Intervista ad Auro Zelli, autore, cantante, polistrumentista e direttore artistico.
Da Torino a 18 anni ti sei trasferito in Abruzzo e ci sei rimasto. A cosa è dovuta la scelta?
In realtà ho vissuto molti anni anche a Roma dove ho collaborato con moltissime Orchestre.
Provieni da una famiglia di musicisti, possiamo dire che la Musica è nel tuo DNA?
Mio nonno paterno suonava il Filicorno baritono in una Banda.
Il c.d. Bombardino che tra l’altro custodisco gelosamente, uno strumento che ha oltre cento anni. Sia mio nonno che il mio papà che cantava mi hanno fatto appassionare alla musica che è sempre stata molto presente nella mia famiglia. Dalla musica classica ai generi più moderni. Dico sempre che sono cresciuto a pane e Celentano, pane e De André, Lucio Dalla e altri grandissimi poeti.
La tua è la terza generazione di musicisti…
Ho scopertodi recente che un mio familiare, Niccolò Zingarelli era un compositore ed è stato anche insegnante di Rossini oltre ad aver lavorato per molti anni al San Carlo di Napoli.
E’ vero che le tue doti come compositore sono state molto precoci?
A dieci anni ho trovato sotto l’albero la cosa che più desideravo, una chitarra che ancora custodisco.
E’ stata la scintilla che mi ha fatto capire qual era la mia passione e che poi è diventata la mia vita. Non conoscevo gli accordi ma appena l’ho presa in mano ho deciso di studiare. Ho cercato un insegnante e ho imparato il giro di Do e solo con quello ho scritto una canzone semplicissima.
Immagino che la tua famiglia acconsentì…
Sia mia madre che mio padre che ringrazierò a vita perché nonostante fossero meridionali emigrati al Nord con la valigia di cartone sono riusciti a farsi una vita a Torino. Non mi hanno mai dissuaso anzi mi sono stati vicini sempre ed a loro devo tutto. Sono stati i miei primi Fans.
Settecento opere musicali collaborando anche con grandi nomi dello spettacolo. Quale ricordi maggiormente e perché?
Sono tantissime le persone con le quali ho avuto la fortuna ed il privilegio di poter collaborare. Uno fra tutti che ricordo con grandissimo affetto è Domenico Modugno che conobbi nella prima trasmissione Rai che feci con Pippo Baudo. Modugno era una persona carismatica e ci fu subito una sinergia d’intenti. Uno dei miei grandi Maestri, Sergio Bardotti diceva sempre “I veri Artisti si riconoscono come i cani perché puzzano”. In quel contesto oltre a Modugno conobbi anche la moglie Franca che mi diede un sacco di diritte che ancora custodisco e che in qualche modo hanno fatto della mia vita, un fil rouge che torna in ogni momento in cui mi metto a scrivere perché ho l’ispirazione di comunicare al mondo qualcosa di mio a prescindere dal fatto che possa diventare un grandissimo successo o semplicemente una canzone senza troppe pretese, custodita in un cassetto. C’era Giampiero Artegiani anche lui un grandissimo Autore che diceva “C’è una grandissima differenza tra scrivere brani e scrivere canzoni”. I brani si scrivono in maniera apparentemente semplice perché una volta che fai questo mestiere, è un tecnicismo. Le canzoni invece sono uno sguardo nell’altrove, in qualcosa che non ti appartiene. Quando scrivi qualcosa di molto ispirato, solo dopo che l’hai scritto, ti meravigli di averlo fatto. Hai un sussulto che non riesci a capire ed è quella la meraviglia dello scrivere. Ancora oggi a cinquant’anni è ancora la cosa che mi spinge a continuare. L’ultima canzone uscirà il giorno del mio compleanno, il 7 dicembre.
La tua dote principale è “Essere e non apparire” che ne pensi?
E’ un complimento meraviglioso. Sostanzialmente l’apparire è un qualcosa che appartiene allo spettacolo ed è molto importante per farsi conoscere ma l’essere è quello che sono è quel qualcosa che cerco di sviluppare attraverso le mie canzoni, la mia musica.
Hai dichiarato che senza la musica, la tua esistenza sarebbe stata difficile. Quanto è vero?
