“Una persona che non dimenticherò mai” titolava una rubrica che, puntualmente, appariva su una rivista mensile di grande tiratura – Selezionedal Reader’s Digest – non più edita da circa un decennio. Selezione si riprometteva di condensare ed offrire il meglio della letteratura mondiale, ammannendo quello che, a giudizio degli editori, erano i “filetti” dei capolavori da conoscere. Chi non voleva sciupare Tempo era grato: accedeva a un prodotto di qualità privato delle parti scadenti o inutili. Proprio come oggi si tende a fare con i generi alimentari.
Nel Padiglione Zero dell’Expo milanese del 2015, campeggiava la scritta “Siamo quello che mangiamo”. Lo slogan è del filosofo tedesco Feuerbach[1] (1804-1872), il quale ha avuto il merito di focalizzare l’attenzione sull’alimentazione del popolo, affermando che per migliorare deve mangiare meglio.
Se questo vale per il corpo, convenendo che “non di solo pane (e companatico) vive l’Uomo”, deve valere anche per quello che non è puramente “soma”, ma è componente essenziale e distintiva dell’umanità. In fondo, Feuerbach rivendicava per il popolo ciò che diciassette secoli prima Giovenale auspicava nelle sue Satire (la X): Mens sana in corpore sano.
Come evitare la zavorra delle informazioni inutili, se non nocive, per la mente? Quanti e quali bla bla “popolari” giornalieri occupano spazio prezioso dell’”hard disk” mentale e divorano ore altrettante preziose? A quale filtro o bussola affidarsi per mantenere corpo e mente sani e scattanti?
L’equazione a cui abbiamo fatto riferimento non dà un’idea della qualità e del fine della vita, va perciò necessariamente riconsiderata e discussa alla luce di altri parametri. Potrei scegliere di passare tutto il Tempo (= denaro = Vita) a tener sano il corpo, mangiando bene (a spese di chi?) e facendo palestra. Il risultato migliore è paragonabile a un frutto ben sviluppato e maturato perfettamente. Col tempo, nonostante le cure, inesorabilmente marcirà. A chi, a che è servito?
Se al corpo sano è unita una mente accettabilmente sana, non si può non concordare con Dante: “Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute ecanoscenza” (Inferno, canto XXVI). Infatti, anche in un corpo alquanto problematico, come dimostra Leopardi, la mente può produrre “frutti” saporiti e nutrienti per l’umanità. Di che si è nutrita la mente di Leo per produrre cotali e tanti frutti? La sua anima e il suo cuore non c’entrano per nulla?
Piccolo esame introspettivo: la nostra anima sta in salute, soffre di astenia o ingrossa la schiera gogoliana delle “Anime morte”? Al mercato giornaliero di “cibo per l’anima”, acquistiamo pigramente ciò che troviamo sulla prima bancarella o siamo abituati a scegliere? Assumiamo, più o meno consapevolmente, “cibo-spazzatura” avariato, perfino tossico? Ricordiamo che lo paghiamo comunque. E pure a caro prezzo.
Ancora Dante (nel canto terzo del Purgatorio) rileva “Ché perder tempo a chi più sa più spiace”. Perché lasciarsi vivere anziché vivere? Perché accontentarsi del “mercatino rionale” e/o della “moda corrente”, se si ha accesso a “prodotti di prima qualità” in un “super – mercato sterminato?”.
E, rifiutando di ridurci a meri “tubi digerenti”, sia mentre cresciamo e pasciamo sia ben cresciuti e pasciuti, dovremmo pur dare uno scopo alla nostra esistenza.
(continua)
[1] Landshut 1804 – Rechenberg 1872 .
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L’angolo del parlatore – 1^ parte