Ed eccomi a propinarvi uno dei miei soliti, insopportabili polpettoni. Giorni fa il Presidente Napolitano, a un incontro con i Magistrati ordinari in tirocinio, ha enfatizzato il ruolo di “servizio” per i cittadini che loro dovrebbero interpretare, rispetto all’esercizio in sé di un “potere”. Una prospettiva simile sarebbe ovvia per chiunque, ma il sistema giustizia, in generale, è molto chiuso in sé stesso e decisamente lontano dalle aspettative degli utenti, e se Napolitano ha posto l’accento su una simile questione è perché è consapevole di quanto sia difficile far comprendere agli operatori del settore di come al centro dei loro pensieri dovrebbe esserci LUI, il cittadino.
E invece, chiunque si approssimi ad un’aula di Tribunale, resta avvilito perché si sente al margine estremo dell’ingranaggio di una macchina tanto inefficiente quanto autoreferenziale, impermeabile ai bisogni di chi se ne vuol servire. Le motivazioni sono tante e spesso hanno a che vedere con le poche risorse disponibili, ma è anche una questione di mentalità e, soprattutto, (ma è solo un mio parere), della scarsa certezza del diritto e dell’ancor meno uniforme applicazione dello stesso.
E infatti, che siano precise o meno le leggi, a queste fanno da contraltare pronunce proteiformi, perché nel sistema italiano una stessa questione può essere decisa in modo assai diverso a seconda del Giudice a cui viene assegnata (persino dello stesso Tribunale!), e non v’è alcuna legge che imponga di attenersi nemmeno ai principi elaborati dalla Corte di Cassazione, persino se questa emette sentenze a Sezioni Unite. È il diritto che piace di più agli addetti ai lavori, perché consente una creatività sempiterna e, secondo la giustificazione che ci si elabora su, di adattare allo specifico caso un provvedimento “sartoriale” che dovrebbe risultare il più adatto in quel momento storico.
Ma sta di fatto che il “momento storico” di una sentenza interviene quasi sempre dopo anni e anni da quando il fatto che ha dato origine al contenzioso è sorto, sicché questa corrispondenza temporale è inesistente e risulta vana la risposta alla esigenza di giustizia. E quindi (attenti che qui vi rifilo il polpettone): se tutti i Giudici sono legittimati a pensarla in modo differente sulla stessa questione, vuol dire che una “verità”, in giurisprudenza, cui tendere, non esiste, sicché potrebbero esserci venti grado di giudizio, con venti sentenze sulla stessa questione, tutte diverse tra loro, senza che possa dirsi in alcun modo che qualcuno ha sbagliato a pronunciarsi! Ergo, non è vero che un appello contro una sentenza aumenti le possibilità di ottenerne un’altra più conforme a “giustizia”, poiché un modello ideale di riferimento non c’è. Pertanto (e questo è il contorno di patate che vi ho preparato per il polpettone): l’appello contro una sentenza è perfettamente inutile.
Ed ecco come vi ho risolto gran parte dei problemi della giustizia italiana: aboliamo l’inutile grado di appello! Unica sentenza di merito di primo grado e, dopo, solo un controllo di rispetto formale delle regole da parte della Cassazione (eventuale). E già, perché delle due l’una: o cambiamo il sistema e lo rendiamo simile a quello anglo-sassone, dove il precedente vincola in modo molto incisivo la decisione a prendersi su un caso simile e in sostanza diventa legge per tutti (si dice: Common law), oppure lasciamo che la nostrana creatività tribunalizia si esprima una volta sola, liberando così immense risorse e accorciando drasticamente i tempi di definizione delle controversie. E ricongiungiamoci a quello che abbiamo detto all’inizio, come se facessimo un ideale girotondo (senza cascare per terra, mi raccomando); l’attività forense, qualunque ruolo si abbia, deve essere utile alle persone, definire i problemi, mettere una parola rapida e conclusiva a una diatriba, deve essere realmente un “servizio” per i cittadini, non una arena dove si divertono solo i gladiatori mentre il pubblico assiste, dolente e annoiato, a una battaglia che forse per durata gli sopravvivrà persino. Perché per ora, parafrasando un irriverente aforisma attribuito a John Coltrane che parlava del jazz, l’attività forense è come una…, piace solo a chi la fa. Qual è la parolina mancante? Uhmm, troppo irriverente, non me la sento di riportarla. Cercatevela voi, mica posso fare tutto io, scansafatiche!