Assolutamente sì perché come tutti quanti ho avuto momenti difficili come la perdita prematura del mio papà. La musica è sempre stata la valvola di sfogo, l’ancora a cui aggrapparmi o rifugiarmi sempre.
Hai scritto “La Giravolta” un dialogo tra Padre e figlio in cui immagino tu abbia raccontato fatti realmente accaduti…
Quando scrivo non necessariamente sono cose che mi riguardano ma cose che sento attraverso delle storie, dei racconti, dai libri o dai Film. E’ tutto motivo d’ispirazione. La giravolta l’ho scritta insieme ad un Autore romano, un mio carissimo amico, Giulio Del Prato è se vogliamo un’impotenza genitoriale di non lasciare ai nostri figli lo stesso mondo che abbiamo ricevuto. In questo dobbiamo fare il “Mea culpa” perché la nostra generazione in questo ha un po’ fallito e lo dico con grande rammarico perché quando togli i sogni ai ragazzi con questo pragmatismo temporaneo e troppo razionale. Questo modo di vedere le cose in maniera troppo disincantata, mi fa molto male. La Giravolta è questa dichiarazione d’amore infinita di un padre verso i figli che sono la nuova generazione ma nello stesso tempo è anche una dichiarazione di sconfitta.
Noi siamo stati l’ultima generazione in cui c’era una barriera tra genitori e figli. Adesso non è più così…
Diciamo che per natura le cose cambiano, a volte migliorano e a volte peggiorano. Dipende dagli aspetti ai quali si fa riferimento. I nostri genitori erano molto più rigidi ma chi conosce bene il problema dice che ciò che conta da genitore sia non tanto quello che dice ma quello che fai. Abbiamo educato i figli in maniera un po’ più blanda ma è sempre molto importante quello che fai. E’ questa la maniera autentica di educare al meglio, nessuno ha la chiave della verità ma credo che ciò che premia dal punto di vista genitoriale è sicuramente l’impegno che hai speso.
In questo periodo di pandemia cosa hai fatto?
Sono giorni terribili per chi fa questo mestiere in tutti i campi perché non si lavora. Chi insegna non può farlo o lo può fare molto marginalmente. I corsi per il canto sono impossibili da fare perché a parte l’aspetto umano che è fondamentale, l’interazione con l’allievo non è fattibile per via della latenza che ci costringe a non capire in tempo reale se metto un accordo e arriva dopo un secondo naturalmente non canta in sincrono con quello che sto facendo perché non si capisce se quello che fa è giusto o sbagliato. Qualcuno insegna canto anche a distanza ma solo dal punto di vista teorico, cosa che ho fatto anch’io nella prima ondata. Sono aspetti che si possono affrontare ma in maniera molto marginale. Un conto è spiegare letteratura italiana e un conto è insegnare musica.
Per quanto riguarda il lavoro in TV o in Teatro, avevo un Musical inedito che sarebbe dovuto andare in scena il 13 dicembre al Teatro Savoia di Campobasso ma che per il Covid sarà rimandato al prossimo anno. Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno. C’è un grande amore verso questo mestiere, pensiamo a chi insegna ai ragazzi disabili. Spesso per amore siamo costretti a fare delle cose senza contratto e molti hanno perso i soldi del Decreto Ristori perché per l’indennizzo si richiedevano trenta giorni consecutivi e non li ha neanche Vasco Rossi.
Questo non vuol dire essere evasori ma vuol dire “o è questo o niente”. Per queste persone che non hanno nulla è un grande problema perché non c’è un ristoro. Serve la giusta attenzione. E’ un tema molto delicato e spero che chi di dovere abbia cognizione di causa su come agire, altrimenti noi andiamo a perdere pezzi fondamentali di bellezza. L’iniziativa di Fedez “Scena unita” in cinque giorni è riuscita a raccogliere due milioni di euro per dare un concreto aiuto ai lavoratori dello spettacolo impossibilitati ad operare e sostenere la progettualità per una ripartenza del settore. Hanno aderito anche Vasco Rossi, De Gregori e Venditti e mi auguro che le persone che stanno in quel settore possano salvare una grande fetta di bellezza.