In Italia, essere dichiarati invalidi civili con una percentuale tra il 75% e il 99% non garantisce soltanto una condizione di salute precaria, ma anche un insulto economico. Con un assegno sociale di appena 300 euro al mese, a questi individui non viene data la possibilità di vivere dignitosamente, ma solo di sopravvivere, e a stento. Peggio ancora, chi è riconosciuto invalido al 100% riceve una pensione di inabilità di circa 700 euro mensili, ma anche questo importo viene erogato con limiti reddituali talmente stretti che impediscono a oltre la metà degli invalidi di ricevere l’intera somma (addirittura viene considerato il reddito del coniuge).
Questi numeri sono sconvolgenti, eppure sono la cruda realtà di chi vive con una disabilità in Italia. Un paese che si vanta di difendere i diritti delle persone fragili, che proclama il proprio impegno verso l’inclusione e la tutela dei diversamente abili, continua a umiliare chi si trova nella necessità di chiedere aiuto. Non solo queste pensioni sono insufficienti, ma non vengono adeguate alle esigenze reali delle persone.
Nel 2020, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che la pensione di inabilità non può essere considerata sufficiente per soddisfare le necessità minime di un essere umano. Eppure, nulla è cambiato in concreto. Chi riceve questo assegno viene schiacciato da vincoli reddituali assurdi, che non tengono conto del costo della vita reale. Se un invalido riceve un qualsiasi reddito extra, magari da lavori occasionali o contributi familiari, rischia di vedersi ridurre ulteriormente la già misera pensione. Come si può parlare di “dignità” quando si obbliga una persona a vivere con una somma inferiore alla soglia di povertà?
Il governo, e in particolare il Ministro per le Disabilità, continua a parlare di progetti di vita, di tutele e di inclusione. Ma c’è una reticenza inquietante quando si tratta di affrontare il tema centrale: la revisione degli importi. Ogni volta che si solleva il problema della miseria degli assegni di invalidità, la risposta è sempre la stessa: mancano i fondi, bisogna tagliare altrove. Ma dove sono i fondi per sostenere i più vulnerabili? Dove sono le risorse per garantire che un invalido possa almeno vivere con dignità, senza dover scegliere tra comprare cibo o pagare le bollette?
In un Paese che si considera moderno e civile, è inaccettabile che le persone con disabilità vengano abbandonate a sé stesse, costrette a dipendere dalla carità o dal supporto familiare per sopravvivere. La disabilità non dovrebbe essere una condanna alla povertà. Eppure, per molti invalidi in Italia, lo è.
La vera inclusione e la vera dignità passano attraverso il riconoscimento dei diritti fondamentali, tra cui il diritto a un sostentamento adeguato. Fino a quando non verranno prese misure concrete per adeguare le pensioni di invalidità, tutte le parole sulla tutela dei disabili resteranno vuote promesse. Il sistema attuale non tutela, ma punisce chi è già in una situazione di fragilità estrema. Sui social network le pagine dei politici sono letteralmente intasate da messaggi di protesta che vengono sistematicamente ignorati.
È giunto il momento di un cambiamento reale, di una presa di coscienza collettiva e istituzionale. Gli invalidi civili non chiedono la luna, chiedono semplicemente ciò che dovrebbe essere loro garantito: la possibilità di vivere una vita dignitosa nel qui ed ora, senza l’illusione di futuristiche ed utopiche prospettive. E finché questo diritto sarà negato, l’Italia non potrà mai definirsi veramente un Paese giusto.