivolta al capomafia locale per vendicarsi ed egli le avrebbe promesso di portarle, insieme al carburatore, il cuore dell’infame. Maria Antonietta prese sul serio le parole del boss e spaventata cambiò idea. Rinunciò al favore e Ferrari ebbe quindi il tempo e il modo di diventare Ferrari. Leggenda, appunto.
Tanti anni dopo, nel 1969, intervistata sull’episodio, la signora Bellan narrò una storia diversa. Nulla di cruento, ma sempre un “favore” non proprio innocente: aveva accettato la protezione che le era stata offerta da un personaggio influente e, a seguito di ciò, dopo un segnale convenuto, venne agevolata poiché grosse pietre furono gettate sulla strada e molte pecore vennero condotte sulla sede stradale, così da rallentare gli avversari. Roba da cartoni animati. Ma Hanna e Joseph Barbera – quest’ultimo di origini siciliane – conoscevano la storia di Maria Antonietta Bellan? Pensiamo a Penelope Pitstop, la “pilotessa” del Wacky Races …
Maria Antonietta era in confidenza con personaggi famosi come il Gabriele d’Annunzio che la chiamava “Nerissa”, per i suoi occhi e i capelli neri; ma anche gli Agnelli, da cui ebbe in dono una spilla di brillanti a forma di volante. Dopo una gara su una pista polverosa e pericolosissima, la stampa australiana la ribattezzò “The Special Queen”. Una Regina Speciale che, durante la seconda guerra mondiale, salvò alcuni ebrei dall’olocausto e, come riporta Wikipedia, nel 1956, a 67 anni, si recò in jeep al confine austro-ungherese per accogliere i profughi della Rivolta di Budapest. Chapeau!
Conclusione
Non dire ad assolate strade mille-curve di Sicilia che il vento può essere solo scirocco o libeccio, potendo essere, il soffio, quello della velocità di una vettura che sfreccia. E non dire ai muli e ai carretti che i cavalli-motore e le ruote san mordere meglio il tracciato.
La Sicilia aveva assaporato, con la prima edizione della Targa, piloti che spingevano i mezzi al galoppo, aveva voglia di registrare ancora movimenti e suoni pressoché mai apparsi e uditi prima.
Sicilia: passi misurati, silenzi e poche parole accennate, semmai integrate da sguardi e gesti aviti.
Si può mettere il mostro d’acciaio, rampante e velocissimo, in un contesto in cui persino il tempo pare adeguarsi al pensiero meditato, in cui non c’è lentezza o celerità, semmai il fluire delle cose scandito dai piccoli e immensi cenni del creato, assaporabili in Trinacria? Si può, proprio perché è Sicilia. Universo Sicilia, gli estremi in Sicilia. Sicilia da passo e da corsa. D’altronde, le gambe della Trinacria non son forse in movimento?
Ed ecco, dunque, che la polvere, in quel dì maggese del 1906, venne sollevata dal galoppo senza destrieri. Stupore e fascino per qualcosa di nuovo.
“Giufà ne ha sentito parlare, di questi carri di ferro che corrono soli su quattro ruote, senza un mulo o cavallo che li tiri; e fanno rumore, e mandano lampi …. Era il 6 maggio, giorno della prima Targa Florio, ma Giufà che ne sapeva?” – scrive il comisano Gesualdo Bufalino nel racconto “La Morte di Giufà” , pubblicato nel 1986.
Era un sogno. Un sogno d’autore, targato Florio.