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LE MATRICI IDEOLOGICHE DELLA DESTRA – La tecno-destra. Porre fine alle disuguaglianze.

Con questo articolo, Gabriella Bianco e la colonna l’Opinione del filosofo si congeda dai lettori per il 2024. Un anno intenso e di preoccupazione sullo stato del mondo, cui la filosofia tenta di dare delle risposte. Che il 2025 sia un anno di Speranza per tutti!

La potenza innovativa delle nuove proposte tecnologiche, la loro suggestione, la pervasività hanno cambiato il costume, il lavoro, l’informazione, l’economia, la cultura, la comunicazione e le relazioni personali. Un passo in più, solo un passo, e la rivoluzione contagia e invade il recinto protetto della politica: perché fermarsi davanti al vecchio interdetto che pretende esperienza storica e competenza specifica per l’esercizio del potere pubblico? (Ezio Mauro, La Repubblica, 28 dicembre 2024)

L’identità di quell’area politica che siamo abituati a chiamare centro-destra, destra moderata o semplicemente destra, si definisce  attraverso la combinazione di due matrici ideologiche fin dall’alba della modernità politica: la matrice conservatrice, che si riconosce nel principio dell’ordine politico, sociale e morale fondato sui richiami nazionali e/o religiosi, e quella liberale, che mira a garantire la sfera delle libertà individuali, nelle scelte private ma anche nella vita pubblica e nell’iniziativa economica, dall’ingerenza dello Stato. Esempio estremo è l’anarco-liberismo di Javier Milei, che intende direttamente abolire lo Stato.

Nella democrazia liberale, l’impianto rappresentativo-parlamentare è fondato sulla separazione dei poteri dello Stato. Al contrario, la matrice conservatrice allo stato “puro”, cioè non ibridata con la matrice liberale, rigetta, a seconda del contesto storico e del tipo di ordine sociale la cui preservazione è in gioco, il principio rappresentativo e l’istituto stesso della democrazia parlamentare. Non a caso, il conservatorismo si è combinato, nel corso della storia, con le monarchie assolute, i regimi autoritari, le democrazie illiberali, note come “democrature”.

I grandi partiti della destra europea sono sempre stati in prevalenza di matrice conservatrice, anche perché il liberalismo, un’espressione storica della borghesia urbana, è un’ideologia ancora oggi sociologicamente non di massa ma è tipica delle classi medio-alte dotate di buon “capitale culturale”. Questa ibridazione ideologica liberal-conservatrice tra le istanze della tradizione morale e quelle del libero mercato, già prevalente nelle destre scandinave dalla metà del XX secolo, si è imposta in tutto il mondo occidentale nel corso degli anni ’80 e ’90, promuovendo la libera iniziativa individuale, mentre  veniva meno alla funzione di protezione della comunità nazionale, prerogativa classica della matrice conservatrice.

Passati alla storia come gli artefici di questa ibridazione ideologica, Margaret Thatcher e Ronald Reagan si erano limitati a interpretare un ruolo richiesto da un ciclo storico “centrifugo” nelle relazioni tra Stato, società e mercati, dopo il ciclo storicamente “centripeto” dell’espansione del Welfare State e della protezione sociale nei tre decenni successivi alla Seconda guerra mondiale.

Non a caso, la stessa spinta liberale e pro-mercato ha investito le forze socialdemocratiche europee, specie dopo il 1989, e con il suo apice alla fine degli anni ’90. E anche la stessa Unione Europea, il cui progetto è fin dalle sue origini il frutto di un’ibridazione in chiave moderata fra le principali tendenze ideologiche moderne (conservatorismo, liberalismo, socialismo/progressismo), ha fortemente enfatizzato in quei decenni la “stella” liberale, come si rilevava nel Trattato di Maastricht del 1992.

Ma non si possono comprendere le tensioni che attraversano le forze politiche delle destre europee e italiane in questi anni, senza tenere conto del contro-movimento “centripeto” e anti-liberale, sia in campo politico che culturale ed economico, che si è affermato a partire dagli anni Duemila, e con più forza dopo la grande recessione del 2008.

All’inizio di questo ciclo nei primi anni Duemila, il ritorno al discorso dell’ordine – nazionale e/o tradizionale – implicava che i partiti conservatori o liberal-conservatori andassero verso scelte più estreme e radicali. La graduale crescita delle forze della destra radicale, che esprime essenzialmente una radicalizzazione della matrice dell’ordine in chiave populista, rappresenta il sintomo – ben più che la causa – del contro-movimento “centripeto” e anti-liberale di questa fase storica, che ha portato le forze conservatrici a riposizionarsi, ripristinando il principio dell’ordine come messaggio prioritario rispetto a quello del libero mercato, portatore di un messaggio conservatore nazionale radicale, che in  Italia è presente sia nella Lega che in Fratelli d’Italia. Pertanto, perché possa esistere una vera alternativa conservatrice moderata sia in Italia che in Europa, sarebbe necessario che le destre più moderate si smarcassero più decisamente dalle forze della destra radicale e antiliberale, da Marine le Pen in Francia fino a Viktor Orbán in Ungheria.

