In questi ultimi giorni noi tutti abbiamo vissuto un momento storico in seguito alla strage nella redazione parigina di Charlie Hebdo ; “storico” per il violento shock emotivo che ha visto diciassette vite perse in una follia assassina in quello che oggi si potrebbe definire un “ secondo 11 settembre”. Vasta è stata l’eco che questo episodio ha avuto grazie alla marcia di mobilitazione popolare in Francia che ne è scaturita con più di quattro milioni di partecipanti e la presenza di 44 capi di Stato.
L’ evento, diffuso a macchia d’olio su internet ,rivela ancora una volta la natura ambivalente del Web. Abbiamo visto i social network come Twitter, Facebook , ma anche Instagram infuocarsi al grido della manifestazione pacifica #JesuisCharlie. Questo hashtag si è evoluto ed è stato condiviso da più di tre milioni di persone in un solo pomeriggio, diventando l’hashtag più condiviso della storia di Twitter, strutturato in tre semplici parole, col significato di “impegno”( engagement).Come ha dichiarato il presidente Hollande nell’inaugurazione del Philharmonie de Paris “ Il fatto che siano state uccise le menti più acute della redazione Charlie Hebdo, non vuol dire che siano state uccise anche le loro idee. Noi continueremo e ci impegneremo a diffonderle …”.#JesuisCharlie
Ma la mobilizzazione avrebbe mai visto una partecipazione di popolo così grande se non si fosse incarnata nell’immediatezza di un messaggio così evidente? Possiamo dire che grazie proprio a questo slogan sul web , domenica , i manifestanti in piazza erano così numerosi, ma , appena terminata la marcia , sul web sono apparsi anche messaggi e hashtag ostili e status su facebook nauseanti , inviati dai giovanissimi. Tanti i messaggi di odio, una vera violenza mediatica senza precedenti, fazioni opposte che compaiono dal nulla e che disegnano una guerra non più virtuale ma possibile, già presente nelle nostre città con le cellule dormienti del terrorismo e gli eserciti già pronti.
Molti politici mettono sotto accusa il mondo di internet col fine di limitare la pubblicazione di giudizi razzisti ,auspicando la sorveglianza del web e dei social network , effettuando opportune censure. Ma non sarebbe questa una limitazione della libertà di espressione che oggi è garantita grazie ad internet? E’ la nuova censura che prende piede, la volontà di un controllo globale che potrebbe essere celata dal tentativo di porre fine alla diffusione sul web di messaggi di odio razziale. “Accusare “ internet è come cercare di rimuovere il sintomo, senza guardare la causa che l’ha provocato. L’uso scorretto e indiscriminato dei social network è partorito da una scarsa educazione del cittadino , compito questo che spetta agli insegnanti nelle scuole, ai genitori nelle case: insegnare a usare internet non solo come mezzo di informazione , ma anche come mezzo di sapere e socializzazione.
L’errore che viene spesso fatto da molti adulti è considerare i nativi digitali come già esperti del funzionamento dei social , quando ciò che manca loro è ritornare ad emozionarsi di fronte a un evento sconvolgente , come quello accaduto a Parigi negli ultimi giorni. Fermare la violenza sul web evitando la trasformazione del virtuale in reale è un dovere di tutti, spegnere gli odi religiosi non postando sul Web frasi o pensieri che offendano la fede degli altri : ce lo dice Papa Francesco nell’intervista sull’aereo , nel volo tra Sri Lanka e le Filippine :” bisogna avere libertà , ma non offendere . Perché è vero che non bisogna reagire violentemente , ma se M.Gesbarri , che è un grande amico, dice qualcosa contro mia madre, deve aspettarsi un pugno! E’ normale … Non bisogna provocare, non bisogna insultare la fede degli altri”. Potremo dunque dire che come Parigi intende rivendicare la propria libertà , così il digitale stesso è libertà, ma dice bene il detto “ la mia libertà finisce dove incomincia la tua”.