La politica come professione. Anche questo testo, come il precedente, è in realtà la trascrizione di una conferenza che Weber tenne nel luglio del 1919 agli studenti di Monaco di Baviera il 28 gennaio 1919. In essa Weber si propone di rispondere alla domanda su che cosa sia lo stato e che cosa sia la dimensione del politico. Weber crea una sostanziale identità tra il concetto di politica ed il concetto di potere per il fatto che esercitare l’attività politica significa sostanzialmente esercitare il potere o partecipare alla distribuzione del potere nell’interno di uno stato o tra gli stati. Il politico aspira quindi al potere per una serie di motivazioni che possono essere anche semplicemente connessi al prestigio che il potere procura.
Weber introduce il concetto di carisma mutuato dall’ambito religioso, che è rilevante in ambito politico. Il politico ha carisma se i suoi seguaci e adepti ritengono che abbia un qualche potere derivante dalle caratteristiche personali uniche ed irripetibili. Che poi queste caratteristiche siano reali oppure solo attribuite esternamente dagli stessi seguaci ha poca importanza ai fini dell’esercizio del carisma come strumento del politico, o di un gruppo politico, rivolto all’acquisizione del potere. Chi segue un leader carismatico non lo fa dunque nel rispetto di una norma o di una legge quanto piuttosto in base ad un fede o ad una intima convinzione che tale leader sia in grado di svolgere un’opera rilevante nella lotta politica per l’acquisizione del potere. Tuttavia, l’esercizio continuativo del potere richiede una certa fiducia da parte del leader nei confronti di un insieme di soggetti che effettuano l’opera di amministrazione. Una fiducia che viene estesa anche alle metodologie con le quali gli amministrativi utilizzano i beni che sono offerti in gestione. Il politico quindi ha un suo gruppo di riferimento che viene ripagato con il “bottino” delle vittorie politiche e che teme di perdere i propri privilegi. Weber fa riferimento in modo particolare ad un mondo medioevale-rinascimentale con la presenza della figura del “signore” e del suo rapporto con i vari vassalli.
Con il passaggio al sistema democratico, però, i politici hanno legittimato la propria posizione grazie al consenso dei dominati. In questo senso lo stato moderno è riuscito ad affermarsi sulle forme precedenti dell’esercizio di potere come un gruppo di potere a carattere istituzionale che ha monopolizzato la forza fisica dei precedenti ordinamenti sostituendosi ad essi in piena autorità. In seguito, Weber affronta il tema della remunerazione del personale politico. Quest’ultimo, infatti, nello stato moderno viene ad essere reclutato tra coloro i quali hanno dei mezzi per vivere, ovvero ha carattere plutocratico. I plutocrati possono effettivamente esercitare il potere politico negli stati moderni. Dopodiché Weber introduce la figura dell’organizzatore politico come una sorta di “imprenditore della politica” che è preposto all’organizzazione dei mezzi e delle risorse necessarie all’esercizio dell’attività politica e delle campagne elettorali. Tali “imprenditori della politica” affrontano dei costi e tuttavia possono rivalersi sulle cariche che ottengono dall’esercizio dell’attività di organizzazione. Tale orientamento all’impresa politica ha anche un impatto sui funzionari che vengono distinti da Weber in funzionari di partito da un lato e funzionari di governo dall’altro entrambi comunque legati a quelle che sono le vicende elettorali dei gruppi politici di riferimento.