Ma a quale mondo pensano l’olandese Geert Wilders, la tedesca Weidel, il britannico Farage, gli italiani Salvini e Meloni, il canadese Poilievre, l’ungherese Orbán, l’argentino Milei, l’indiano Adani, il salvadoregno Bukele e tanti altri, alcuni anche in chiave trumpiano-sovranista?

Finché non si sfalderà, dietro la spinta di un nuovo ciclo espansivo, il terreno sotto i piedi dell’appello populista e nazional-conservatore radicale, per questi attori politici la tentazione dei consensi politici facili da monetizzare in tempi di gravi incertezze e rancori sociali sarà irresistibile.

La tecnodestra, la tech right all’attacco.

Un altro e più grave problema sta emergendo  all’orizzonte: Trump e Musk stanno imboccando una strada per condizionare l’intero sistema democratico, influire direttamente sulla sua natura e sulla sua fisionomia e influenzare radicalmente le sue scelte e stravolgere la democrazia. 

In un’epoca in cui la popolarità sostituisce la fama, Trump, che viene dal mondo del fare, può colonizzare il mondo del dire con il suo messaggio di “modernizzazione” che dopo aver conquistato i mercati, le abitudini e i consumi, vuole cambiare i riti e l’essenza stessa della politica. Adesso ne ha l’occasione. Trump, con la sua rottura degli schemi, del linguaggio e dei gesti tradizionali, ha aperto la strada ai campioni della tecno-destra. Saltando gli argini della vecchia politica, il partito repubblicano di Ronald Reagan si trasforma in uno strumento del populismo sovranista e nazionalista, in una continua minaccia di eversione, perché la destra estrema vincendo – e lo fa attraverso le elezioni –  non accetta freni.

I capitani della high tech corrono al fianco di Trump, rappresentante di un potere che non conosce limiti. Il capitalismo e l’impresa hanno sempre parlato all’orecchio del governo, in tutti i Paesi, ma quella relazione riconosceva implicitamente il primato della politica, che i poteri esterni appoggiavano e su cui influivano, mentre se ne avvantaggiavano.

Oggi siamo alla svolta: i tecno-capitalisti non si limitano a finanziare le campagne elettorali, ma si fanno loro stessi politica, legittimati dalla loro fortuna e dalla loro biografia, da “imporre” al popolo come una pagana ideologia. Sbaglieremmo però a considerare Trump un semplice veicolo che introduce gli uomini nuovi nella frattura che lui ha aperto nel mondo politico. La partita del presidente si gioca direttamente con il sistema,  la sua partita si gioca contro la natura stessa della democrazia.

Per la destra estrema, infatti, è arrivato il momento di correggere la democrazia, eliminando il suo carattere liberal-democratico, quindi il suo culto per lo Stato di diritto, la sua ossessione per i controlli, il bilanciamento dei poteri, la coscienza del limite,  per liberare finalmente la piena potestà del leader che ha vinto le elezioni, conferirgli i mezzi per esercitare non soltanto il governo ma il comando, e instaurare il “potere verticale” delle “democrazie autoritarie”. (Ezio Mauro)

Il  nuovo autoritarismo, disabituato alla intermediazione, nella velocità di un mondo globale denuncia il carattere antiquario, burocratico, lento e costoso della procedura democratica che appesantisce e frena ogni decisione costringendola a un percorso faticoso, che va superato.

La commissione guidata da Musk non si propone come un’agenzia governativa ufficiale, ma piuttosto come un comitato consultivo che “fornirà consigli e indicazioni dall’esterno del governo”. Secondo le direttive di Trump, gli obiettivi primari del dipartimento sono “smantellare la burocrazia governativa, ridurre le normative in eccesso, tagliare le spese inutili e ristrutturare le agenzie federali”.

Questi saranno i primi obiettivi degli sforzi di razionalizzazione, attraverso l’uso della tecnologia. La tech right darà dunque una sorta di timbro tecnico-scientifico alla mutazione in senso autoritario della democrazia, presentandola come modernizzazione del sistema, evoluzione nel moderno attraverso lo svecchiamento funzionale del sistema e semplificazione del meccanismo di governo. 

