International Web Post sensibile ai temi culturali dedica uno spazio particolare agli approfondimenti, ossia a quegli argomenti – segnatamente afferenti l’arte, la storia, la filosofia – suggeriti dagli stessi lettori che non si esauriscono nel mero articolo giornalistico, per sua fisiologia “essenziale” nei contenuti, ma siano analisi originali foriere di spunti riflessioni ultronee. In questa ottica è il saggio sulle origini della cavalleria esteso da don Riccardo Giordani di Willenburg, autorevole studioso e Gran Cerimoniere della Norman Academy (Antonella Giordano)
Se parlare delle origini della “Cavalleria ’ è fare un tuffo in un affascinante passato, parlare della “Cavalleria” dovrebbe essere, secondo me, cronaca di tutti i giorni e questo perché condivido pienamente ciò che disse alcuni anni fa il Principe Borbone quando gli fu chiesto se avesse ancora senso, ai giorni nostri, parlare di ”Cavalleria” e di “Cavalieri Cristiani”: egli, quasi riflettendo con se stesso, ebbe a dire che quando si parla di “Moderna Cavalleria” si rischia di destare un risolíno scettico o ironico perché il mondo ha dimenticato che cosa era nel passato questa organizzazione e non si accorge che una “Nuova Cavalleria”, continuatrice diretta dell’antica fiorisce da molto tempo nel “Mondo Cristiano”.
Esso, il mondo, non conosce quali immensi servìgi aveva reso alla Cristianità ed all’Europa questo esercito di Cavalieri, che dal loro apostolo San Bernardo avevano ricevuto l’esortazione: “esto miles
pacificus, sed strenuus, fidelis ac Deo devotus”.
Ma, indipendentemente dal significato e dall’estensione che ha oggi una “Cavalleria Cristiana”, non è ammissibile una ignoranza relativa alla sua storia poiché si tratta di uno dei capitoli più importanti del nostro mondo occidentale.
Per ciò ho ritenuto, quasi a cercar conforto nelle parole del Principe di Borbone, di dover fare questa premessa e non solo per sottolineare certi valori del passato ma piuttosto per evidenziare la speranza che questo mondo possa ancora essere guidato da quei principi che hanno contribuito a formarlo, almeno per ciò che concerne la sua parte migliore.
Ora, volendo tornare a parlare delle “Origini”, dobbiamo considerare che stiamo parlando di una tradizione spirituale e di un fenomeno esclusivamente europeo, di radici non tanto feudali quanto tipicamente germaniche e che il “Cavaliere” non è solo un soldato a cavallo ma è un uomo votato ad una concezione etica della vita che si distingue dagli altri uomini per gentilezza d’animo, lealtà, saggezza e forza.
Al riguardo si possono trarre almeno due considerazioni:
— che il “Cavaliere” nell’ideale comune del feudalesimo, se non nella realtà, doveva essere un uomo di fede e di specchiata virtù;
— che il patrimonio etico e tradizionale su cui si fondava l’intera “Cavalleria” in realtà è molto più antico dell’istituzione stessa.
A conferma di questa tesi stanno non solo i residui celtici e druidici, che sono alla base di molti poemi cavallereschi, ma anche un altro interessantissimo particolare:
era uso comune che un “Cavaliere” votasse la propria esistenza ad una donna, e che da questa ricevesse in un certo senso il significato ed il valore sublime della propria ragion d’essere.
In altri termini, non era concepibile che la vita di un “Cavaliere” non fosse al servizio — Amor Cortese — di una donna, reale o vagheggiata che fosse.
Ma lasciando da parte, almeno per il momento, il mito ed il suo fascino possiamo individuare nella storia le origini lontane della “Cavalleria” tra quelle popolazioni di stirpe germanica come i Goti, i Franchi, i Burgundi ed altri popoli di quella nazione che cominciano a fornirci l’immagine del futuro Cavaliere: una immagine ancora primitiva e violenta, ma che presenta già delle caratteristiche importanti.
In particolare, trattando dei barbari di stirpe celtica e dei germani, è bene ricordare che nell’antico diritto germanico si osservava la consuetudine dell’ “Antrustionato” almeno relativamente agli appartenenti alla stretta cerchia dei seguaci del Re chiamati per questo “antrustioni” e tali erano appunto i giovani di nobile famiglia che, pertanto, giuravano fedeltà ad un capo che li legava a sé con una sorta di rapporto sacrale detto “mundio” per cui lo seguivano in battaglia impegnandosi a morire per difenderlo.
Molto più tardi gli antrustioni avrebbero latinizzato il loro nome in “Comites” (compagni) volgarizzato poi in “Conti”.
Il “Ciclo Nibelungico” che pare sia stato composto nel XII secolo, ci offre interessanti testimonianze di questi antichi costumi.
Infatti le Saghe dei Nibelunghi sarebbero l’unico poema cavalleresco, oltre alla “Chanson de Roland”, ad avere un fondo di verità mescolato alla fantasia ed al mito.
Tuttavia, a differenza di quest’ultima, che si riferisce ad episodi dell’ VIII secolo, la leggenda di Sigfrido dovrebbe, almeno in parte, conservare il retaggio di costumi molto più antichi e barbarici; in tutto il poema sia i re, sia i campioni appaiono circondati dai loro Cavalieri che tendono pertanto a
preannunciare quella istituzione tipica del feudalesimo, e quindi della “Cavalleria”, che era il vassallaggio ed il servizio di carattere militare prestato ad un Signore.
Rimanendo ancora nel solido terreno della storia andiamo ad accennare delle “Radici Cristiane” della storia, ricordando che fu Clodoveo a fondare il primo Ordine Cavalleresco: l’ Ordine della Santa Ampolla o di San Remigio ed in occasione della vittoria sugli Alamanni, parliamo del 495, a farsi Cristiano insieme a quattromila dei suoi guerrieri.
Perché ho voluto ricordare Clodoveo?
….perchè è da lui in poi sotto i Merovingi e successivamente sotto i Carolingi che l’Antrustionato andò sempre più evolvendosi verso quelle forme feudali che caratterizzeranno la ”Cavalleria” tra i secolí XI e XIII.
Il “Cavaliere” tuttavia è ancora, sino all’ VIII secolo, guerriero barbarica strumento di un Signore, che fa delle proprie forze, della propria violenza e della propria spada la ragione stessa della sua vita: in altre parole è già nato il “Cavaliere” come uomo d’armi’ ma non il “Cavaliere” come uomo votato ad una idea.
Il merito di questa prodigiosa trasformazione va alla Chiesa, che seppe prima ingentilire i costumi dei Cavalieri imponendo loro un codice morale, ad esempio con la “tregua d’armi” e la ’fratellanza d’armi” e, successivamente, con Gregorio VII, sfruttare almeno parte della “Cavalleria” per la riforma ecclesiastica ed i propri scopi teocratici; infine, attraverso le Crociate fondare Ordini Cavallereschi che erano anche Monastici.
Nacquero così i Cavalieri di San Giovanni od Ospitalierí, dai neri mantelli e dallo stendardo rosso con croce bianca; i Templari, detti dagli Arabi i “diavoli bianchi” per la loro ferocia, i Gerosolimitani ed i Teutonici.
(Continua)