Weber si riferisce anche alle caratteristiche tecnico-professionali di tale gruppo di potere che segue i partiti o i leader carismatici, inizialmente formati nelle lettere classiche ed in seguito aventi formazione giuridica. Tuttavia, nell’interno della dinamica politica né il letterato né il giurista possono essere dei veri uomini politici in quanto l’uomo politico possiede un orientamento eroico ed una dedizione alla causa politica che trascende la dimensione professionale e della formazione tecnica pure essendo sottoposta ad un processo di razionalizzazione. Il funzionario politico deve eseguire gli orientamenti del politico anche quando ritiene che questi siano sbagliati parzialmente o integralmente. A tale novero di soggetti che sostengono i politici si aggiungono anche i giornalisti politici, che hanno la sensazione di guidare il popolo e di avere un impatto politico per il tramite della loro attività pubblicistica. Tuttavia, il passaggio dall’esercizio dell’attività di giornalista politico all’esercizio dell’attività politica di professione non è facile né scontato. Nella realtà i politici di professione sono impegnati strutturalmente a vincere le campagne elettorali avendo un interesse specifico nell’esercizio dell’attività politica. I politici di professione organizzano l’attività politica al di fuori dei parlamenti. Weber mette inoltre in risalto la presenza di una vera e propria contrapposizione tra la capacità di leadership dei politici e l’ostilità dei gruppi dirigenti dei partiti. Weber quindi vede la possibilità di due distinti stati, ovvero da un lato una politica guidata dai leader carismatici che organizzano delle macchine amministrative per la trasmissione del potere dallo Stato ai cittadini, e dall’altro lato una politica senza capi costituita da politici di professione senza vocazione. La tendenza dei partiti sembra comunque essere orientata al contrasto delle figure leaderistiche ed apicali a favore di gestioni collegiali-elitarie che offrono maggiori garanzie ai maggiorenti delle organizzazioni politiche. Weber sembra però propendere per la figura del politico come leader carismatico, soprattutto quando descrive le caratteristiche che il politico deve avere ovvero “[…] passione, senso di responsabilità, lungimiranza” (pag.4). Tuttavia, la dotazione di passione non è sufficiente: è necessario che la dotazione di beni immateriali del politico venga ad essere utilizzata per servire ad una causa comune e pubblica che diventi interesse della nazione e trascenda le limitazioni faziose della dimensione di parte. La fede, intesa anche nel senso di fiducia, in ideali, siano essi laici o religiosi, è assolutamente necessaria per l’esercizio dell’attività politica.
Weber ritiene che i politici debbano anche avere l’obbligo della verità, inteso come una “etica assoluta”. Tale dovere comporta anche la necessità di procedere alla pubblicazione dei vari documenti che riguardano l’esercizio dell’attività politica, in modo unilaterale, senza avere interesse per le conseguenze che questo possa produrre. L’orientamento alla verità ed i buoni e giusti propositi dei politici eroici non impedisce tuttavia il paradosso etico che promuove la realizzazione di un risultato buono attraverso dei procedimenti che siano in un qualche modo “cattivi” o non “eticamente corretti”. Tale dilemma etico-morale, se cioè sia giusto compiere il male in vista di un obiettivo politico più ampio e buono, rimane in capo al politico ed interroga la sua coscienza, ed in un certo senso motiva la sua dimensione eroica. Weber comunque rifiuta l’idea che dal bene possa derivare solo il bene e che dal male possa derivare solo il male, ed in questo senso non cita soltanto Macchiavelli quanto anche le opere dell’antica saggezza indiana ed induista contenute nell’Arthasastra. Anzi dice esplicitamente che è certamente da preferire l’opera indiana a quella del fiorentino. Tuttavia, la questione del bene e del male in politica viene risolta attraverso la legittimità nell’esercizio della violenza. Se l’esercizio della violenza avviene in modo legittimo allora il problema può essere considerato eticamente risolto. Tuttavia, il politico non deve cercare di salvare la propria anima attraverso la politica. L’attività salvifica avviene in altri ambiti. La politica come professione richiede l’acquisizione di strumenti legittimi per l’esercizio della violenza.
