Il mercato, le regole, i cittadini, la libertà. Sono quattro temi attorno a cui si muove una vasta letteratura da quando i social sono entrati a far parte delle nostre vite. I principi secondo cui si muovono le piattaforme di condivisione online vanno nella direzione contraria rispetto a quelli affermatisi in epoca moderna. Il mercato nell’era digitale, per esempio, riesce a muoversi nella giusta direzione solo quando viene liberato da lacci e lacciuoli, ovvero quando è senza regole e vincoli di sorta; i cittadini, sempre secondo una logica largamente permissiva legata alle nuove piattaforme di condivisione, devono muoversi nello spazio online, in maniera libera e senza un’opprimente vigilanza governativa. Principi vicini uno al liberismo e l’altro al libertinaggio, oggettivamente licenziosi in un contesto, quello della rete, per sua natura foriero di uno spazio pragmatico in cui sono assenti le regole più elementari dello stato di diritto.
Il fiorire e il dominio in rete di uno spazio dialettico per certe tematiche sociali e politiche date per scontate e certificate dalle rispettive istituzioni di appartenenza, rendono fragile il terreno delle legittimità e sensatezza di alcuni discussioni. Lo spazio social cerca di rendere agli occhi dell’opinione pubblica valida la ricerca di un’alternativa ai vecchi principi della democrazia, non considerando però i potenziali pericoli del nuovo osannato populismo digitale.
Se tre miliardi di persone utilizzano i social media e oltre il 90% dei grandi brand commerciali hanno scelto le piattaforme degli stessi social per promuovere se stessi, ciò significa che almeno in termini di impatto sociale i social network hanno rivoluzionato i modi di approcciarsi a un certo tipo di comunicazione. L’Italia, per esempio, è uno dei Paesi europei in cui i social hanno piegato la comunicazione politica a una logica autoreferenziale in cui conta l’emotività e il discorso diretto alla pancia.
Non è una novità se il cosiddetto populismo digitale quindi abbia avuto un ottimo terreno di coltura grazie proprio all’attività sui social della new generation della classe politica nazionale e al proliferare di notizie dalla fonte discutibile. I nuovi opinion leader politici sono in epoca digitale definiti come catalizzatori mediatici in grado di spostare gli equilibri nel campo del consenso senza passare attraverso il filtro degli old media, considerati ormai mezzi meno impattanti sulle decisioni dell’opinione pubblica in tema di scelte elettorali.
L’Italia, come altri Paesi, si sta disaffezionando da una forma di democrazia in cui era richiesta partecipazione e attivismo sul campo, per abbracciare invece nuove e semplicistiche forme di cyber democracy molto vicine invece a forme incontrollate e potenti atte più che altro all’offesa ad personam e in cui i processi decisionali sono ben lontani dal subire un attento controllo da parte di major politico-commerciali e di nuovi potentati digitali.