1967, in Nigeria impazza la guerra civile. Le forze armate del Colonnello Ojukwu, timorose che il nuovo governo possa defraudare il sud del Paese delle risorse petrolifere al delta del fiume Niger, tentano di organizzare un autentico colpo di stato.
La repressione del governo è durissima, al punto da sfociare in un’autentica guerra civile e, secondo alcuni storici africani, perfino in un genocidio ai danni delle tribù ribelli. Eppure, fin dalle prime fasi della guerra fu ben chiaro che una città in particolare sarebbe stata decisiva per sancire le sorti della stessa: Enugu, la capitale ribelle.
Ovviamente, il governo di Abuja inviò, al fine di liberarla, il proprio corpo militare più cospicuo e meglio armato: la 1°divisione. Numerosi soldati valorosi e ben addestrati combattevano per la divisione, fra di essi vi era un ragazzo di appena venticinque anni, che malgrado la giovane età si era già guadagnato il ruolo di comandante del secondo battaglione. Il suo nome era Muhammadu Buhari.
Le azioni del battaglione di Buhari, al pari dell’intero esercito nigeriano, furono rapide ed efficaci: in breve Enugu fu liberata e la guerra vinta. Tuttavia, prima che questo potesse accadere, il commando superiore decise per ragioni non meglio specificate di trasferire Buhari, costringendolo ad assistere al resto delle ostilità lontano dal battaglione al quale aveva donato la propria fedeltà e il proprio sudore.
Con gli anni, il giovane ragazzo avrebbe fatto carriera distinguendosi nei numerosi conflitti intestini che avrebbero dilaniato la sua nazione, e guadagnandosi un ruolo di primaria importanza nell’esercito nigeriano.
Capita in molte nazioni africane, che godere del prestigio militare equivalga quasi in automatico, a guadagnare prestigio anche in campo sociale e politico. Da quando la Nigeria ha ottenuto l’indipendenza negli anni 60, ben nove dei quindici Presidenti che si sono succeduti alla guida del Paese avevano in precedenza ricoperto un incarico come ufficiali nell’esercito.
Probabilmente, Buhari deve aver pensato di voler in qualche modo confermare questa tradizione, facendo valere la propria esperienza e, cosa ancor più importante, il proprio amore per la patria.
Nel 2003, nel 2007 e nel 2011 tentò di candidarsi alle elezioni presidenziali: perse tutte e tre le volte. Chiunque altro al suo posto si sarebbe arreso, ma non Buhari il quale al contrario, dimostrò la stessa resilienza e la stessa tenacia che aveva manifestato in tanti anni nell’esercito. Nel 2015, alla vigilia delle ultime elezioni, annunciò che si sarebbe candidato per la quarta volta. A differenza del passato tuttavia, mise al centro della propria agenda politica una parola fino ad allora pressoché estranea al vocabolario di gran parte della classe dirigente nigeriana: onestà. La lotta alla corruzione, da tempo immemore cancro della società e dell’economia nazionale, venne messa al centro non solo della sua campagna elettorale, ma della sua intera attività pubblica. Una scelta che si rivelò vincente, a giudicare dal fatto che con il 53,96% dei voti, riuscì a sconfiggere il suo diretto avversario, il presidente uscente Goodluck Jonathan.
Naturalmente, per Buhari si trattò di uno dei momenti più importanti e più emozionanti della sua vita, eppure sarebbe stato del tutto impossibile raggiungere un simile obiettivo se non fosse stato per la costante e quasi imprescindibile presenza di sua moglie Aisha. Quasi trent’anni più giovane di lui, Aisha aveva deciso di concedere la propria mano a Mohammad quando aveva solo 17 anni e quando questi era ancora un generale delle forze armate.
Contrariamente allo stereotipo della moglie d’un uomo illustre, Aisha non era un’intellettuale né una donna proveniente da un segmento sociale particolarmente agiato, al contrario era una semplice ed umile estetista con un diploma in cosmetica e bellezza. Eppure, quando Mohammad la conobbe se ne innamorò quasi immediatamente al punto da arrivare perfino a lasciare per lei la prima moglie, Safinatu, con la quale aveva avuto cinque figli.
Negli anni della presidenza del marito, Aisha non si limitò a svolgere un ruolo di forte impatto simbolico nella ricostruzione dei quartieri e delle città distrutte dal passaggio di Boko Haram o nella lotta per garantire alle donne nigeriane un’assistenza sanitaria adeguata; al contrario, le lunghe assenze del marito per motivi di salute (più volte Buhari si è recato in Regno Unito per curarsi da una violenta infezione) hanno responsabilizzato ulteriormente la first lady come donna e come figura pubblica.
Negli ultimi giorni tuttavia, la persona di Aisha è finita nel mirino per una ragione ben più triste: il suo più fidato collaboratore, Sani Baban-Inna, commissario della polizia, è stato arrestato per corruzione con l’accusa di aver estorto ben sette milioni di dollari abusando della sua posizione.
Secondo numerose indiscrezioni , sarebbe stata proprio la first lady ad aver esercitato pressioni affinché le autorità giudiziarie autorizzassero l’arresto dell’alto funzionario. I portavoce di Aisha ad ogni modo, smentiscono categoricamente le accuse: “Sua Eccellenza non ha alcun ruolo nell’arresto e nella detenzioni di Sani Baban-Inna.” Si legge in una nota.
Di certo, l’arresto del fidato collaboratore genera un profondo imbarazzo nella famiglia Buhari, il cui principale impegno in questi anni è stato per l’appunto quello di combattere la corruzione, e che adesso si ritrova uno dei propri uomini più vicini in carcere per lo stesso motivo. L’opposizione, ne ha quasi subito approfittato per asserire che in fondo la lotta alla corruzione voluta dal Presidente non è altro che una scusa per perseguitare i suoi avversari politici finendo, per utilizzare un’espressione gergale, col predicare bene e razzolare male.
Da qualunque punto di vista la si guardi, ciò che è certo è che l’immagine del presidente ne uscirà profondamente indebolita, specialmente in vista delle elezioni del 2019 alle quali, malgrado le precarie condizioni fisiche ha già deciso di ricandidarsi … e sarà la quinta volta!