Il politico di professione deve quindi essere ben motivato, in grado di acquisire legittimazione nell’esercizio della violenza e consapevole che la salvezza dell’anima avviene in contesti diversi dalle lotte politiche. Egli tuttavia deve essere dotato di “passione e discernimento” (pag. 129) e deve pure tendere all’impossibile. Tuttavia, colui che può compiere questa opera “[…] deve essere un capo e […] anche un eroe.” E se non hanno tale sostegno morale e valoriale allora devono essere pronti a resistere alle delusioni, alle sconfitte politiche. Solo chi dinanzi alle difficoltà è pronto ad andare avanti “[…] ha la vocazione per la politica”.
Conclusioni. Le due lezioni di Weber sono illuminanti. Certamente colgono il senso dell’impegno personale in ambiti come quello scientifico e politico dove la dimensione professionale e tecnica è posta in relazione con quelle che sono le domande dell’essere umano ed il suo ruolo nel mondo. Scienza e politica sono ambiti diversi e tuttavia richiedono entrambi sia una dotazione professionale e tecnica sia anche un certo orientamento di carattere etico-morale. Il processo di razionalizzazione del mondo, che per Weber è uno dei tratti essenziali della società capitalistica, tende ad essere assai più vicino alla dimensione della scienza. La dimensione politica invece sembra avere nell’opera weberiana una serie di elementi irrazionalistici come è evidente dal suo richiamo al carisma, alla dimensione eroica del politico ed alla dimensione dell’impossibile come categoria dell’agire politico. Eppure, paradossalmente è su questa irrazionalità che il politico di professione costruisce la propria opera di trasformazione del mondo attraverso i valori. Una irrazionalità che diviene produttiva della “macchina amministrativa” dello stato moderno, con il suo funzionariato tecnico-professionale, e la sua capacità di modificazione dell’esistente. Lo scienziato e il politico non s’incontrano mai. Essi operano nelle rispettive professioni su piano diversi. È il processo stesso di razionalizzazione dell’esistente che ha portato a tale distinzione. Per quanto la politica necessiti della scienza per giustificarsi e per quanto la scienza possa avere una pretesa ordinamentale, nella realtà, le due funzioni rimangono separate per esigenze funzionalistiche. Tuttavia, il contenuto di irrazionalità opera anche nello scienziato che deve essere in grado di sopportare l’inutilità del suo lavoro quand’esso manca di fornire risultati concreti e la vacuità delle sue proposizioni scientifiche quando queste vengono superate dal progresso scientifico. Il processo di razionalizzazione impedisce tanto allo scienziato che al politico di trovare la salvezza nelle loro professioni, per quanto essi anelino ad una dimensione immateriale pure nell’esercizio delle razionale delle attività professionali. Sicché il portato etico-morale, che nel caso del politico arriva ad abbracciare addirittura la categoria dell’impossibile, non ha approdo salvifico e rimane computabile nella dimensione capitalistica. Eppure, è come se tale proposizione sia solo in parte accettata dallo stesso Weber che continuamente richiama a motivazioni e funzioni irrazionali ed immateriali. L’eroismo, la scelta etico-morale, il dilemma del bene-male, il senso di vacuità delle sforzo che può essere sostenuto solo dalla passione, la resilienza dinanzi alla contrarietà dell’esistente.
L’opera di Weber che ha superato il secolo sembra veramente molto “attuale” nell’economia della conoscenza e dell’innovazione. Il passaggio all’economia dei servizi ha comportato per molti lavoratori la necessità di trasformarsi a vario titolo in professionisti nel senso weberiano. Professionisti che hanno dei valori e delle pulsioni irrazionalistiche e che pure devono razionalizzarle nell’opera di trasformazione del mondo attraverso la conoscenza e l’attività produttiva in ambito tecnico, organizzativo e sociale. Le lezioni di Weber sono quindi utili alla comprensione delle contraddizioni della società dei lavoratori professionalizzati – ovvero i cosiddetti knowlege workers – e fanno anche intendere i limiti delle professioni, da superare sempre attraverso la dimensione eroica ed i valori rivolti al miglioramento individuale e sociale.