La foresta Amazzonica, grande circa il 5% della superficie terrestre, abitata da più di venti milioni di persone, da quaranta mila specie animali e oltre 6omila tipi di piante distribuite su 370 milioni di ettari di vegetazione (un terzo del totale del pianeta), sta morendo. A mettere a dura prova, nell’ultimo decennio, il più grande patrimonio “ecologico” dell’umanità, è la politica indiscriminata di deforestazione legata alla crescente domanda di legni pregiati da parte dei mercati internazionali. In particolar modo quello europeo e italiano.
Cumarù, jatobà, massaranduba, garapa e soprattutto ipé, sono le varietà di legno la cui estrazione causa sempre più la frammentazione e il degrado di vaste aree di territorio. Ampie porzioni di foresta sono abbattute per consentire un facile accesso ai successivi “tagli a raso” e per agevolare il trasporto su gomma degli alberi. E’ il caso dell’ipé, definito il nuovo mogano, una pianta dalle grandi volte il cui abbattimento necessita l’apertura di vaste aree che riducono sempre più la vegetazione. Negli ultimi cinquanta anni, secondo il WWF e le associazioni ambientaliste come l’ONG brasiliana Belem Imazon, l’Amazzonia ha perso un quinto della sua superficie.
Per Greenpeace, invece, fino a oggi sono andati perduti circa 160 mila km quadrati di foresta: un’area grande quanto la Grecia. Tra il 2000 e il 2007, l’Amazzonia brasiliana è stata deforestata a un tasso medio di 19,368 chilometri quadrati l’anno. E per alcuni anni, fino al 2012, il disboscamento ha mantenuto un trend stabile, riprendendo a crescere fino a oggi con un +29% di piante abbattute.Grazie a queste statistiche e al pedissequo lavoro di monitoraggio delle associazioni ambientaliste emerge che, oltre ai dati negativi riguardanti la costante e notevole quantità di vegetazione estirpata, alla “questione” deforestazione è legato in un effetto domino anche il problema delle migliaia di specie animali e delle numerose tribù indigene costrette ad abbandonare il loro habitat. Insomma, il destino avverso sembra non abbandonare i natii sin dai tempi dei conquistadores.
E non dimentichiamo, soprattutto, il devastante impatto ambientale sul cambiamento climatico del pianeta che questo scempio antropico sta causando: gli alberi, grazie alla funzione di assorbimento dell’anidride carbonica, sono molto importanti per la riduzione dei “gas serra”. Abbattendoli, senza mettere in atto azioni di rimboschimento delle zone interessate, non fa che compromettere il compito di controllo che da sempre foreste e boschi cercano di assolvere. Di conseguenza, la vegetazione rasa al suolo marcisce o è bruciata diventando fonte di nuova emissione di biossido di carbonio, comunemente chiamato Co2.
Per quanto concerne l’impegno degli ambientalisti, in questa dura “guerra” per la salvaguardia del pianeta, grande interesse scucita in questi giorni la nuova campagna di sensibilizzazione di Greenpeace: “Ammazzonia”. La compagine ambientalista nostrana, ha puntato il dito verso tutte quelle aziende italiane che ancora oggi importano il legname “pregiato” tagliato illegalmente nello stato brasiliano del Parà ed esportato, in Italia, attraverso documenti e permessi il più delle volte contraffatti. Sei le aziende italiane finite sotto il riflettore di Greenpeace che continuano a importare legni pregiati nonostante l’entrata in vigore del Regolamento Europeo del Legno (EUTR), che vieta l’immissione e il commercio di legno illegale sul mercato comunitario: Arnosti Legnami, Art e Parquet, Luca Bolotti, Ravaioli Legnami, Tropical Wood e Wellness Italia. (Fonte Greenpeace – Rapporto Amazzonia).
Nel frattempo, grazie al Decreto varato nei mesi scorsi dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali a implementazione dell’EUTR, anche l’Italia ha deciso di allinearsi alle normative Europee per cercare di contrastare o quantomeno ridurre il rischio della presenza di legno illegale nelle filiere italiane. A chiare lettere, è evidente che se si vuole arrestare la distruzione dell’unico vero polmone del pianeta, bisogna intervenire facendo pressioni sul governo brasiliano. Fino a quando la merce continuerà a viaggiare in giro per il mondo con il beneplacito di San Paolo do Brazil, e con documenti non sempre frutto di lecite autorizzazioni, gli alberi in Amazzonia continueranno a essere abbattuti. Per questo la società civile, le associazioni ambientaliste e tutta la gente di buon senso, unite in uno sforzo comune, devono impegnarsi per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo delicato tema. Ricordando che: “Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro; a nostra terra vale più del vostro denaro”. E questo proverbio dei Pellirosse, dopo secoli di distruzione e massacri, rimane ancora oggi scolpito a chiare lettere nella mente di tutti i popoli “schiavi” del progresso.