Se la minaccia nucleare della “terza guerra mondiale” e l’incertezza sullo sviluppo dell’aggressione russa all’ Ucraina rimangono alte, c’è un’immensa preoccupazione su come si evolveranno la situazione in Medio Oriente di fronte al genocidio dei palestinesi perpetrato dallo Stato d’ Israele e le nuove realtà come quella siriana. Se i pericoli posti da queste catastrofi sono una grande fonte di inquietudine per il mondo intero, sarebbe un’illusione pensare che il mondo troverà facilmente una condizione di normalità nei prossimi anni dopo tanto odio, violenza, morte, ferite e distruzione…

Allo stesso tempo, la devastazione della vita globale sulla Terra ha smesso di essere un’ipotesi plausibile ed è diventata una catastrofe planetaria ad alto rischio di irreversibilità. Infine, l’accettazione della crescente disuguaglianza, considerata “naturale” e inevitabile, sia tra i più ricchi sempre più predatori e potenti, che tra i poveri e impoveriti, sempre più numerosi e deboli, è la principale ragione della distruzione in atto dell’umanità.

È di questi giorni la notizia che il Senato degli Stati Uniti intende approvare una legge che designa la Corte penale internazionale come organizzazione terroristica, mentre lo smantellamento dello Stato sociale, dei diritti umani e sociali universali stanno completando la demolizione dello Stato di diritto, ridotto a un problema di accesso a beni e servizi essenziali alla vita sul mercato.

Certo non possiamo fingere di non sapere che noi — cittadini che non votano e non amano la politica, consumatori egocentrici, agricoltori corporativisti, militari, scienziati elitari, tecnocrati, colonialisti, nazionalisti dell’America First e sovranisti di ogni paese, xenofobi, razzisti, machisti, suprematisti bianchi, sionisti, fanatici religiosi –non siamo solo spettatori, ma anche partecipi, direttamente e indirettamente, attivamente e passivamente, ai processi ed alle decisioni che portano all’elezione dei nostri governanti, alla devastazione della vita sulla Terra, alla Terza Guerra Mondiale e conseguente distruzione dell’umanità.

Questi predatori dominanti, se hanno il potere effettivo di agire sulla realtà e di influenzare le opinioni di milioni di persone, tuttavia non mostrano nessuna intenzione (o poca capacità)  di fermare il genocidio dei palestinesi e la devastazione dell’ Ucraina, né cercano di nascondere il fatto che hanno abbandonato la cosiddetta lotta al cambiamento climatico (anzi, nemmeno lo riconoscono) e messo da parte la lotta alla povertà. Lo riprova il fallimento della recente Coop29, il cui accordo finale è il tradimento della lotta globale per il clima, proprio nel momento in cui sarebbe più importante accelerarla e la precarietà delle Nazioni Unite, ormai inascoltate e impotenti di fronte al disordine del mondo.

Di fronte alla deliberata abdicazione del potere e della responsabilità verso lo stato sociale e i diritti universali dei cittadini e dei popoli da parte della classe politica dei rappresentanti eletti dal popolo, non è più sufficiente che i cittadini esercitino il loro potere “democratico” come elettori dei loro rappresentanti. È necessario sviluppare altri strumenti costituzionali e mezzi per controllare e valutare l’effettivo raggiungimento degli obiettivi dello Stato sociale, come definito nella maggior parte delle costituzioni attuali.

Ma quali strumenti abbiamo come cittadini per difenderci?

Per decenni, i limiti della democrazia hanno imposto alle classi dirigenti di accettare l’enunciazione scritta dei diritti sociali ma senza avere l’obbligo vincolante della loro effettiva realizzazione per tutti. Con il termine giuridicità si indica la possibilità secondo cui i cittadini possono chiedere al sistema giudiziario di riconoscere il diritto alla realizzazione dei diritti sociali al di là dei limiti riconosciuti, secondo la progressività e le risorse disponibili.  Questo è lo scopo del principio e dei sistemi che regolano la giustiziabilità dei diritti sociali.

Come dimostra la recente pratica delle azioni di giustiziabilità nei settori del diritto all’acqua (divieto di tagli), delle pensioni, della salute, della protezione della natura, ecc., la giustiziabilità non è un metodo per trasferire ai giudici le competenze e i poteri dei rappresentanti eletti, ma l’istituzione di procedure giurisprudenziali che integrano le procedure legislative ed esecutive per la partecipazione dei cittadini alla protezione, alla promozione e alla realizzazione dei diritti sociali per tutti, fermando la  demolizione dello Stato sociale,  dei diritti universali e dei beni pubblici globali. (Riccardo Petrella) Uno strumento in più nelle mani dei cittadini e della società civile.

Data:

31 Dicembre 2024

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